Complotto Shandy: isolato per la solitudine


Enrique Vila-Matas



È molto probabile che le bozze che, verso la fine del 74, trasportai da Barcellona a Parigi fossero quelle delle Prose Apolidi, artefatto letterario che, col tempo, si sarebbe convertito in uno dei miei libri favoriti. Beatriz de Moura, sua editrice in Spagna, mi disse che poiché andavo a Parigi potevo passare dalla casa del peruviano Julio Ramón Ribeyro per consegnargli quelle bozze. Credo che non avessi mai sentito parlare di Ribeyro, ma la missione di cui mi aveva incaricato la presi molto sul serio, come se fosse stata la responsabilità più importante della mia vita. Arrivato a Parigi cercai la fermata della metropolitana più vicina a Piazza Falguière e intrapresi un lungo viaggio fino a casa dello scrittore. Salii una scala ripida, Ribeyro, che stava giocando con suo figlio nell'atrio della casa, aprì la porta nel momento stesso in cui suonai il campanello. Io ero molto timido. Ribeyro, a quanto pare, anche. "Le porto questo", dissi. Dopo ho saputo, dal suo diario personale, (La tentazione del fallimento, Questo straordinario documento, un gran libro, che la Seix Barral ha appena pubblicato in Spagna) , che per Ribeyro c'era un parallelismo tra l'attività di suo figlio e la sua, tra il gioco e la scrittura: "lo stato d'animo che conduce mio figlio ai giocattoli è similare a quello che mi fa sedere davanti la mia macchina da scrivere. Insoddisfazione, noia, desiderio di cedere la parola all'altro o agli altri che sono dentro noi stessi…"
Ribeyro prese le bozze e mi osservò in silenzio. Era alto e magro, mi sembrò di un'ambigua fragilità. "da parte di Beatriz", aggiunsi abbastanza nervoso. Nei secondi che seguirono speravo che lui dicesse qualcosa. Quando mi sembrò che stesse per farlo, scappai, e lo feci per il panico che la mia timidezza e la sua mi avevano provocato. Scesi le scale a grande velocità e quando mi ritrovai al primo piano e sentii che stavo per raggiungere l'aria fresca e libera della strada, udii all'improvviso la voce dello scrittore che arrivava, ammortizzata dalle risate spensierate del figlio, dal vano della lugubre scala.
Sentii perfettamente che mi diceva: "Si calmi".



Julio Ramón Ribeiro


È un paradosso. Il tempo è passato e questo timido, fugace e freddo incontro lo ricordo molto caldo. Ignoro da dove venga questo calore che arriva da tanto lontano e arriva dopo tanto tempo. Fatto sta che il timido peruviano, che quel giorno mi consigliò di calmarmi, era uno che, camminando per il Boulevard Saint-Michel, si accorgeva che il suo andare determinava non solamente quello delle persone che venivano verso di lui, (e che dovevano schivarlo), ma anche quello di coloro che si trovavano cinque, dieci, o cento isolati più lontani. Bastava che cambiasse il suo modo di camminare o che si fermasse davanti una vetrina perché tutta la circolazione dei pedoni accusasse immediatamente una variazione, in apparenza minima, ma le cui ripercussioni erano letteralmente infinite. Un movimento di accelerazione o di retromarcia poteva determinare che a cinque o dieci isolati da lì, un pedone perdesse il verde e dovesse fermarsi ad aspettare o fosse investito da un'auto. Ma si accorgeva anche che, a sua volta, il suo camminare era determinato da quello delle altre persone con le quali si incrociava o andava a sbattere, e constatò che, in realtà, se lui in parte dirigeva, era anche diretto a sua volta. Conobbe molti giorni di pioggia, molti giorni strani. Trascorse metà della sua vita (così come racconta Santiago Gamboa nel suo prologo al diario) seduto nelle terrazze dei caffè, soprattutto quando viveva a Parigi, a guardare la gente che poi trasferiva, anima e corpo, nei suoi straordinari racconti intorno a personaggi sfortunati, senza energia, isolati, emarginati, solitari incontrati nei boulevard periferici della vita. Aveva spiato anche a Monaco, quando ci visse per lungo tempo, ma in una maniera più angosciante : "Annichilito. Da circa un mese non ricevo lettere né da casa mia, né da C., né da Parigi. Ho passato tutta la settimana con la faccia appiccicata alla finestra, spiando l'evoluzione del postino. Il tempo è cambiato. Piove."
Solitario con amori, uomo di ambigua fragilità e di faccia appiccicata a una finestra, uomo che, con il suo camminare errante, collaborava alla modificazione del transito dei boulevard, Ribeyro sentiva la tentazione del fallimento, quello che lo portava a una sensazione continua di scontento e alla dura domanda se quello che stava scrivendo aveva valore. E allo stesso tempo a un furioso desiderio di non realizzare un'opera maestra, per timore che lo si condannasse di non aver fatto altro, cosa che non avrebbe mai potuto sopportare, poiché (così come dice nel suo diario) si sentiva bene solo quando scriveva.
Naufrago di se stesso, visse nel timore dell'opera perfetta continuando a domandarsi se aveva valore quello che scriveva. E di questa contraddittoria e artistica inquietudine ne è testimone il magistrale diario che esce ora, un diario di fatiche di questa fragile e al tempo stesso potente figura che fu Ribeyro, specialista nell'arrivare senza avvisare, come è successo ora con la sua pubblicazione: scrittore capace di rimanere quieto e smarrito sulla terrazza di un caffè e al tempo stesso muoversi per i boulevard modificando il ritmo del mondo. Ribeyro, timido e geniale al tempo stesso. E come lui stesso diceva, uomo smarrito per la solitudine. Niente si apprende dalla solitudine, sosteneva Brecht. Ma, potremmo dire che non si crea niente nello studio del solitario? Non c'è dubbio che la solitudine creò il diario di Ribeyro. Una solitudine, come il diario, molto grande. E ha sempre molto spazio in casa sua, è molto ospitale. Tutti sappiamo che la solitudine non è solo spiare il postino.



(Tratto dalla Jornada Semanal. Traduzione di Samanta Catastini)


Enrique Vila-Matas


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