Letteratura nascente
- Letteratura
italiana della migrazione. Autori e poetiche. -
Raffaele
Taddeo
Un Problema:
quale Nome? Armando
Gnisci nel suo testo Il rovescio del gioco, nel lontano 1991 prendeva in
esame Dove lo Stato non c'è scritto in collaborazione da Tahar Ben
Jelloun con Volterrani. e Immigrato scritto da Salah Methnani e Mario Fortunato. Il
docente dell'Università La Sapienza di Roma affermava, in quella occasione,
che i due testi potevano appartenere a una letteratura "allo stato nascente".
È certamente da riconoscere la tempestività con cui Gnisci interveniva,
pur con pochissimo materiale in mano, sul nuovo fenomeno che stava nascendo in
Italia e questo gli dava addirittura l'occasione di rifondare una teoria sulla
letteratura comparata, gettando alle ortiche tutto quanto sul comparatismo l'Occidente,
il Nord del mondo, aveva fino ad allora imposto o teorizzato. Il Centro Culturale
Multietnico La Tenda, in modo del tutto indipendente nel 1994, quando il fenomeno
era ancora agli esordi, aveva assegnato alla produzione narrativa degli stranieri
in Italia la denominazione di "Narrativa Nascente". Questo bisticcio
allitterato sembrava presuntuoso e in qualche modo cacofonico. Allora si conoscevano
solo gli scritti narrativi, poi sono arrivati anche testi di poesia. Forse oggi
sarebbe più adatta la denominazione ''letteratura nascente". Che cosa
aveva di caratteristico questo nome? L'aggettivo 'nascente'. Era già
chiaro fin dall'inizio questo elemento. In un dibattito che seguì la presentazione
del libro di Pap Khouma, Io venditore di elefanti si affermava: "Le
strutture narrative italiane possono modificarsi a condizione che lo scrittore
non rinunci alla propria cultura. Nel nostro secolo il mondo europeo ha portato
le strutture narrative ad uno sviluppo di elevata qualità. con un travaglio
molto intenso. Siamo in un periodo di stanchezza per quanto riguarda l'ulteriore
maturazione di questo genere letterario. Ci si può trovare di fronte a
qualcosa di totalmente diverso rispetto allo sviluppo delle strutture narrative
determinatosi in Occidente fino ad ora. forse siamo veramente di fronte ad una
narrativa nascente". Oggi più che mai siano convinti di questo fatto.
C'è il tentativo di fare i conti con le forme nanative elaborate in Europa
o per meglio dire nella ricca cultura occidentale, da parte degli stranieri che
si cimentano nel campo letterario e che si affacciano alla espressione letteraria
in Italia per la prima volta. Questa convinzione è la prima ragione della
denominazione data al fenomeno. Ma è possibile sostenere questa denominazione? Nel
1998 Armando Gnisci ha scritto il testo La letteratura italiana della migrazione,
nel quale sostiene la necessità di assegnare all'insieme dei testi scritti
in italiano dagli stranieri di recente immigrazione la denominazione che dà
il titolo al suo saggio. La prima ragione è di ordine euristico. Il
docente romano afferma che la migrazione è "una qualità primordiale
del destino degli umani". La seconda ragione è che i migranti (e
con questo Gnisci vuole dichiaratamente collegarsi agli studiosi anglofoni) sono
"i più vicini ai problemi mondiali del nostro tempo". La terza
ragione, più ideologicamente sostenuta, è che "le voci migranti
portano alla nostra attenzione di culture stanziali, comode, sapienti e turistiche,
il fatto che il mondo in cui viviamo non è uno solo. Esso... è diviso
in due,... il nord dei ricchi e il sud pieno di tutti i sud, quello dei poveri''. Gnisci
denomina il fenomeno come La letteratura italiana della migrazione e lo
carica di significati molto ampi. Egli parte. prima di tutto, dalla convinzione
che la letteratura italiana possa essere rinnovata, diventare nuova proprio perché
si pone in una dimensione di apertura-rieducazione interculturale mondiale. La
letteratura dei migranti, prodotta da questi soggetti del sud del mondo, che hanno
qualcosa da dire molto di più di quanto non possano e non sappiano dire
e dare le letterature nazionali e la letteratura italiana può avere la
funzione di moralizzare, di inventare un nuovo umanesimo attraverso la capacità
di ascesi letteraria che porti ad un cambiamento come rieducazione del sentire
letteratura. Ma poche righe più avanti afferma: "Noi non possiamo
contare sul rinnovamento linguistico, letterario e morale da parte di culture
ex-colonizzate, né si può pensare che gli immigrati magrebini e
senegalesi, pakistani e capoverdiani, filippini e cinesi, presenti e futuri diventino
tutti, o quasi i nuovi autori della letteratura italiana del XXI secolo".
