Ritratto
Vivian
Abenchuchan
Julio
Ramón Ribeyro si dedicò alla scrittura con lo stesso piacere e pazienza
con cui si convive con un vizio: senza rimedio. Sebbene qualche volta confessò
di essere un "edonista frustrato", perché la sua vita si mantenne
sempre sulle fragili " soglie della salute", Ribeyro praticò
l'ebbrezza moderata come metodo di conoscenza e la scrittura come succedaneo del
tabagismo. La sua traiettoria di fumatore attraversa , senza dubbio, uno dei momenti
più felici della prosa latinoamericana: il racconto autobiografico "Solo
per fumatori". Lì, dietro il gas carbonico e l'humor nero che Ribeyro
esala contro se stesso, si nasconde appena la storia di una vocazione letteraria
assunta come una disciplina intransigente, rinunciando a qualsiasi prestigio pubblico
e persino a qualsiasi merito. In più di una occasione, questo fumatore
incorreggibile dichiarò che, per lui, l'atto creativo aveva acquistato
la stessa naturalezza dei vizi: un'abitudine che poi si converte in una malattia
incurabile, autodistruttiva e fanatica ("scrivere è non ascoltare
il canto della sirena della vita"), ma che si rivela, in fondo, come l'unica
medicina possibile contro il grigiore del mondo. Ribeyro non scrive per professione,
forse neppure per vocazione; il suo è un impulso fatale, una necessità
inclassificabile. Smettere di farlo, come smettere di fumare, gli avrebbe reso
la vita insopportabilmente insipida. Ribeyro nacque nel 1929, in una città
che ancora attendeva di essere nominata. Nemico della critica biografica alla
maniera di Saint-Beuve, l'autore di I folletti della domenica, nella prima
pagina della sua autobiografia incompiuta scrisse: "si può essere
una nullità anche se di una stirpe illustre e al contrario un uomo eccezionale
sebbene nato in un ambiente umile e ignorante [
] La mia vita non è
originale né tanto meno esemplare e non è altro che una delle tante
vite di uno scrittore di classe media nato in un paese latinoamericano nel secolo
ventesimo." In cambio, Ribeyro propose nelle sue Prose Apolidi una
critica che si sviluppava intorno alle facce: " Ogni scrittore ha la faccia
della sua opera". Infatti, l'opera di Ribeyro, discreta e inafferrabile,
no meriterebbe altra faccia che quella del suo stesso autore. Nelle poche fotografie
che si conoscono di lui, è sempre in piedi, come se volesse scappare dalla
posteriorità. Magro, debole e timido, i suoi occhi mantengono, invece,
una straordinaria vivacità, intelligente e puntigliosa, le sue labbra fini
scoprono, oltre all'immancabile sigaretta, un sorriso ambiguo, al tempo stesso
ironico e affettuoso. Inoltre, il corpo malaticcio di Ribeyro sembra che stia
sempre nuotando tra i suoi vestiti, come se la compostezza, la fama e la salute
fossero camice troppo piccole e scomode per viverci dentro. Un giorno dopo aver
cambiato gli studi di Legge per quelli di Lettere, il giovane fumatore decise
di rinunciare anche alla sua abitazione e ai suoi documenti professionali per
girare il mondo in cerca della pagina e della sigaretta perfetta. Visse provvisoriamente
a Madrid, Amsterdam, Anversa, Londra, Monaco e Parigi, con niente altro che "una
valigia piena di libri, una macchina da scrivere e un giradischi portatile".
Alieno alle avventure letterarie e mercantili del boom, Ribeyro non visse
mai di quello che scriveva. Al massimo, comprò un pacchetto di Gitane
con il poco che ricevette da una libreria di seconda mano in cambio dei dieci
esemplari del suo primo libro di racconti, Gli avvoltoi senza piume, "che
un caro amico aveva avuto il coraggio di stampare a Lima". Impiegato dell'agenzia
France-Press per quasi dieci anni, lavorò prima come distributore di giornali
e poi come giornalista dei programmi in spagnolo di una radio francese. L'introverso
scrittore peruviano preferiva porsi dietro la notizia, a differenza dei
suoi contemporanei, che cercavano a tutti costi di avere un ruolo pubblico. Continuava
ad avere la certezza che la scrittura si fondasse nella sua irrilevanza sociale,
nell'essere solo "un punto di vista, uno sguardo". In un certo senso,
la narrativa di Ribeyro partecipa a questo impulso di partire, questa impossibilità
di sottomettersi ad un unico passaporto e questa irresistibile disposizione di
passare inosservato. Diversità e concentrazione sono i segni di questa
premura. In momenti in cui i romanzi ricchi e l'ostentazione formale percorrevano
le frequentate strade del gusto editoriale, Ribeyro scommise tutto il suo capitale
letterario sulla brevità del racconto e l'amministrazione scrupolosa del
linguaggio; nella sua leggera ventiquattrore c'era spazio solo per l'essenziale.
