|  La 
letteratura della migrazione vista "dal resto del mondo" 
 René 
Caringella
   
  
 
  
 
  Dal mio punto 
di vista di cittadino latinoamericano, anche se figlio di genitori europei, e 
completamente radicato in Venezuela, provo a fare una riflessione su un tema che 
ovviamente mi interessa: quello della letteratura che si è venuta a chiamare 
"migrante", e degli scrittori che nella loro vita affrontano un processo 
in certo senso irreversibile, che li porta alla necessità di ricercare 
nella loro lingua d'adozione - sia questa estranea alla loro cultura linguistica, 
sia invece una sorta di memoria ancestrale e rudimentale - la loro lingua vitale, 
permeata di realtà e immediatezza; ma guardando la questione da un altro 
punto di riferimento, se vogliamo "dall'esterno", poiché il continente 
latinoamericano insieme agli altri paesi mal chiamati in via di sviluppo, viene 
in un in qualche modo considerato dall'occidente sviluppato "il resto del 
mondo", o peggio una sorta di periferia storica e culturale.Come cittadino 
latinoamericano, l'esperienza mi dice che le letterature/opere tendono a radicarsi 
dentro una lingua, dentro una cultura, una tradizione; a farla propria, a reinventarla 
se vogliamo: radicarsi è "l'istinto primario" delle opere, nonostante 
non possa essere quello dell'autore o della persona. Quindi, dovendo utilizzare 
l'aggettivo "migrante", penserei alle persone e non alle opere, penserei 
alle figure dell'emigrante e dell'emigrato, alle loro esperienze spesso difficili 
e travagliate e incubatrici di future opere o espressioni culturali.
 Visto 
da lontano, il fatto che si parli di una letteratura della migrazione non richiama 
a un fenomeno
 da sempre esistito? La presenza di dialetti, di lingue volgari, 
e di ibridazioni d'ogni tipo, non è stata nel continente europeo, una caratteristica 
d'alta compiutezza letteraria? E queste opere non hanno avuto forse la tendenza 
ad estraniarsi dalla realtà linguistica autoctona, e a trasformarla, e 
a trasformarsi in archetipi? La grande letteratura in lingua inglese degli Stati 
Uniti è forse unitaria? Un esempio su tutti: la straordinaria diversità 
degli spagnoli latinoamericani e le loro divergenze e confluenze, e i loro arcaici 
elementi fondanti, non sono forse un esempio di profonda e vivificante ibridazione, 
la cui complessità, e migranza se vogliamo, linguistica non è stata 
mai messa in dubbio e neanche isolata?
 Quindi, la specificità con cui 
vengono osservate e analizzate le opere degli scrittori stranieri-emigrati che 
scrivono in una lingua d'adozione non sarà forse effetto di anticorpi troppo 
gelosi di fronte alla presenza di organismi "contaminanti"? Un fenomeno 
che nel nostro "resto del mondo" non viene notato e considerato nello 
stesso modo, basti pensare a tutti gli scrittori d'origine italiana, e in genere 
europea, che scrivono in tante lingue diverse, alla produzione dei loro-nostri 
emigrati. Reputo più importante, a mio avviso, concentrare l'attenzione 
sull'esperienza individuale, e tuttalpiù sull'opera singola che ne scaturisce, 
sul soggetto separato e permeato da una cultura d'adozione, approfondire l'interiorità 
di chi si insedia in un'altra cultura, e la sua storia personale di smarrimento 
e angoscia, e allo stesso di incubazione.
 
 
 
 
 
 (Traduzione di Gregorio Carbonero.)
 
 
 
  
René Caringella, č un compositore e musicista venezuelano. La sua famiglia, d'origine italiana, č emigrata in Venezuela alla fine dell'ottocento. 
 
 
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