ANTISEMITISMO
NELLA REGIONE MITTELEUROPEA ORIENTALE
George
H. Hodos
Come
si è detto, intorno all'anno 1500 i paesi appartenenti
a questa regione scelsero la seconda servitù della gleba
come risposta alla crisi generale dell'Europa, cosa che prolungò
di secoli la durata del Feudalesimo. L'elettorato del Brandeburgo
fu il primo a distaccarsi dall'area occidentale, poi, nell'arco
di un ventennio, fecero seguito la Polonia, la Boemia e l'Ungheria,
le quali costituirono ben presto le più importanti strutture
sociali dell'Impero Asburgico. L'agricoltura era fondata su un
brutale sistema di lavoro coatto mentre l'economia urbana, allo
stadio ancora embrionale, andava in rovina.
Durante il lungo periodo della seconda schiavitù della
gleba, tutta la regione si caratterizzò per un antisemitismo
di tipo medievale, che perdurò in Ungheria e in Prussia
fino al XIX secolo, in Polonia ed in Romania addirittura fino
al XX inoltrato. Agli ebrei veniva interdetta la proprietà
terriera, per cui erano costretti ad accontentarsi di semplici
attività economiche e finanziarie, previa la benevolenza
dei feudatari, i quali confinavano arbitrariamente gli ebrei nelle
città e nei villaggi e potevano disporre dei loro spostamenti.
Gli ebrei vivevano sotto la perenne minaccia di sanguinosi pogrom,
ai quali erano esposti come capri espiatori per il regime di sfruttamento
imposto dal feudalesimo o sotto il pretesto degli omicidi rituali
di cui erano sospettati.
Piú o meno nel periodo in cui in Inghilterra, Olanda e
Belgio gli ebrei vivevano liberi e indisturbati, a decine di migliaia
venivano trucidati in Polonia durante una rivolta contadina e
altre migliaia furono uccise dai soldati austriaci in Ungheria
in occasione della riconquista di Buda, con l'accusa di essere
"agenti turchi". Pochi anni dopo la Rivoluzione Francese
gli ebrei vennero nuovamente cacciati da Pest. Nella Valacchia,
il cuore della Romania, furono barbaramente uccisi più
di cento ebrei ritenuti colpevoli di omicidi rituali. In Galizia,
il bottino asburgico nella Polonia spartita, gli ebrei caddero
vittime di un progrom medievale scatenato da accuse di incesto,
un anno dopo la proclamazione degli atti di emancipazione in Francia.
Polonia
La Polonia era uno dei paesi più arretrati d'Europa, e
il suo impianto socio-economico, ancora orientato prevalentemente
sull'agricoltura, era dominato dai grandi possidenti terrieri,
i quali rappresentavano meno di mezzo punto percentuale della
popolazione. Dall'altra parte vi erano cinque milioni di contadini
privi di terra. Tra questi due estremi, il 65% del territorio
era suddiviso in minuscoli appezzamenti neppure sufficienti a
sfamare una sola famiglia. Soltanto nel 1937 la produzione industriale
tornò ai livelli del periodo antecedente la guerra, ma
anche in quella fase peraltro tardiva contribuiva a meno di un
terzo del reddito nazionale. Il reddito pro capite polacco si
attestava ad un quarto di quello dei paesi occidentali.
Un altro aspetto dell'arretratezza mitteleuropeo-orientale viene
attestato dal fatto che gli ebrei costituivano una parte considerevole
della borghesia. Il contorto capitalismo dell'epoca li aveva catapultati
nelle nuove strutture economiche dalla loro posizione feudale
di finanzieri-"paria" e piccoli commercianti. La loro
brusca ascesa fu sostenuta dal medievale disprezzo verso qualsiasi
attività imprenditoriale, ritenuta indegna dalla nobiltà
polacca. Nei dieci anni successivi al 1921 la percentuale di ebrei
nel settore dell'artigianato, del commercio e dell'industria crebbe
dal 19 al 60%, sebbene gestissero prevalentemente piccole imprese
(che in tempo di guerra erano ancora la maggioranza), commercio
al minuto o lavorassero come artigiani. La loro influenza sulla
grande industria in fase di crescita rimaneva minima. Circa l'80%
degli ebrei polacchi viveva al di sotto della soglia ufficiale
di povertà.
In determinati settori l'apporto degli ebrei era invece determinante.
Ancora a metà degli anni '30, allorché lo stato
fascista si accingeva ad allontanarli dalla vita economica, gli
ebrei possedevano il 69% dell'industria tessile, l'88% dei mulini,
delle pelliccerie e delle attività legate all'abbigliamento,
nonché il 76% dei conservifici. Inoltre controllavano tra
il 90 e il 100% delle esportazioni di materiali tessili, di conserve
e di cereali, e la metà delle attività commerciali.
Un quarto degli avvocati e più della metà dei medici
proveniva dalle loro file.
