POGRADEC NEI MIEI SOGNI

Anastasija Gjurcinova


E' già da un po' di tempo che porto con me un desiderio mai realizzato, un sogno nascosto, che si chiama - Pogradec.

Perché proprio Pogradec?
Da quando ero bambina passo quasi sempre le mie vacanze sul Lago di Ohrid. E dalla casa dei miei genitori, proprio sul lungolago, nel centro della città, chissà quante volte mi sono posta la stessa domanda: che c'è dall'altra parte del lago? E chissà come è? Oggi so bene che questa è una domanda tipica per tutte le persone al mondo che vivono vicino all'acqua, al mare o all'oceano. Sono assolutamente d'accordo anche con la tesi di Predrag Matvejevic, che per noi, macedoni, Ohrid è il nostro mare, ché con quell'intensità dell'azzurro ricompensa il nostro desiderio primordiale delle grandi acque. Ma io, da bambina, cosí spontaneamente e mai incitata da nessuno, diventavo quasi ossessionata da questa strana sensazione, da un'infinita curiosità infantile e da un senso di certi spazi sconosciuti, non ancora scoperti, ma chissà in che modo legati alla mia futura esistenza. Questa sensazione diventava molto più intensa nei giorni sereni, quando il mio sguardo poteva abbracciare anche le più minute caratteristiche delle montagne di fronte e la mia immaginazione infantile riusciva a riconoscervi certi villaggi e concrete abitazioni umane. Ovviamente, l'intensità della sensazione cresceva di notte, quando la nostra fantasia lavora senza freni e molto più velocemente, e le luci dell'altra sponda, che si vedevano assai chiaramente, contribuivano solo al suo accendersi. Più tardi, certo, i miei genitori mi hanno spiegato che quello che io vedevo sull'altra sponda era la parte del lago che appartiene a un altro stato, all'Albania, e che proprio di fronte alla nostra città di Ohrid lí si trova la città di Pogradec. E' tutto qui.
Ma, non so se per l'inconvenienza della situazione politica, per l'asprezza del regime o la chiusura dei confini, comunque, per tutti noi la parte albanese del Lago di Ohrid per molto tempo ha rappresentato uno spazio totalmente sconosciuto e praticamente inaccessibile. Anche per me, nonostante il fatto che passavo almeno due mesi all'anno su questo lago e credo di conoscere tutti gli angoli nascosti che fanno parte della "nostra" sponda, da Sv. Naum fino a Radozda. Però la parte albanese del lago, soprattutto per noi, bambini, era sempre qualcosa di lontano, irraggiungibile. Non so quante volte ho sentito il grido: "Non nuotare cosí lontano! Finirai in Albania!" Oppure: "State attenti se andate con la barca, per non finire in Albania o nelle mani della guardia di frontiera." Fu assolutamente impensabile e realmente impossibile attraversare quella linea sottile del confine e arrivare "lí".
Eppure, la storia andava avanti seguendo il suo percorso, e una decina di anni fa sono stati aperti i varchi di frontiera anche con questo paese vicino. Fu stabilita perfino la linea della nave: Ohrid-Pogradec. Che gioia! Ma, non a lungo. Prima di tutto, l'aspetto finanziario. Una semplice gita di una giornata a Pogradec costava quasi metà del mio stipendio mensile. E poi, la ricerca di compagnia. Molto difficilmente trovavo persone che condividevano i miei desideri. La reazione fu sempre favorevole, ma riservata: sí, molto interessante, perché no, si potrebbe fare. E cosí, gli anni passavano, la linea della nave fu sospesa perché poco vantaggiosa, ma il mio desiderio non diminuiva nella sua intensità.
- "Hanno aperto il varco di frontiera a S. Naum", ho esclamato commossa alcuni anni fa. "Hanno costruito anche la strada. E di là mancano solo alcuni chilometri."
- "Va bene, io vengo fino al monastero. Mi metto sulla terazza del ristorante, con una tazzina di caffé, e ti aspetto lí", risponde decisamente mio marito.
- "Non sei un amico. Dai, ti prego, fammi compagnia."
- "Neanche a pensarci", risponde lui, categoricamente. "Se tu mi portassi in un bel posto, magari in un paese ben ordinato, per trovare bellezze naturali, ma anche un po' di ricchezza, di benessere. Ma in Albania - no grazie!"
- "Va bene", rispondo io, "certo che è bella, ben ordinata e lussuosa la Costa Azzurra, ma io sono attratta da Pogradec. Non vale la pena riflettere su un posto cosí lontano e irraggiungibile per noi, soprattutto in questo momento. Mentre Pogradec è qui, a portata di mano. E chissà come è, di là, la vista del "nostro" lago? Se si vedono Ohrid, Struga, Pestani e Radozda? E la veduta sul monastero S. Naum? Pensa un po', il sole che ti sorge da destra, e tramonta verso il sinistra, tutto all'opposto di qua. E come sarebbe poi questo tramonto? Per noi, visto dalle spiagge di Ohrid, il sole cade sempre lí, lontano, oltre le montagne albanesi. E se tu lo guardi dall'Albania? Dove affonderà allora?"
La mia curiosità non finisce mai. E forse la cosa più bella è che sono riuscita a trasmettere lo stesso sentimento anche a mio figlio. Nonostante la sua età, di soli cinque anni, ogni estate ascolta il mio racconto di Pogradec. Ed è pronto ad accompagnarmi, lui, senza nessuna riserva.