A suo parere "la nostra tradizione e la nostra civiltà vanno consegnate:
è l'ultima possibilità di inventarci una dignità e di corrispondere
al mondo attuale." La denominazione di "Letteratura Migrante",
data in un libro edito dal Centro Sociale Leoncavallo, punta invece a trovare
tematiche proprie di questo genere letterario, confinandolo in un ambito specifico. Serge
Vanvolsen, nello scritto citato in precedenza. mette a fuoco il concetto di letteratura
e migrazione. Egli si pone la domanda se i testi trattati possano essere definiti
letterari. Lo studioso che opera all'università di Lovanio dovrà
affrontare con coraggio i termini del problema, pur consapevole della possibilità
di un ostracismo da parte del mondo accademico. Continua nella sua analisi:
"È emigrato - colui che ha lasciato la patria per motivi economici
trasferendosi più o meno stabilmente all'estero. Ma a questa categoria
di persone appartengono molti individui. Ad esempio i burocrati". Il dato
caratteristico, quindi, quando si parla di letteratura di emigrazione. è
strettamente connesso all'aspetto tematico o contenutistico, oppure al fatto di
essere prodotta da soggetti appartenenti al Sud del mondo? È questa
la giustificazione di una denominazione particolare? Nei primi momenti, la
letteratura della migrazione è stata essenzialmente una narrazione la cui
voce narrante era interna al personaggio protagonista. Si è trattato molto
spesso di autobiografia. È diventato allora quasi paradigmatico dire che
letteratura di emigrazione voleva anche dire autobiografismo, tematica ritenuta
estemporanea e dettata solo dalla circostanza per cui, come denuncia la studiosa
Rita Franceschini, se tali autori non fossero emigrati non avrebbero scritto.
La studiosa aggiunge che questa è una "assunzione a priori spesso
smentita dai fatti. La diffidenza sulla qualità della produzione viene
rapportata a tali tematiche." Alessandro Micheletti già qualche
anno fa segnalava la sottostima che veniva fatta dei testi degli immigrati perché
"sono racconti di vita e non possono essere altro". L'autobiografia
è sempre stato un tema affrontato dai maggiori scrittori di ogni letteratura,
tuttavia non si esce dallo stereotipo di considerare i testi degli stranieri di
recente immigrazione solo 'racconti di vita' e quindi privi di ogni valore letterario,
se non incominciando a denominare diversamente questo tipo di produzione. Ogni
classificazione che evoca emigrazione, migrazione, inevitabilmente sottende ormai
una diffidenza sulla qualità della produzione. Ultimamente è
stato lo stesso Gnisci a denunciare che l'interesse degli anglofoni per i migrant
writers è una nuova e più sottile forma di colonialismo culturale.