La predominanza in questi settori nonché la loro relativamente
alta percentuale sul totale della popolazione (3,3 dei 31,3 milioni
di abitanti) fece degli ebrei il capro espiatorio per ogni male
che affliggeva la Polonia. Un fattore determinante dell'antisemitismo
che dilagava ovunque nel paese era il perdurare del regime di
casta nella maggioranza degli ebrei non assimilati, oltre alla
lingua yiddish, al loro abbigliamento caratteristico e al loro
rituale religioso. La sociologa Celia Heller scrive nella sua
opera ormai classica: "La maggioranza del popolo polacco
non aveva bisogno di affibbiare agli ebrei una stella di David
[
] l'80% di essi era riconoscibile anche senza".1
Gli ebrei erano considerati elementi estranei alla società
polacca, intrusi di rango inferiore da temere e disprezzare. Solamente
un decimo se non meno dei tre milioni di ebrei era assimilato,
in gran parte si trattava di intellettuali, artisti, accademici
ed esponenti all'alta borghesia. Ancora nel 1939, poco prima dello
scoppio della guerra, solo il 12% degli ebrei considerava il polacco
come la propria lingua materna. L'assimilazione di molti generava
poi un'ulteriore etichetta negativa, quella dell'ebreo senzadio,
nemico dei valori cristiani e contaminatore della cultura polacca.
Le disposizioni del Trattato di Versailles del 1919, che esigevano
tra l'altro eguaglianza di diritti per gli ebrei, furono ignorate
sin dall'inizio. L'antisemitismo divenne il collante ideologico
di tutti i governi polacchi. Anche la dittatura relativamente
tollerante di Pilsudski dovette piegarsi alle pressioni dell'opinione
pubblica e spostarsi sempre più a destra. Per qualunque
governo la soluzione di tutti i problemi sembrava essere quella
di liberare il paese dagli ebrei. Dapprima venne proibita loro
la fabbricazione di prodotti tradizionali come tabacco, sale,
fiammiferi e alcolici, poi vennero esclusi dalle industrie e dalle
attività commerciali statalizzate. Agli artigiani ebrei
venivano rifiutate le licenze per l'esercizio della professione
e le banche statali bloccavano i crediti alle loro imprese. Il
boicottaggio dei negozi gestiti dagli ebrei fu inizialmente tollerato
in silenzio e in seguito attivamente sostenuto. Nei mercati venivano
distrutte le bancarelle degli ebrei e minacciati i clienti cristiani.
Le università divennero focolai dell'antisemitismo. Gli
ebrei furono relegati in studentati a parte. L'agitazione incessante
portò alla proclamazione della "giornata senza ebrei",
che presto diventò una "settimana senza ebrei".
Nelle aule si allestivano "banchi-ghetto", gli studenti
ebrei venivano picchiati, allontanati, perfino uccisi. Per impedire
agli ebrei l'accesso alle università venne introdotta inizialmente
una quota "informale", successivamente venne promulgato
un rigido numero chiuso.
In un paese prevalentemente cattolico, in cui la maggioranza della
popolazione credeva ancora a medievali omicidi sacrificali, un
importante sostegno all'antisemitismo fu dato dalla Chiesa. Prediche
e pubblicazioni appoggiavano l'espulsione degli ebrei dalla comunità
cristiana. La lettera pastorale del cardinale Hlond costituì
il culmine di quella propaganda. Pur condannando le violenze,
diede la propria benedizione alle campagne antisemite in ambito
economico e culturale: "Gli ebrei combattono la chiesa cattolica
e rappresentano l'avanguardia dell'ateismo e del bolscevismo.
[
] L'influenza degli ebrei sulla morale è fatale,
poiché ingannano, praticano l'usura e commerciano schiavi
bianchi. [
] E' bene evitare botteghe e mercati ebrei.2
Con
la "dichiarazione ideologica" del regime militar-fascista,
l'antisemitismo ufficiale raggiunse nel 1937 il suo apice. La
liberazione del territorio polacco dagli ebrei divenne l'obiettivo
principale della politica. La popolazione non aveva affatto bisogno
di un simile incitamento. Già due anni prima in tutto il
paese erano scoppiati pogrom spontanei, organizzati, tollerati
o solo inscenati. Gli ebrei venivano picchiti e assassinati, cacciati
da villaggi e città, le loro abitazioni saccheggiate e
incendiate, le loro botteghe demolite. L'ondata di pogrom durò
fino alla vigilia dell'invasione tedesca.
Alla "Dichiarazione Ideologica" fece seguito un piano
per la preparazione della massiva emigrazione coatta degli ebrei,
ma evitando accuratamente l'utilizzo della parola "deportazione".
La lunga ricerca di un luogo in cui potessero essere trasportati
si rivelò vana. Le porte verso la Palestina erano chiuse,
gli Stati Uniti si nascondevano dietro una rigida quota di immigranti,
e la richiesta del governo alla Società delle Nazioni di
allestire delle colonie sotto mandato polacco venne rifiutata.
Una commissione fu spedita persino in Madagascar, ma fece ritorno
senza aver ottenuto alcun risultato. Furono i tedeschi a risolvere
il problema, sbarazzandosi degli ebrei polacchi nel paese in cui
erano nati - ovvero nel campi di concentramento di Oswiecim-Auschwitz/Birkenau,
Chelmno, Belzec, Sobibor, Majdanek e Treblinka.
1
Celia Stopnicka Heller, On the Edge of Destruction: Jews of Poland
between the Two World Wars, New York 1977, pp. 69.
2 Ibid., 113.
Traduzione
di Adelchi Martini
Estratto
da "Mitteleuropas Osten" (L'oriente mitteleuropeo),
BasisDruck Verlag, Berlino 2004, traduzione dall'inglese americano
di Veit Friemert
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