L'OLOCAUSTO
NELLA MITTELEUROPA ORIENTALE
George
H. Hodos
La
storica divisione dell'Europa pregnò non solo il carattere
dell'antisemitismo, ma anche e in maniera decisiva quello dell'olocausto.
Nell'Europa Orientale il genocidio si compí in modo concertato
e spontaneo, un mattatoio pianificato e compiuto dai regimi fascisti
e dalle popolazioni. Nel suo carattere brutale e pogromesco si
distinse fondamentalmente dalla complicità indiretta della
popolazione europeo-occidentale. È fuor di dubbio che la
"soluzione finale" sia stata ispirata, promossa, sostenuta
e realizzata dalla Germania hitleriana, ma è stato il "comune"
rumeno, ungherese, slovacco, croato, lituano e - nella misura
in cui gli fu possibile - polacco a massacrare volontariamente
gli ebrei del proprio paese con o senza l'uniforme dell'esercito,
della gendarmeria, della polizia o dei paramilitari fascisti.
Quest'olocausto autonomo ebbe luogo parallelamente a quello tedesco,
ovvero in stretta relazione ad esso.
Il genocidio degli ebrei nella Mitteleuropa orientale costituí
l'apice di un'oppressione durata tra alterne vicende piú
di 450 anni, e causata principalmente dal secolare feudalesimo
consolidato ed esacerbato dalla "seconda servitú della
gleba", ma anche dall'intopparsi della "rivoluzione
borghese dall'alto" che aveva prodotto un capitalismo deforme,
privo di una borghesia autoctona degna di tal nome. L'eredità
feudale dell'antisemitismo religioso può essere riscontrata
in molti simboli del fascismo europeo-orientale, per esempio nella
Fratellanza della Croce e nella Legione dell'Arcangelo Michele
di Codreanu, nell'anteriore Fratellanza della Falce ungherese
e nel successivo partito delle Croci Frecciate, e non meno nella
funzione dirigente pro-fascista della Chiesa slovacca e croata.
Nei paesi prevalentemente agricoli della regione era ancora molto
vivida l'immagine dell'ebreo quale assassino di Cristo.
Il genocidio regionale fu un prodotto eminentemente casereccio,
ma senza l'ascesa di Hitler non ci sarebbe stato un olocausto
né nella Mitteleuropa orientale né da altre parti.
Date le condizioni storiche causate dalla Germania, i popoli mitteleuropeo-orientali
eseguirono il loro olocausto privato. Il fatto che in confronto
ai 4,5 milioni di ebrei deportati ed assassinati dai tedeschi,
essi arrivarono ad ucciderne "solo" poco piú
di un milione e mezzo, dipese semplicemente dalle loro forze insufficienti.
Nei propri paesi e nei territori occupati dalla loro modesta forza
militare, i popoli mitteleuropeo-orientali trucidarono tutti gli
ebrei che caddero in loro mano o li consegnarono ai tedeschi:
gli Ungheresi nelle regioni "liberate" della Cecoslovacchia,
Jugoslavia e Romania, i Rumeni in quelle dell'Unione Sovietica.
Tutti costoro sono ugualmente responsabili, ognuno in misura delle
proprie capacità, di un genocidio.
Romania
Il 21 Giugno 1941 la Romania prese parte all'offensiva contro
l'Unione Sovietica con l'obiettivo di riconquistare la Bessarabia
e la Bucovina, due regioni che erano state occupate l'anno prima
dall'URSS. L'offensiva dell'esercito rumeno veniva accompagnata
da pogrom e massacri di inaudita ferocia. I territori venivao
praticamente "liberati" da tutti gli ebrei. La prima
misura che i rumeni mettevano in atto in ogni villaggio e città
in cui entravano era quella di rastrellare e ammazzare gli ebrei
e i comunisti. Limitiamoci qui ad un paio di esempi che risaltano
per le enormi dimensioni e l'efferatezza. Immediatamente dopo
l'entrata dell'esercito rumeno a Cernáuti, il capoluogo
della Bucovina, piú di 2000 ebrei vennero assassinati in
meno di 24 ore dalla soldatesca scatenata, da bande di legionari
armati e dalla canaglia locale. A Chisin?u, il capoluogo della
Moldavia, piú di 10.000 ebrei vennero massacrati solo nei
primi due giorni dell'occupazione rumena. Durante l'offensiva
in Ucraina persero la vita nel pogrom di Mogiljov 4.000 ebrei.