Ciò avviene non perché chi scrive sono dei writers, ma perché
sono migranti. Dobbiamo considerare testi di letteratura migrante, di narrativa
nascente tutti quelli che sono scritti da stranieri di recente immigrazione in
Italia. oppure solo quelli che sono tematizzati, cioè che riflettono e
parlano di problemi di migrazione? Nel dibattito che si sta sviluppando gli
stranieri manifestano una insofferenza per l'assorbimento della loro produzione
nel filone della migrazione. Si fa la richiesta di considerare la produzione come
letteraria senza alcuna aggettivazione. Da questo punto di vista ogni ulteriore
considerazione sulla specificità di una letteratura migrante o come altro
lo si voglia chiamare sarebbe regressiva. Uno degli aspiranti scrittori, recentemente,
in un dibattito a proposito del testo prodotto da La Tenda e il Centro Sociale
Leoncavallo si è espresso in questi termini: "Essere immigrato è
uno stato d'animo, un modo di gestire la propria esistenza. È la capacità
di poter racchiudere in sé tante ricchezze che un 'bigotto' non può
indicare che come un insieme di contraddizioni". Nell'intervento fatto
quella sera egli era fortemente in contrasto con le prefazioni del libro, a forte
carattere sociologico, che nulla dicevano della connotazione letteraria dei testi. È
possibile che questo avvenga, che si parli di letteratura senza riferirsi ai libri
scritti? Forse anche sì. Forse è del tutto inutile anche un libro
di questo genere se in qualche modo può generare l'equivoco di parlare
di un puro evento, che tale non deve essere, perché tutto rientra nei parametri
della letteratura. Davide Bregola in un articolo apparso sulla rivista Fernandel,
numero 30. dal titolo "La narrativa italiana scritta da stranieri",
oltre agli scrittori citati in questo testo, nomina altri autori non nati in Italia,
provenienti da altri paesi diversi dai "Mondi sud" che hanno scelto
di scrivere in una lingua diversa dalla materna. Sono polacchi, ungheresi, statunitensi,
cechi. Se non sono eurocrati, certamente non appartengono alla categoria degli
stranieri arrivati in Italia per motivi di lavoro, di sopravvivenza che scoprono
la necessità di dedicarsi anche allo scritto. Non è un caso che
tutti questi autori hanno visto le loro opere pubblicate da importanti case editrici,
mentre quelli di cui si tratta in questo saggio fanno enorme fatica a trovare
l'interessamento delle case editrici. Dovremmo concludere che la letteratura
della migrazione è attinente essenzialmente alle tematiche espresse? Oppure
che le tematiche vanno anche viste alla luce dei soggetti che scrivono? Il
discrimine passa proprio attraverso la provenienza degli scrittori che li rende
unici nelle tematiche che si affrontano, nei personaggi che entrano nell'immaginario
narrato, negli ambienti che si descrivono. La rivendicazione di una denominazione
diversa da assegnare sta proprio nelI'invito a superare pregiudizi e presupposizioni
supponenti. Non è solo un rieducarsi, per una rifondazione di un nuovo
umanesimo letterario ed etico. II rischio di questo atteggiamento mentale è
quello dello sfruttamento ai fini della risoluzione del punto morto a cui si è
arrivati nella letteratura. È la consapevolezza che ormai la società
europea sta diventando altro, che da ora in avanti sarà altro e che
non vale solo consegnare: ciò che risulta più fecondo è co-investire
energie, esperienze, culture perché nasca qualcosa di nuovo, 'nascente'
appunto. Io penso che i cinesi, i senegalesi, i filippini, gli slavi, i sudamericani
che si fermano in Italia possano diventare nuovi autori della letteratura italiana
e possano portare un rinnovamento linguistico, letterario. Forse proprio per
questo sarebbe opportuno ripropone il termine di "letteratura nascente""
D'altra parte, qualunque sia la denominazione, quello che è più
urgente è il parlarne. Recentemente il prof. Carmine Chiellino al seminario
del luglio 2005 organizzato dalla rivista Sagarana, ha proposto la denominazione
di "letteratura interculturale" per tutta quella letteratura scritta
da autori stranieri di recente immigrazione in Italia che scrivono in Italiano.
La sua relazione è stata poi pubblicata dalla rivista Sagarana nel
numero di ottobre. La tesi di fondo è così dichiarata: "Per
il Novecento europeo emigrazione, immigrazione ed esilio vanno annoverati tra
gli impulsi che hanno concorso in modo decisivo al rinnovamento delle letterature
nazionali perché ne hanno smorzato l'autoreferenzialità entro cui
esse hanno rischiato di perdersi". Questa tesi è del tutto condivisibile.
Ma ad una lettura attenta poi si comprende che quanto scritto oggi da autori stranieri
di recente immigrazione non appartiene al rinnovamento della letteratura nazionale
perché viene prima sul piano temporale, ma specialmente perché si
colloca in un incrocio fra letteratura e lingua che appartiene al bilinguismo,
non essendo delle letteratura nazionale.