-"Ho sempre detto", sta commentando mio marito, "che sei un po' incline alle avventure. Ed ecco, ora scopro le stesse inclinazioni anche in mio figlio."
-"E allora?" rispondo io. "La nostra curiosità, la disponibilità per le avventure e l'apertura verso il mondo dell'ignoto, possono solo portare nuove qualità alle nostre vite."
-"Sí, ma non a tutti i costi..."
E cosí, discutendo e stuzziccandoci reciprocamente, siamo arrivati a quest'anno, 2001. Sin dall'inizio fu chiaro che sarebbe stato un anno di "crisi". Per la prima volta non eravamo felici con l'arrivo della primavera, perché con il bel tempo si intensificavano anche gli spari. Ho vissuto molto male i primi scontri armati e le prime vittime. Molto presto ho capito che non c'è niente da fare e che "questo", ovviamente, ora sta succedendo, anche a noi. Ho continuato, con tanta disperazione, impotente e con grande amarezza dentro di me, ad osservare tutto quello che succedeva attorno. Mi sentivo male, molto male; tante delle mie illusioni si rompevano a ogni passo. C'erano dei giorni che cercavo disperatamente di fare qualcosa; scrivevo ogni sera ai miei amici all'estero, con nuove informazioni e riflessioni su come vedevo le cose che succedevano attorno. Ma poi c'erano anche dei giorni nei quali temevo che la mia voce non arrivasse da nessuna parte, soprattutto perché non ero sicura, neanche io, di capire veramente quello che succedeva. Cosí, è arrivato il caldo d'esate, che mi ha portato di nuovo sulle sponde del mio lago.
"Vorrei vedere se ora sei pronta ad andare a Pogradec", mi ha chiesto ironicamente mio marito.
Non ho avuto la forza, ammetto, e non l'ho fatto neanche quest'anno. Una gita di questo genere anche a me sembrava una provocazione date le nuove condizioni. A cinque chilometri della nostra casa si firmava il famoso "accordo di pace", con rappresentanti della "nostra" e della "loro" parte. La storia si stava scrivendo attorno a noi; fu grande la tensione. Un'inquietudine è entrata nei nostri cuori, e non è più andata via.
Ma, posso dire che si è spento il mio desiderio di vedere Pogradec? Neanche a pensare. E' sempre qui, vivo e resistente a tutte le osservazioni sfavorevoli e scoraggianti. Ho saputo, in segreto, quale è la procedura per raggiungerlo: ci vuole un visto, di soli dieci dollari, che rilasciano alla frontiera. Veramente poco, in cambio del piacere che mi potrebbe procurare.
D'altra parte, so che può essere una delusione. Come con l'Adriatico, quando l'ho visto dall'altra sponda. L'incontro con la costa italiana del Mare Adriatico all'inizio è stato una grande delusione. Non ho trovato niente degli odori e dei colori che invece ricordavo dall'altra parte, dalla costa dalmata. Ma poi ho conosciuta anche l'altra sponda, l'ho accettata e l'amo cosí, proprio per la sua diversità. Almeno un mistero è risolto. Andiamo avanti.
-"Mamma, neanche quest'estate siamo andati a Pogradec", si lamenta mio figlio, alla fine di agosto.
-"No, caro, proprio quest'estate non conveniva andarci".
Anche a me, come forse a tante altre persone, la cosa più difficile era spiegare a un bambino di cinque anni quello che succedeva attorno. E invece, si doveva fare, perché da un po' di tempo le nostre vite sono totalmente cambiate e non sono più sicura di conoscere precisamente la direzione nella quale si svolgeranno in futuro.
E il mio desiderio di visitare Pogradec sembra che diventi sempre meno realizzabile. Questa è la cosa più scoraggiante. Noi non siamo pronti a vedere la "nostra" realtà con occhi diversi, da un'altra prospettiva. Né "noi" qui, né "loro" lí. E questo rende molto più triste e più infelice la nostra situazione attuale. Mentre io so, avendo studiato a lungo tutte le teorie imagologiche, dal dialoghismo di Michail Bachtin e l'orientalismo di Edward Said fino al balcanismo di Maria Todorova, che lo sguardo sull'Altro è necessario solo per vedere meglio se stessi. Proprio per questo è indispensabile anche a me.
Perciò, non permetto che muoia dentro di me il mio desiderio chiamato Pogradec. La più grande sfida: vedere dall'altra parte la propria sponda, il proprio paese, la propria vita. L'azzuro del lago, forse avrà uno splendore diverso; il sole sorgerà sopra la montagna di Galicitsa, ma da destra, e tramonterà non di fronte, ma dietro di me, dietro le infinite montagne albanesi...
Ah, chissà, chissà come sarà?


Skopje, settembre 2001




Anastasija Gjurcinova, saggista e traduttrice, docente di Letteratura italiana alla Facoltà di Filologia dell'Università di Skopje. Si occupa delle ricerche comparatistiche, soprattutto dei rapporti interletterari e interculturali fra l'Italia e la Macedonia.
Autrice e curatrice dei seguenti libri: Calvino e la fiaba, saggio critico, Skopje, 2000; La letteratura italiana in Macedonia, saggio critico, Skopje, 2000; Il principe di Niccolò Machiavelli, traduzione e postfazione di A.Gjurcinova, Skopje, 1993; Il gioco segreto. Antologia del racconto italiano del Novecento, scelta, prefazione e traduzione di A.Gjurcinova, Skopje, 1996; Poesie di Edoardo Sanguineti, scelta e postfazione di A.Gjurcinova, Skopje 2000.



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