Dopo la presa di Odessa il comandante di un Lager di raccoglimento
costituito in tutta fretta diede ordine di appiccare fuoco a un
complesso di stalle dove erano alloggiati 5.000 ebrei vecchi e
malati, i quali bruciarono vivi. I restanti 43.000 ebrei in salute
vennero invece fucilati in un bosco dei dintorni. 200 tra loro
vennero risparmiati per ammucchiare i cadaveri. Dopo che le guardie
ebbero dato fuoco alle pile di corpi, vennero fucilati anche gli
"aiutanti".
Dietro la linea del fronte era la plebaglia locale ad incaricarsi
dello sterminio. L'amministrazione militare rumena coordinava
insieme alle autorità locali la deportazione degli ebrei
sopravvissuti nei campi di concentramento aperti nelle regioni
occupate.
Nel Settembre del 1942, piú o meno sei mesi dopo l'apertura
dei Lager della morte in Polonia, Hitler diede istruzioni ad Antonescu
di deportarvi gli ebrei della Romania. Antonescu dapprima esitò
e alla fine si rifiutò di obbedire, non per scrupoli di
coscienza, ma perché gli era chiaro che la guerra era ormai
persa. Allorché nel Marzo del 1944 l'Armata Rossa cominciò
ad avvicinarsi ai territori "liberati", i Lager dovettero
essere trasferiti in territorio rumeno. Piú di 300.000
ebrei rumeni, il 40% del totale, perirono durante la deportazione,
nei Lager e nei pogrom. Ad essi vanno aggiunti i 150.000 ebrei
ucraini trucidati durante l'occupazione. I Rumeni non ebbero bisogno
dell'aiuto tedesco, riuscirono a realizzare tutto questo con le
proprie forze.
Ungheria
Fino all'occupazione tedesca del 19 Marzo 1944 l'Ungheria costituiva
un'eccezione tra gli stati satelliti della Mitteleuropa orientale.
A quell'epoca in Romania era già stato deportato nei lager
della morte il 40% dei cittadini ebrei. Negli stati-marionetta
Slovacchia, Croazia, Polonia e Serbia erano già stati spediti
nei lager o trucidati dall'80 al 95% degli ebrei. Nell'Ungheria
ingrandita per grazia di Hitler da parti della Slovacchia, Transilvania
e Jugoslavia erano invece stati ammazzati "solo" 62.000
ebrei, il 7,6% degli 825.000 complessivi. I motivi di un cosí
lento inizio sono già stati riferiti: il governo della
destra conservatrice prendeva tempo nella speranza da un lato
di conservare l'indipendenza del paese, dall'altro di compiacere
Hitler e i fascisti indigeni. Inoltre l'alleanza tra la grande
borghesia ebrea e l'alta aristocrazia magiara continuava di fatto
a funzionare anche sotto il governo del conte Pál Teleki.
La fase preparatoria dell'olocausto ungherese ebbe inizio nel
Luglio del 1941 con il massacro di 18.000 ebrei magiari residenti
nei territori slovacchi "liberati". I gendarmi ungheresi
li avevano rastrellati e deportati a Kamenez-Podolsk, dove un'unità
composta da Ungheresi, Tedeschi e Ucraini li trucidò. Una
simile strage risultò utile alla politica a due facce della
classe dirigente, e serví perfino a metterle a posto la
coscienza, dato che gli ebrei massacrati non possedevano la cittadinanza
ungherese.
A questo episodio seguí poi nel Gennaio del 1942 il bagno
di sangue di Ujvidék e dintorni, un territorio "liberato"
della Jugoslavia divisa. Con l'approvazione dei loro superiori,
i soldati ungheresi riunirono circa 1000 uomini, donne e bambini
ebrei e li fucilarono nel Danubio spingendo con lunghe pertiche
sotto il ghiaccio i cadaveri riaffioranti per cancellare ogni
traccia. Questa miscela tra le stragi feroci pianificate dalle
alte sfere dell'esercito e quelle compiute dalle "semplici"
squadre di sorveglianza caratterizzò anche il destino degli
ebrei arruolati coattivamente nel 1942-43 nei battaglioni di lavoro
assegnati sul fronte russo, i quali dapprima vennero decimati
dalle fucilazioni di massa e dalle disumane condizioni di lavoro,
e poi, durante la lunga ritirata dell'esercito ungherese sconfitto,
fucilati singolarmente o abbandonati allo stremo delle forze sul
ciglio della strada, dove erano destinati al congelamento. A Kiev
i lavoratori coatti venivano rinchiusi in baracche a cui le squadre
di sorveglianza appiccavano fuoco. Le centinaia di ebrei che riuscivano
ad uscire dagli edifici in fiamme venivano poi falciati dalle
mitragliatrici. Di 38.000 lavoratori coatti ne perirono 20.000,
senza contare le vittime di combattimento e i prigionieri dell'Armata
Rossa.