I
passaggi logici del professor Chiellino sembrano i seguenti: a)
C'è una letteratura nazionale essenzialmente monolingue; b) chi si sposta
in un altro paese se scrive nella lingua del paese ospitante si esprime in un
bilinguismo per le metafore, la cultura del paese d'origine che possono essere
preponderanti. Si fa allora letteratura interculturale: e) le generazioni nuove
derivanti da coloro che si sono spostati e fissati in un altro paese riscrivono
in un sostanziale monolinguismo riprendendo temi di emigrazione e per questo rinnovando
la letteratura nazionale; d) ci può essere chi emigrato scrive nella lingua
d'origine rinnovando anch'egli la letteratura nazionale d'origine, assumendo ancora
comunque un monolinguismo. Da questo punto di vista ogni tesi che tenda a ipotizzare
un possibile incrocio. "contaminazione" contaminazione (termine respinto
dal Prof. Chiellino) fra lingua-letteratura di colui che si sposta in un altro
paese e la lingua-letteratura del paese ospitante, diviene di fatto un'operazione
ideologica, perché impossibile. Da questo punto di vista non si pone
nessuna letteratura della migrazione perché di fatto risulterebbe impossibile
questo incrocio bilingue-biletterario. Non ci sarebbe un lettore adatto, non ci
sarebbe il lettore capace di andare al di là della letteratura nazionale.
Infatti Chiellino inventa l''interlocutore', categoria di lettore a sé
e transitorio. Egli afferma, infatti, che "in realtà l'operazione
che li rende interculturali è l'interruzione del patto che lega scrittore
e lettore all'interno delle letterature nazionali. Si tratta (da parte dello scrittore
di letteratura nazionale) di un patto di lealtà alla propria appartenenza
culturale, che consiste nel fatto che scrittore e lettore si riconoscono depositari
di una lingua e di una memoria comune. La letteratura interculturale non rispetta
questo patto". "Le opere, ma non per forza tutte, degli autori interculturali
hanno la tendenza a sostituire il lettore nazionale con il lettore a-nazionale
e di accostargli un interlocutore, che sia in grado di seguire lo svolgersi dell'opera
al di là della lingua in cui essa è scritta". "L'interlocutore
è colui che leggendo le opere degli autori di lingua inglese, francese,
italiana o tedesca, riesce a seguire l'opera anche nel suo contesto storico-culturale
indiano, tunisino, argentino, ceco. spagnolo, svizzero, brasiliano, italiano,
iraniano. turco, ecc. per cui il lettore nazionale spesso si trova di fronte a
un'opera di cui sente che gliene sfugge una dimensione altrettanto determinante
come quella che riesce a cogliere attraverso la sua lingua madre. In tal senso
il lettore nazionale scopre l'interculturalità, lo confronta con dei limiti
e gli richiede rispetto delle diversità all'interno della "sua"
lingua. La "letteratura della migrazione" diventa così una
operazione ideologica, cioè si elimina d'un sol colpo, con la rimozione
dei prefissi "e/im", sia la letteratura della emigrazione che quella
della immigrazione, facendo scomparire la responsabilità dei paesi di partenza
e d'arrivo riguardo agli emi/immigrati. L'analisi del prof. Chiellino diventa
qui meno lucida. Direbbe egli infatti che si inventerebbe una letteratura della
migrazione per il semplice fatto che non si sono fatti i conti con la letteratura
della emi e della immi grazione L'Italia avrebbe un peccato d'origine perché
non avrebbe mai affrontato compiutamente né la letteratura della emigrazione.
