ANTISEMITISMO E OLOCAUSTO NELL'EUROPA OCCIDENTALE
George
H. Hodos
La svolta nel processo di riforma delle fatiscenti strutture feudali
avvenne in Inghilterra nel XVII secolo. Contemporaneamente e come
conseguenza di questo riassetto, l'emancipazione degli ebrei conobbe
una spinta in avanti. Dopo che nello stesso secolo era stata loro
nuovamente concessa l'immigrazione, il riconoscimento dei diritti
d'uguaglianza procedette di pari passo con il superamento del
feudalesimo. Ben presto non esistettero più restrizioni
rilevanti: non veniva imposta alcuna ghettizzazione, la violenza
nei loro confronti era praticamente sconosciuta, e dopo la rivoluzione
industriale caddero perfino le discriminazioni più insignificanti.
Le tirate antisemite di alcuni intellettuali cattolici come Hilaire
Bellocks intorno al 1900 non ebbero alcuna risonanza, e i movimenti
fascisti degli anni '20 restarono teatrali e politicamente insignificanti.
Sebbene l'organizzazione di Oswald Mosley si fosse guadagnata
durante la crisi degli anni '30 una certa influenza, le sue sobillazioni
contro gli ebrei ebbero un risvolto fatale poiché lo avvicinarono
alle posizioni di Hitler, la cui tipologia di antisemitismo poteva
essere sopportata solo da pochi eccentrici.
Belgio e Olanda seguirono il modello inglese. La precoce urbanizzazione
portò ad un'emancipazione di fatto degli ebrei, e all'occupante
rivoluzionario francese non restò altro da fare che legalizzare
i loro diritti. Fino alla crisi degli anni trenta del XX secolo,
l'uguaglianza degli ebrei in entrambi i paesi non venne piú minacciata.
In Francia la riorganizzazione dei soggetti bancari e commerciali
in senso capitalistico iniziò nel XVII secolo. Gli ebrei
praticamente non vennero coinvolti in questo processo. Nel 1306
erano stati cacciati dal paese. A partire dal XVI secolo fu loro
concesso di ritornare, anche se solo in piccoli gruppi isolati
costretti a vivere in condizioni semi-medievali. Il conflitto
tra una persistente monarchia assolutista di stampo feudale e
le nuove, ambiziose forze sociali culminò nella rivoluzione,
che piantò le fondamenta socio-politiche della democrazia
borghese e regalò agli ebrei uguaglianza di diritti.
All'apice del suo potere rivoluzionario, la Francia governava
molte aree del continente occidentale. Le sue istituzioni e le
sue leggi venivano adottate automaticamente o venivano prese a
modello dalle amministrazioni delle realtà locali.
Paradossalmente proprio in Francia, il paese che aveva esportato
l'emancipazione borghese, si manifestarono i primi segnali di
risveglio dell'antisemitismo. Anche se gli ebrei avevano rapidamente
ottenuto tutti i diritti civili, cent'anni piú tardi la
loro emancipazione non si era ancora completamente realizzata.
Ciò risultò evidente con l'affare Dreyfus, un ebreo
che si era arrischiato a scalare gli alti ranghi dell'esercito,
ancora sigillati ermeticamente da un cattolicesimo di stampo monarchico
e conservatore.
Lo sciovinismo, un cattolicesimo orientato a destra e il timore
di una classe operaia organizzata ispirarono una quantità
di movimenti antisemiti di scarsa rilevanza e di breve durata,
costituiti prevalentemente da intellettuali. Il più noto
fu l'Action Française, iniziata dallo scrittore
Charles Maurras, la cui importanza si limitò a determinati
circoli letterari nei quali comunque godette di una certa influenza.
L'Action Française agí fino agli anni '30
e '40 come un episodio ai margini dell'ambiente monarchico-intellettuale
e dal carattere puramente accademico. Curiosamente, lo straordinario
saggio di Eugen Weber sulla storia della destra in Francia a partire
dalla Rivoluzione dedica all'antisemitismo soltanto pochi capoversi
delle 41 pagine che trattano il periodo.
L'antisemitismo non rimase tuttavia una questione puramente accademica
e durante gli anni '30 si espanse considerevolmente. Ciò fu dovuto alla crisi economica mondiale, alla minaccia comunista
alla quale si vedevano esposte le indebolite strutture capitaliste
e all'ascesa trionfale del fascismo tedesco, il cui odio verso
gli ebrei aveva contaminato l'intero continente.
Nonostante le conseguenze catastrofiche della crisi, le stabili
strutture occidentali si rivelarono resistenti alla contaminazione
antisemita. In Francia, la monarchica Action Française si consolidò fino a una certa misura. Il suo seguito radicale,
la militarista Croix de feu, era troppo debole per mettere
in pericolo l'ordine democratico. Entrambi i movimenti tra l'altro
non erano di stampo apertamente fascista e mancavano del sostegno
di parti consistenti della destra conservatrice. Soltanto le frange
nazionalsocialiste intorno a Marcel Déat und Jacques Doriot
ottennero qualche successo durante la crisi di Monaco del 1938,
associando lo slogan disfattista Mourir pour Dantzig? (Morire
per Danzica?) al motto Mourir pour les juifs? (Morire per
gli ebrei?)
Anche in Olanda e Belgio divampò un antisemitismo alimentato
da Berlino. Il movimento nazista olandese allargò la propria
sfera d'influenza raggiungendo l'8% alle elezioni del 1935, ma
soltanto due anni più tardi la sua percentuale di voti
scese al 3,8%, e l'anno successivo era praticamente scomparso.