La fase successiva dell'olocausto ungherese fu di tipo "occidentale"
ed ebbe inizio con l'occupazione nazista del 19 Marzo 1944. Dietro
incarico tedesco, gendarmi e poliziotti ungheresi rastrellavano
gli ebrei che vivevano nei ghetti della provincia e accalcandoli
in vagoni per il bestiame li consegnavano al confine ai tedeschi,
che li deportavano nei campi di concentramento. La suddivisione
del lavoro tra pianificazione tedesca, realizzazione ungherese
e sterminio tedesco corrisponde al modello "occidentale",
con tuttavia due caratteri prettamente mitteleuropeo-orientali.
Il primo è l'enorme numero di vittime - quasi mezzo milione:
tutta la popolazione ebrea della provincia venne deportata nell'arco
di sei settimane. La seconda differenza riguarda l'estrema ferocia
con cui la gendarmeria ungherese, rigonfia del piú profondo
antisemitismo, svolse la propria parte nell'opera di deportazione.
Perfino i tedeschi restavano scioccati da tanta mancanza di scrupoli
- scioccati, ma pieni di ammirato sostegno. Solamente gli ebrei
che avevano trovato rifugio a Budapest vennero dapprima protetti
dal governo-marionetta aristocaratico-conservatore, il quale fiutava
l'inevitabile sconfitta dei tedeschi.
Con la presa del potere del partito fascista delle Croci Frecciate
il 15 Ottobre 1944, ebbe inizio l'ultima fase dell'olocausto ungherese,
che mirava a sterminare con la sua ferocia mitteleuropeo-orientale
i 230.000 ebrei di Budapest. Il pogrom cominciò la notte
stessa, allorché gli sgherri fascisti aggredirono tutti
gli ebrei che riuscivano a trovare. Nelle sei settimane che restarono
fino all'assedio della città da parte dell'Armata Rossa,
i fascisti ungheresi rastrellarono 76.000 ebrei e li spedirono
nei campi di concentramento tedeschi. Alcune unità paramilitari
delle Croci Frecciate organizzarono una marcia della morte nel
gelido inverno per 50.000 ebrei destinati al lavoro coatto in
territorio tedesco. Solo 35.000 arrivarono al confine, i restanti
15.000 vennero lasciati congelare sul ciglio della strada, picchiati
a morte o fucilati durante il cammino.
Nella Budapest assediata le milizie fasciste arrestavano per strada
gli ebrei per costringerli allo scavo di trincee nei quartieri
periferici. Durante gli spostamenti alcuni ebrei venivano fucilati
e gettati nel Danubio perché non riuscivano a camminare
piú velocemente, altri durante il lavoro perché
non riuscivano a scavare piú in fretta.
Entro Dicembre tutti gli ebrei erano concentrati nei ghetti. Chiunque
veniva sorpreso per strada o nascosto da qualche parte senza la
stella di David veniva fucilato sul posto o condotto in una caserma
delle Croci Frecciate, dove veniva rapinato, torturato e ucciso
con un colpo. Il cadavere poi veniva gettato nelle acque gelide
del Danubio. Bande armate di fascisti perquisivano gli ospedali
alla ricerca di ebrei, i malcapitati pazienti venivano trascinati
fuori e lasciati congelare nella neve.
Per la liquidazione definitiva dei ghetti vennero costituite unità
speciali della milizia. La data della "soluzione finale"
venne fissata per il 15 Gennaio. Il comando venne ritirato solo
all'ultimo momento da un ufficiale tedesco, il quale temeva che
la strage potesse pregiudicare la difesa di Budapest. In ogni
caso era troppo tardi. Il 18 Gennaio l'armata Rossa liberò
Pest. A Buda le Croci Frecciate resistettero invece ancora un
mese, e le loro milizie eseguirono pogrom fino all'ultimo giorno.
