Dziady

Adam Mickiewicz



(...) (Ad Adolfo). Narri a questi signori quel che han fatto a Cichowski.

UN UFFICIALE SUPERIORE
Cichowski lasciato libero?

IL CONTE
Ha passato tanti anni in prigione...

IL CIAMBELLANO
Io pensavo che fosse già nel sepolcro. (Fra se) Stare ad ascoltare simili cose non è molto prudente, ma andarsene nel mezzo del racconto sarebbe malacreanza. (Se ne va).

IL CONTE
Lasciato libero?... Mi fa meraviglia.

ADOLFO
Non l'hanno trovato in colpa.

IL MASTRO DI CERIMONIE
Chi parla qui di colpe? Vi sono altri motivi... Chi é stato un pezzo in prigione ha veduto, ha udito molte cose... e poi il governo ha le sue opinioni, ha i suoi scopi segreti che deve nascondere... E' affare di stato... misteri politici... un pensiero di gabinetto. Così avviene dovunque... sono segreti di stato... Ma il signore è di Lituania - Eh! Eh! - E ciò al signore fa meraviglia. I signori della campagna vogliono conoscere tutte le volontà di sua maestà, come se si trattasse della loro azienda. (Ride).

UN PAGGIO
Il signore é di Lituania. e parla polacco?... Non comprendo affatto... Io pensavo che in Lituania fossero tutti russi. Della Lituania ne so meno, per Dio, che della Cina.

LA SIGNORINA (ad Adolfo)
Narri, signore, è una cosa interessante, nazionale.

