AUTOBIOGRAFIE NON VISSUTE
Mia
Lecomte
La Prefazione di Predrag Matvejevic:
I
miei incontri con Mia Lecomte e la sua produzione poetica
si sono svolti in due o tre modi differenti, a livelli complementari.
Ho conosciuto la poetessa prima della sua poesia, cosa che
può aiutare ma anche deludere. Innanzitutto ho incontrato
la persona che mi era venuta a trovare per parlarmi dei propri
progetti editoriali (progetti che in un primo momento mi sono
parsi alquanto utopistici, e quindi simpatici). Sono poi divenuto
amico di "un'attivista delle lettere", del "volontariato" della
cultura (conferisco a queste espressioni tutto il nobile senso
che possono avere): l'ho aiutata ad introdurre la prima e la
seconda antologia balcanica della collana "Cittadini della
poesia" da lei ideata, curata e diretta, dedicata a
quei poeti stranieri che vivono in Italia e cominciano ad
usare
l'italiano come lingua d'espressione letteraria. E ho infine
letto con grande attenzione quello che Mia scrive, cominciando
dai versi delle sue Geometrie reversibili.
Questi incontri mi hanno offerto un repertorio di sorprese:
storie e filastrocche per bambini e, allo stesso tempo, per
adulti che
hanno salvato in sé l'essenziale della propria infanzia,
una riflessione originale e stimolante sugli "animali parlanti" in
letteratura, testi teatrali, e sezioni e raccolte poetiche
nuove e vecchie, da me affrontate senza alcun ordine cronologico:
Litania
del perduto, Replica a soggetto, Periodo ipotetico, Metamorfosi
engadinesi...
Ne ammiro la concisione, il gusto della litote, il modo di procedere
per scorciatoie, di lasciare da parte il superfluo o l'eccesso.
Il suo rifiuto della retorica come delle acrobazie e delle accumulazioni.
Mia Lecomte traduce i propri sogni che si disperdono e si ricompongono,
li rende, non so come, coerenti e anche re-versibili. Cerca
e trova la sua circostanza e potrebbe annoverarsi tra coloro
che
scrivono poemi di circostanza nel significato che Goethe conferiva
a questo termine (Gelegenheitsgedicht) applicandolo ai propri
scritti. Ma poi, in una nuova impresa, rigetta invece impietosamente
ciò che è rimasto legato ad un avvenimento esteriore
o contingente, incontrato in un altro istante, differente. Si
consacra a ciò che viene, e deve venire, senza piegarsi
ad alcuna occasione. Come se un'apparente distanza si facesse
sostituire da un gioco di incidenze eminentemente intime, corporali,
calde. La "geometria" (ciò che Mia Lecomte chiama
così) si mette al servizio di un erotismo sottile, tanto
raffinato quanto sorprendente, senza perdere tuttavia niente
del proprio rigore.
Mi sono meravigliato di veder prodursi questa reversibilità senza
ricorso ai riferimenti che flirtano con i pensieri alla moda.
In ciascuno dei suoi percorsi l'originalità della scrittura,
e dell'ispirazione, si fa chiara, e si lascia seguire e denotare.
Ne risulta una poetica intimista, discreta, disciplinata e allo
stesso tempo aspra, forte, espansiva. Una voce che non si può confondere
con nessun'altra, che persevera nel suo canto, nel suo grido,
così come nel suo destino.
Al momento in cui l'ho capito, i miei incontri con questa autrice,
con la sua opera e la sua attività, si sono confusi,
o ricongiunti, sostenendosi l'uno con l'altro.
Scrivo queste righe con una sorta di gratitudine.
CINQUE
POESIE DI AUTOBIOGRAFIE NON VISSUTE:
Vita è quello
che rimane
quando si è perduto tutto.
E' il cane a tre zampe
tutte e tre dritte e forti
e una quarta strappata dall'inguine,
è
la quarta zampa del cane
che nessun altro cane ha voluto
e non smette di piangere l'inguine
e tutte e tre quelle altre, dritte e forti.
Vita, quando si è perduto tutto
e ovvia è la taglia sull'incolpevole
della pietra scagliata, il cieco
che senza quell'unica gamba
la gamba strappata dall'inguine
malgrado le altre, tutte e tre dritte e forti
non può più far tornare il suo cane.
Temi
la radice del mare
quel suo nucleo di fuoco
compreso nel tempo a finire
tante code tutte senza sirene
e la cenere condannate a posare,
la radice che non sa che insinuarsi
e tenere a ogni costo avvinghiata
impietosa a se stessa lontano
da ogni sua superficie sempre a vivo
scorticata nel proprio calore.
L'hai temuta a ogni nuova preistoria
continuato a ogni storia a temere
non sarà che timore ogni ancora
lei soltanto radice a se stessa
all'oscuro di schiume porose
a scontare nella rigida fiamma
la tua ingenua ragione di dire .
L'anima
della tua anima
è
un inutile involucro vuoto
la matrioska intermedia già sterile
una cellula di scaglie coriacee
che non può penetrare la voce -
non c'è polpa senza spina
in terra o sulla croce,
e ancora gattoni caparbio
alla periferia di te stesso,
il dente è più guasto
nella bocca rifatta di fresco -
parole che qualcuno ha voluto
il suono della loro sconfitta
attraversano l'anima vacua
di quell'anima che dicono tua
e non lasciano traccia di sé.
Vorrei
chiudere con il giorno, l'ora
l'attimo in cui eri ancora vivo
e ti hanno detto che invece eri morto,
davvero, così vivo eppure sono morto,
come se semplicemente ti avessero ucciso
oppure ti fossi ucciso da te
andando soprapensiero alla morte,
ma se eri tanto vivo da sembrare vivo
è
perché ancora non conoscevi la morte
e poi hai ingenuamente creduto
di essere morto soltanto un poco
quel poco da sembrare morto
e invece eri morto del tutto tanto
da non poter più ripensare alla morte.
E
allora
di nuovo tutti i tuoi addii
ad anticipare gli addii
la tua nostalgia del futuro
ad anticipare il futuro
nato di nuovo
con una vita conclusa
che avevi già vissuto
e ricominci ora a rimpiangere.
(Le
poesie sono tratte dal libro Autobiografie non vissute,
Manni editrice, Lecce, 2004)
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