Solo grazie alla liberazione sopravvisse circa la metà
degli ebrei di Budapest.
Polonia
L'aggressione tedesca ebbe per la Polonia un tragico esito. Quasi
tre milioni di civili - "Untermenschen" (esseri inferiori)
nel ductus nazista - vennero uccisi dai tedeschi, una cifra piú
o meno corrispondente a quella delle vittime ebree. In conseguenza
di ciò il contributo polacco all'olocausto è stato
ridotto - ma comunque rilevante per il nostro discorso: seppure
essi stessi vittime, i polacchi furono a un tempo carnefici.
Pochi giorni dopo l'aggressione tedesca, la popolazione civile
cominciò a saccheggiare botteghe e abitazioni ebree. Nel
momento in cui i soldati tedeschi prendevano di mira gli ebrei,
ottenevano il plauso e la collaborazione del popolo. La polizia
e la gendarmeria polacca, i miliziani e i volontari civili denunciavano
in segreto gli ebrei ai tedeschi. Quando nel 1942 cominciò
l'evacuazione dei ghetti verso i campi della morte, i contadini
polacchi attendevano impazienti coi loro carriaggi per cominciare
il saccheggio. I gendarmi appoggiavano spesso i tedeschi nella
sanguinaria opera di fucilazione e aiutavano la Gestapo a scovare
gli ebrei che si nascondevano. I contadini nei piccoli villaggi
catturavano gli ebrei e li trasportavano alle città, talvolta
li assassinavano sul posto. L'olocausto ebbe luogo alla luce del
giorno e sotto gli occhi di milioni di polacchi, i quali nel complesso,
per esprimersi cautamente, fecero poco o niente per impedirlo1.
Durante l'occupazione nazista il governo polacco in esilio a Londra,
insieme alle sue organizzazioni clandestine, disegnava quasi unanimamente
la futura Polonia come uno stato unitario, omogeneo e privo di
ebrei. Roman Knoll, un alto funzionario del governo in esilio,
in un memorandum dell'Agosto 1943 avvertiva come "il ritorno
di masse di ebrei sarebbe sentito dalla popolo come (...) un'invasione
contro la quale il paese si sarebbe difeso, anche fisicamente"2.
Una settimana dopo l'aggressione tedesca all'Unione Sovietica,
il generale Rowecki dell'esercito patrio controllato dal governo
in esilio riferí in un telegramma di un pogrom a Brest:
"La popolazione dei territori orientali saluta spontaneamente
i Tedeschi come liberatori dall'oppressione sovietica, nella quale
gli ebrei rivestono un ruolo significativo"3.
In Polonia soppravvissero all'occupazione tedesca meno di 100.000
ebrei, mentre un anno piú tardi ne rientrarono circa 250.000
dall'Unione Sovietica, dove avevano trovato rifugio. Nell'immediato
dopoguerra infuriarono pogrom per tutto il paese. Tra il 1945
e il 1947 in piú di cento città vennero uccisi da
bande armate di anticomunisti polacchi ed ucraini e dalla canaglia
locale circa 1500 ebrei, con l'accusa di essere "tirapiedi
dei soviet" o semplicemente perché dopo il ritorno
avevano tentato di rientrare in possesso delle loro abitazioni
e dei loro beni. Spesso i pogrom cominciavano con la medievale
accusa di perpetrare omicidi rituali.
Le sollevazioni antisemite erano nutrite dalla presenza di ebrei
in alte cariche dell'apparato amministrativo installato dai soviet,
specialmente nei servizi di sicurezza. Nel suo rapporto del 15
Luglio 1946 l'ambasciatore americano Arthur Bliss Lane giustificava
con indulgenza la caccia all'ebreo per il fatto che "l'80,
forse il 90 per cento dei Polacchi è contro il governo,
e in special modo contro il piccolo ma influente gruppo di ebrei
indottrinati in Unione Sovietica"4.