né quella della immigrazione. Qualche accenno si troverebbe in alcuni autori,
come Verga. Pirandello, Alvaro. Le
esemplificazioni e interpretazione portate dal professore e scrittore non sempre
convincono. specialmente quelle su Verga. Pirandello. Ciò che si evince
da tutta l'analisi di Chiellino è una sorta di separazione fra letteratura
nazionale e letteratura interculturale. Intanto il lettore nazionale non può
comprendere l'opera dello scrittore interculturale, solo l'interlocutore è
capace di cogliere la valenza delle opere interculturali. Neppure è possibile
fare critica, perché il lettore nazionale mancherebbe degli strumenti necessari
per valutare un'opera di un autore appartenente ad un'altra lingua. "Questo
è il modello per cui chi scrive critica letteraria su di voi non riuscirà
mai a farla". Una tesi completamente opposta è sostenuta dallo scrittore
Kundera nel saggio pubblicato da Adelphi. dal titolo Il sipario. Questi infatti
afferma che i maggiori critici di capolavori erano nativi di nazioni diverse da
quelle dell'autore delle opere e spesso non conoscevano neppure la lingua in cui
era stata scritta l'opera ma solo una traduzione. Non è indifferente infatti
l'idea dello scrittore di origine ceca che afferma che le letterature nazionali
incominciano ad essere superate. Intanto vediamo se la letteratura italiana
si è disinteressata della emi/immigrazione e se veramente l'alta letteratura
italiana non abbia affrontato il problema della emi/immigrazione. Un primo
dato ineccepibile è che la letteratura italiana nasce come letteratura
del viaggio, dell'esilio, della emigrazione. Dante è l'esempio più
luminoso e primigenio. La lingua nazionale nasce come letteratura della emigrazione,
dell'esilio. Ma Dante è il "migrante" per eccellenza perché
non emigra in un posto fisso e non ritorna alla sua amata Firenze. Ma se la
lingua usata da Dante era il fiorentino, sua lingua nazionale allora, certo Dante
non voleva rivolgersi solo ai fiorentini, ma a quegli intellettuali che allora
popolavano la penisola italiana e che erano a-nazionali, per il fatto di non essere
fiorentini. Dante non usava né un monolinguismo, né un bilinguismo,
ma un plurilinguismo che è la lingua di chi vuole porsi in contatto diretto
con la realtà senza separazioni forzate fra l'ipotetico pubblico dei lettori.
La lingua di Dante è di per sé una lingua "contaminata'". Ma
facciamo alcune considerazioni su Verga e Pirandello: Verga, se non direttamente,
esprime una sua valutazione per quello che attiene a possibile emigrazione e immigrazione. Non
penso, come afferma Chiellino, che il pensiero di Verga sulla emigrazione possa
essere captato interamente dal cap. XI de "I Malavoglia". È pur
vero che la Longa sembra morire per facilitare la partenza di 'Ntoni, ma essa
è alla fine condannata, perché 'Ntoni ritorna tutt'altro che ricco
ed anzi la sua emigrazione è l'inizio della sua perdita. Se 'Ntoni aspetta
la morte della madre per andar via è perché la sua infrazione non
assuma l'aspetto della irreparabilità e perché sulla famiglia Toscano
non cadano eventi negativi più gravi e irrimediabili a causa della sommità
delle infrazioni commesse. L'idea conservatrice e oppositiva ad ogni forma
di progresso. identificata dall'ideale dell'ostrica è il punto focale all'interno
del quale si situa ogni spostamento spaziale di personaggi. L'emigrazione è
uno spostamento spaziale che di per sé è una violazione della religione
della comunità, è una infrazione che richiede riparazione. Chi
esce fuori dal proprio contesto, dalla propria comunità d'appartenenza,
similmente a chi tenta di scalare la propria classe sociale, va incontro a sicuro
fallimento. È un vinto. Anche l'ingresso o il rientro all'interno di una
comunità viene considerato una violazione della stabilità e conservazione
della comunità stessa e quindi soggetto alla stessa condanna. Si pensi
a personaggi come Nanni, Turiddu per citare i più famosi. Ma anche in una
novella come "Tentazione" in cui i protagonisti (tre operai) fuoriescono
dallo spazio di lavoro, la mutazione spaziale diviene l'elemento poetico-ideologico
giustificativo della violenza perpetrata nei confronti della giovane donna che
incontrano per strada. Il processo migratorio nel momento in cui Verga scriveva
era solo agli inizi ed è giustificabile che egli non ne abbia parlato direttamente
e diffusamente. Desta, invece, meraviglia il fatto che di migrazione ne parli
pochissimo Pirandello. L'emigrazione dall'Italia è nel pieno della sua
esplicazione. Sono gli anni in cui fuoriescono dal nostro paese fino a 800.000
persone all'anno. Le due novelle invocate da Chiellino "Lontano" e "Al
n. 13 è morto un signore" non sono vere storie di emigrazione. In
"Lontano", Lars, il protagonista della novella, non è un emigrato,
ma una persona che per circostanze fortuite ha dovuto rimanere in un luogo non
appartenente a quello della sua nascita e cultura. Il tema, caso mai, riguarda
la capacità di inclusione od esclusione di una comunità di fronte
a uno straniero. Perché sono fatti sostanzialmente diversi quelli dello
spostamento per necessità economiche, da quelle per lavoro, per studio,
a quelle per casi fortuiti. Le dinamiche di inclusione ed esclusione sono totalmente
diverse, anche perché sono diversissimi gli atteggiamenti di chi si trova
ospitato per circostanze diverse. Nella novella "Lontano", non necessariamente
Lars doveva essere uno straniero, poteva solo essere un diverso della comunità
di Severina per i più svariati motivi. Anche l'altra novella, invocata
da Chiellino, non ha come tema centrale il problema della emigrazione e del ritorno. Il
silenzio di Pirandello, l'aver dato così poco spazio alla tematica migratoria,
è riferibile a un senso di colpa. di vergogna? Certamente avrà avuto
notizia dei maltrattamenti riservati agli italiani che arrivavano in America,
ma forse i referenti sociali dei suoi scritti volevano ignorare il fenomeno e
Pirandello li accondiscende. In qualche novella il tema della emigrazione è
fatto presente anche se è del tutto secondario rispetto al tema principale.