Come il loro corrispondente olandese anche i due partiti fascisti
belgi, i Rexisti e gli Autonomisti Fiamminghi, erano sostenuti
dal partito nazista tedesco. Dopo alcuni iniziali successi, nel
1939 la percentuale dei Rexisti sprofondò al 3,8%, mentre
i fascisti fiamminghi non parteciparono nemmeno alle elezioni.
Alla vigilia delle guerra entrambi i partiti erano politicamente
morti.
In Francia, Olanda e Belgio i partiti simpatizzanti col nazismo
risorsero per mano dei loro maestri tedeschi, dai quali furono
issati al potere in qualità di alleati nella crociata di
Hitler contro la democrazia, il comunismo e gli ebrei.
L'olocausto
occidentale è un ricordo vivo, la sua tragica storia non
ha bisogno di una descrizione dettagliata. All'occupazione fece
seguito la collaborazione su vasta scala. I regimi-marionetta
divennero strumenti in mano alle forze di occupazione. La loro
polizia raggruppava gli ebrei in Lager transitori e li consegnava
ai tedeschi destinandoli alla deportazione e allo sterminio, mentre
la popolazione "ariana" taceva e assisteva più
o meno con indifferenza, talvolta perfino con approvazione.
Prima dell'inequivocabile sconfitta dell'esercito tedesco non
vi fu in nessun paese una resistenza organizzata per il salvataggio
degli ebrei. L'unica eccezione fu rappresentata dallo sciopero
generale degli operai olandesi nel Febbraio del 1941, scaturito
in parte per protesta contro l'inizio delle deportazioni di massa
- la cattura di 400 ebrei e il loro trasferimento nei campi di
concentramento. Piú tardi la polizia locale sostenne devotamente
la deportazione di 105.000 ebrei olandesi, il 75% del totale,
mentre l'eccezionale salvataggio degli ebrei danesi con l'aiuto
della popolazione si verificò nove mesi dopo la capitolazione
dell'esercito tedesco a Stalingrado.
Solo nel 1943, dopo i fatti di Stalingrado, il regime di Vichy
osò render noto ai tedeschi che la polizia francese non
avrebbe più avuto il permesso di partecipare alle deportazioni
di ebrei francesi. Fino alla sconfitta di Stalingrado, il comandante
in capo tedesco in Belgio aveva escluso dalle persecuzioni le
forze di polizia locali, ritenute "inaffidabili". Dopo
la débacle tedesca, il medesimo cambiò opinione
a causa dell'esigua disponibilità di uomini nelle squadre
naziste, e ordinò alla polizia belga di collaborare alla
cattura degli ebrei rimasti nelle comunità di Anversa e
di Bruxelles. La polizia belga si rifiutò minacciando una
rottura generale del rapporto di collaborazione. I tedeschi furono
costretti a rinunciare.
L'uccisione di partigiani non rappresentava alcun problema per
la polizia, tuttavia l'assassinio degli ebrei veniva lasciato
alle forze di occupazione tedesche. Una delle poche, famigerate
eccezioni fu Paul Touvier, il comandante fascista delle milizie
di Vichy a Lione, il quale ordinò un massacro di prigionieri
ebrei per rappresaglia contro l'attentato al ministro degli interni.
Per
il resto, ad assassinare gli ebrei non furono le istituzioni-marionetta
o i partiti fascisti satelliti con le loro organizzazioni paramilitari,
né tantomeno i "normali" cittadini europei occidentali.
Nondimeno tutti costoro aiutarono spesso e volentieri i tedeschi
a mandare a morte più di mezzo milione di ebrei, il 40%
del totale nell'Europa occidentale. Tutti costoro furono più
o meno volenterosi complici di Hitler al fine di sbarazzarsi dei
"propri" ebrei, ma la collaborazione terminava al confine
nazionale. Il cittadino europeo "comune" era probabilmente
felice di potersi impadronire delle proprietà abbandonate
dagli ebrei oppure di denunciare alle autorità gli ebrei
nascosti. Non vi fu però praticamente alcun assassinio
spontaneo o pogrom. Una volta che gli ebrei si trovavano oltreconfine,
il lavoro sporco veniva lasciato ai tedeschi.
(Traduzione
di Adelchi Martini)
Estratto
da "Mitteleuropas Osten" (L'oriente mitteleuropeo),
BasisDruck Verlag, Berlino 2004, traduzione dall'inglese americano
di Veit Friemert
George H. Hodos scrive il suo saggio a partire da un'esperenza
politica e intellettuale da sempre legata a questa parte del mondo.
Nato nel 1921 in una famiglia colta ebreo-ungherese, nel 1937
entra nel Partito Socialdemocratico, nel 1939 passa a quello Comunista.
Durante l'esilio svizzero studia filosofia a Zurigo. Nel 1945
ritorna in Ungheria, attività di redattore economico e
corrispondente della Neue Zürcher Zeitung, collaboratore
del Ministero degli Esteri. Nel 1949 viene arrestato insieme ad
altri compagni del gruppo svizzero, nel 1950 condannato a 8 anni
di carcere nell'ambito del processo Raijk. Nel 1954 viene riabilitato.
Dopo la repressione della rivoluzione del 1956 emigra in Austria,
attività di consulente economico e giornalista. Nel 1969
si trasferisce negli USA, professore in diverse università
californiane. Dal 2002 vive nuovamente a Budapest.
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