Le posizioni tradizionalmente antisemite della chiesa polacca
sopravvissero all'occupazione tedesca. Dopo che un gruppo di 250
ebrei di Kielce (dei 25.000 originari) aveva fatto ritorno in
città per ristabilirvisi, venne lanciata una granata nella
sinagoga. Il cardinale Hlond espresse il suo "sincero rammarico"
per l'aggressione, ma quando una rappresentanza del comitato ebraico
lo pregò di intercedere presso la popolazione per calmare
gli animi, il cardinale ribatté che gli ebrei erano sí
ottimi medici e avvocati, ma non dovevano immischiarsi in politica
offendendo cosí il sentimento nazionale dei Polacchi. Alcuni
giorni piú tardi scoppiò un pogrom in cui caddero
vittima 65 ebrei. Il cardinale espresse nuovamente il suo rammarico
per la perdita di vite umane, ma diede la colpa dell'accaduto
alle vittime stesse, aggiungendo che "la responsabilità
per il peggioramento delle condizioni di vita ricade in gran parte
sugli ebrei, che oggi rivestono funzioni rilevanti nel governo"5.
Slovacchia
e Croazia
Chiudiamo questa panoramica sull'olocausto autoctono mitteleuropeo-orientale
con la Slovacchia e la Croazia. Sebbene quasi il 25 per cento
degli ebrei slovacchi sia stato spedito dai Tedeschi - con la
solerte collaborazione del Primo Ministro monsignor Tiso - nelle
camere a gas di Auschwitz, altri 25.000 finirono massacrati nei
campi di concentramento locali sotto il comando della Guardia
fascista di Hlinka. La Chiesa cattolica diede la sua benedizione
all'annientamento degli ebrei alla maniera solenne della Mitteleuropa
orientale: "La ragione della tragedia del popolo ebraico
risiede nel fatto che essi non riconobbero il Messia e gli inflissero
una morte crudele sulla croce. Gli ebrei non hanno mai abbandonato
la loro ostilità nei confronti del Cristianesimo".
Non meno brutale fu l'olocausto regionale in Croazia. Un quarto
degli ebrei venne deportato ad Auschwitz, ma anche quasi tutti
i restanti vennero assassinati nei 27 campi di concentramento
locali. Anche qui lo stato fascista ottenne l'appoggio incondizionato
della Chiesa cattolica. L'arcivescovo Saric, membro del partito
Ustaa al potere, scrisse inni in lode al "Führer"
paragonandolo a Cristo. Un frate francescano, anch'egli membro
del partito, divenne comandante di un campo di concentramento.
In questa sede occorre menzionare un aneddoto emblematico per
la Mitteleuropa orientale. Secondo quanto riferisce il Los Angeles
Times del 2 Maggio 1998, Dinko Sakic, nella sua funzione di comandante
dei due Lager croati piú famigerati Jasenovac e Stara Gradika,
ordinò di caricare su diversi autocarri 1500 donne e bambini
ebrei appena arrivati, quindi di collegare il tubo di scappamento
al cassone di carico e di girare intorno al Lager finché
i passeggeri non fossero tutti morti. Sua moglie, un'alta funzionaria
Ustaa, era solita recarsi di notte nei dormitori femminili
per indicare l'una o l'altra prigioniera ordinando alla guardia
di strangolarla con un laccio. Dopo la guerra i due coniugi fuggirono
in Argentina con l'aiuto del Vaticano. Nel 1999 vennero estradati
e messi sotto processo nella "democratica" Croazia.
La signora Sakic venne assolta da tutte le accuse, il processo
contro il marito venne invece "aggiornato" per lo stato
di salute dell'imputato.
1
Jan T. Gross, Neighboors. The Destruction of the Jewish Community
in Jedwabne, Poland, Princeton 2001
2 Michael Checinski, Poland - Communism, Nationalism,
Antisemitism, New York 1982, pp. 9
3 Krystyna Kersten, The Establishment of Communist Rule
in Poland 1943-1948, Berkeley 1991, pp. 218
4 Ibid., pp. 219
5 Ibid., pp. 218; Checinki, pp. 21
6 Bela Vago/ George L. Mosse, Jews and Non-Jews in Eastern
Europe, 1918-1945, New York 1974, pp. 226
7 Il 4 Ottobre 1999 Dinko Sakic è stato condannato
a vent'anni di carcere (n.d.t.)
(Traduzione
di Antonello Piana)
Estratto
da "Mitteleuropas Osten" (L'oriente mitteleuropeo),
BasisDruck Verlag, Berlino 2004, traduzione dall'inglese americano
di Veit Friemert
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