Quando ciò accade la posizione del novelliere siciliano appare del tutto
simile a quella di Verga. Si pensi alla novella "L'altro figlio"
in cui chi ha emigrato ha perso i valori morali, tradizionali quali il rispetto
nei confronti della propria madre, la quale infaticabilmente quasi settimanalmente,
quanti erano i viaggi organizzati per emigrare nella "merica", inviava
lettere ai suoi figli anche se non riceveva da anni risposta. Tuttavia in Pirandello
la migrazione non acquista una accezione del tutto negativa. Infatti egli ammette
la possibilità di una migrazione mentale e non, che è capace di
portare soluzione alla gabbia in cui l'uomo si trova costretto dai rapporti sociali
formalizzati. La possibile fuoruscita di Mattia Pascal avviene allorché
egli si allontana dal suo paese, dalla sua famiglia, dalla sua comunità. Belluca
necessita di evasione mentale, data da altri luoghi, per riuscire a risopportare
le condizioni di vita impossibili in cui si trova. D'altra parte se parlare
di "letteratura della migrazione" si rischia di fare una operazione
ideologica, non meno ideologica è la separazione fra letteratura nazionale,
monolingue, e letteratura interculturale, bilingue, senza alcuna possibile interrelazione. È
ideologico, infatti, non considerare la realtà che è quella di una
persona che, nel momento in cui si trasferisce in un altro paese e prende contatto
con un'altra cultura, tenta di cogliere i suoi presupposti, i suoi reconditi significati
e li confronta, li "mescola" con i suoi, li "ibrida". Il
suo atteggiamento di vita risulta modificato, il suo modo di pensare produce sempre
nuove sintesi e la sua eventuale produzione letteraria sarà ricca di confronti,
commistioni, elementi letterari della sua cultura d'origine con quella della letteratura
del paese ospite. Il lettore sarà "straniato", ma non è
estraneo alla possibilità di lettura del nuovo prodotto. Nello schema
proposto dal prof. Chiellino, considerando le letterature rigide nei loro rapporti
con le lingue "nazionali" si salta a pie' pari il concetto di plurilinguismo
così acutamente proposto all'attenzione da Bachtin. Poiché, a
mio parere. non penso si sia arrivati ad un punto terminale sulla discussione
della terminologia userò indipendentemente sia il termine "letteratura
nascente" che "letteratura della migrazione".
(Testo
del quarto capitolo del saggio Letteratura nascente, letteratura italiana della
migrazione. Autori e poetiche, Raccolto edizioni, Milano, 2006)
Raffaele Taddeo nasce a Molfetta (Bari) l'8 Giugno 1941. Laureatosi in Materie Letterarie presso l'Universitā Cattolica di Milano, cittā in cui resiede, ha insegnato italiano e storia negli istituti tecnici dal 1978.
Nel 1991 ha fondato, in collaborazione con alcuni amici del territorio di Dergano Bovisa, il Centro Culturale Multietnico La Tenda, di cui č presidente.
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