ADOLFO (tutti si avvicinano ed ascoltano)
L'ho conosciuto da quando ero fanciullo. Era giovane allora, vivace, allegro e per bellezza famoso; era l'anima delle riunioni; bastava soltanto che comparisse e tutti divertiva col racconto e con gli scherzi; amava i fanciulli. mi prendeva spesso sulle ginocchia. Tra noi fanciulli aveva il nomignolo di signore allegro. Ricordo i suoi capelli d'oro, ricordo il suo sguardo: doveva esser giulivo. innocente, perché quando ci guardava pareva infantile. c nel guardarci ci attirava con la sua pupilla, e noi nel guardare lui pensavamo fosse un nostro compagno. Egli allora doveva sposarsi; mi ricordo che portava a noi fanciulli i doni della sua futura sposa e che c'invitò anche
alle nozze. Poi per molto tempo non venne e in casa dicevano che non si sapeva dove fosse finito, che era scappato all'insaputa di tutti, che il governo lo cercava, ma che ancora non aveva potuto scoprirne le tracce; finalmente si disse che si era suicidato, annegato. La polizia confermò queste congetture con una prova; fu trovato il suo mantello sulle sponde della Vistola. Fu portato il mantello alla moglie; essa lo riconobbe: era morto, ma il cadavere non fu trovato, e così passò un anno. Perché si era suicidato? Ci si domandò, si fecero delle congetture, si pianse, lo si compianse e finalmente lo si dimenticò. E passarono due anni... Una sera i prigionieri erano condotti dal convento al Belvedere ". Era una sera oscura e piovosa: non so se per caso o a bella posta ma qualcuno era testimone di quella processione: forse uno di quei coraggiosi giovani di Varsavia che spiano la dimora ed il nome dei prigionieri. Le sentinelle stazionavano nelle vie, nella città c'era un silenzio profondo... in quel mentre qualcuno da dietro al muro gridò: "Prigionieri, chi siete?". Cento nomi furono pronunciati, fra essi fu udito anche il suo nome e all'indomani venne fatto sapere alla moglie. Ella scrisse e corse, pregò, supplicò ma fuori del nome di lui non poté udire più altro. E anche il terz'anno passò senza notizie, senza scoprirne traccia. Però, non si sa da chi, fu sparsa voce in Varsavia ch'egli vivesse ancora, che lo torturavano, che si rifiutava di confessare e che fino a quel momento non aveva deposto nulla; che per molte notti non gli concedevano di dormire, che lo nutrivano di aringhe e non gli davano da bere: che lo ingozzavano d'oppio, gli suscitavano fantasmi, spettri; che lo solleticavano sotto i piedi, sotto le ascelle... ma di lì a poco altri vennero arrestati e incominciarono a parlare degli altri: la moglie piangeva, tutti lo avevano dimenticato.
Finalmente poco tempo fa, una notte, suonarono a casa della moglie. Aprirono: un ufficiale, uno sgherro armato e un prigioniero... Lui! Ordinarono si portasse carta e penna e che si sottoscrivesse che era tornato vivo dal Belvedere. Presero la ricevuta, e dopo averlo minacciato col dito: "Se parli..." non terminarono e come vennero se ne'andarono via. Era proprio lui... Corsi a vederlo; un amico mi fece osservare: non ci andare oggi perché incontrerai sulla porta una spia. Andai l'indomani: sulla soglia v'erano degli sgherri della polizia. Ritornai dopo una settimana; non mi ricevette perché ammalato. Finalmente, ora non é molto, l'incontrai in carrozza fuor di città... Mi dissero che era lui. perché io non lo avrei riconosciuto. Si era ingrassato, ma era una pinguedine orribile: il pessimo nutrimento e l'aria pestilenziale lo avevano gonfiato; le guance gli tremolavano giallastre e livide; sulla fronte aveva rughe di mezzo secolo; i capelli erano tutti caduti. Lo salutai: egli non mi riconobbe, non volle parlarmi; gli dissi chi ero e mi guardò distratto. Quando gli accennai i particolari della nostra antica amicizia, egli mi fissò negli occhi. scrutandomi... Ah! Tutto quel che aveva sofferto nelle sue quotidiane torture e tutto quello che aveva meditato nelle sue notti insonni, tutto compresi in un solo istante da quello sguardo!... Tuttavia in quello sguardo c'era un velo che incuteva terrore; aveva le pupille simili a frammenti di vetro che restano tra le finestre ferrate delle prigioni, il colore delle quali é grigiastro come una ragnatela e, visti di fianco, brillano come arcobaleno: vi si scorge una ruggine di sangue, delle scintille, delle macchie oscure, ma con lo sguardo non siamo in grado di penetrarli totalmente: hanno perso la trasparenza. ma dalla superficie si vede che sono stati in luoghi umidi, deserti, fra la terra, nel buio...
Dopo un mese tornai di nuovo; pensai che avrebbe potuto riconoscere sé stesso nel mondo e richiamare i propri ricordi. Ma egli aveva passato tante migliaia di giorni sotto la tortura dell'inchiesta, tante migliaia di notti aveva conversato solo con sé stesso, tanti anni lo avevano crucciato con le torture quei tiranni; tanti anni quelle pareti che avevano un orecchio lo tennero rinchiuso e tutta la sua difesa era - il silenzio, e unica sua compagna - le tenebre: che alla vivace città non riuscì di cancellare in un mese l'impressione di tutti quegli anni. Il sole gli sembrava una spia, il giorno un delatore, i suoi domestici guardie, l'ospite un nemico. Se qualcuno andava a visitarlo in casa, al rumore della serratura pensava subito: vengono ad interrogarmi; si rivolgeva da un'altra parte e appoggiava la testa fra le mani, pare raccogliesse tutta la presenza e la forza dello spirito, stringeva le labbra affinché le parole non sfuggissero da sé; abbassava gli occhi, perché le spie non indovinassero qualcosa dal suo sguardo; interrogato, credeva sempre di essere in prigione, si rifugiava in fondo alla stanza e lì, nell'ombra, cadeva a terra, gridando sempre queste due frasi: "Io non so niente, io non dirò niente". E questi due motti sono diventati il suo intercalare. La moglie e il figlio dovevano in ginocchio piangere a lungo attorno a lui, prima che potesse vincere il proprio terrore e la propria diffidenza. I prigionieri amano narrare della loro passata prigionia: io credevo ch'egli ce la narrasse da cima a fondo", che facesse uscire da
sottoterra alla luce la sua storia, malgrado la vigilanza degli sbirri, la storia di tutti gli eroi della Polonia - dal momento che ora la Polonia vive e fiorisce fra le tenebre della terra; le sue gesta, in Siberia, nelle fortezze, nelle prigioni - e che rispose egli alle mie domande? Che dei suoi patimenti egli stesso non sapeva ormai più nulla, che non ricordava!! La sua memoria era ammuffita sottoterra come un volume di Ercolano; l'autore stesso, resuscitato. non saprebbe leggervi. Soltanto disse: ne chiederò al Signore Iddio, Egli tutto ha scritto, Egli tutto mi ricorderà. (Adolfo si asciuga le lagrime. Lungo silenzio). (...)






(Brano del romanzo Dziady, Edizioni La Fenice, Roma, 2006. Testo a cura di Elena Ludovica Cirillo.)


 

Adam Mickiewicz (1798-1855). Il più grande autore del romanticismo polacco nasce a Zaosie presso Nowogrodeck e muore a Costantinopoli mentre era intento a organizzare la legione polacca a sostegno dell'esercito turco contro lo zar. Visse a Vilna dove studiò, poi a Dresda, Losanna, parigi e Roma, città che amò come "una seconda patria". Gli Dziady e Grazyna (1823) sono le sue più lunghe opere in versi. Si ricordano inoltre il racconto poetico Corrado Wallenrod (1828) ispirato al Corsaro di Byron e il grande Pan Tadeuz (1834).



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