Convinto, come tanti scrittori latinoamericani degli anni cinquanta, che le città
esistono solo se sono narrate (gli abitanti fanno e vivono una città, ma
solo gli scrittori le dotano di una seconda realtà, una dimensione durevole),
Ribeyro accettò la sfida di fondare la geografia letteraria della Lima
moderna e indagare sulle sue possibilità narrative ancora inesplorate.
Tuttavia, per decifrare il messaggio caotico del territorio urbano, scelse una
"lente diversa" dai suoi contemporanei. L'impegno totalizzatore, la
visione multifocale e confusa dei narratori del boom (questo che Ribeyro
chiamava l'"aspetto nuovo ricco" della letteratura latinoamericana),
l'autore peruviano vi oppose la cronaca minima e intensa dei fatti comuni e insignificanti.
Come il bambino del racconto "Sulle terrazze", Ribeyro disegna un
mondo immaginario fatto di tratti rotti e inutili, oggetti e persone che non si
adattano in nessun posto, e a quelli che offre un ultimo sguardo. I suoi personaggi
formano una vera società anonima, il cui unico capitale è l'avventura
promessa e non raggiunta, "il consolatore mondo dell'illusione": la
giovane che gira Parigi in cerca di posters turistici per tappezzare la
sua casa e compiere il suo tour immaginario intorno alla sua camera da
letto; l'educatore peruviano che crede di vivere a Parigi una tardiva avventura
amorosa che si rivela invece come un inganno che lo conduce alla morte; il disoccupato
che disegna eleganti biglietti da visita mentre è incarcerato per non aver
pagato il conto
L'antidrammaticità di queste trame si trova nel doppio
gioco di lontano avvicinamento che la sua prosa propone abilmente. Scettico radicale,
ma mai cinico, Ribeyro è alla volta crudele e pietoso, corrosivo e benigno.
Autore
in fuga, autentico "passeggero in transito", Ribeyro si procura identità
e scritture distinte.Nei suoi 87 racconti (Racconti completi, Alfaguara,
1994) transitano vari narratori, derivazioni letterarie, temperature e temi. Racconti
rurali, fantastici, epici, allegorici, satirici, enigmatici, infantili, "da
letterato"; lo stesso accade nella cronaca come nella biografia troncata,
alla critica, alla parabola e alla storia. Non solo: Ribeyro costruisce le sue
frasi "parole per parola" cercando, con singolare ostinazione, di tracciare
una strada verso lo stile neutro, ossia, verso la soppressione di qualsiasi stile.
Scrisse
tre romanzi, qualche opera di teatro, saggi letterari e libri di difficile classificazione,
come I motti di Luder e Prose Apolidi. Nel primo si definì
come un deciso "corridore di distanze corte"; si tratta di una collezione
di frasi dette da un onnipresente personaggio chiamato Luder, scritte senza altra
coscienza se non quella della propria celebrità. Ad un passo dall'aforisma
e dall'aneddoto intelligente, queste citazioni estratte da nessun luogo vanno
disegnando la personalità e la vita occulta di un personaggio che ride
di se stesso con singolare disinvoltura e in cui non è difficile riconoscere
lo stesso Ribeyro. Le
Prose Apolidi sono, per loro parte, il compendio dei molti scrittori che
fu JRR, suo autentico documento di identità. Sintesi di una personalità
fuggitiva, in perpetuo cambiamento, queste prose mancano di "un proprio territorio
letterario": "Non sono, scrive nella Nota dell'Autore, poemi in prosa,
né pagine di un diario intimo, né appunti destinati ad uno sviluppo
posteriore." Nelle Prose
Ribeyro disegna i suoi pensieri, riscatta
l'oziosità delle ore perse, acchiappa gesti quotidiani, racconta aneddoti
che sono spezzoni di racconti, descrive sogni, visioni e intuizioni; consegna
le piccole imbecillità del mondo; scrive saggi istantanei, incapsulati.
Il libro è, così, il continente immaginario e provvisorio (le Prose
conobbero
varie edizioni corrette e aumentate) dove finirono frammenti e appunti sfuggevoli
scritti nel corso degli anni, e che non trovavano posto in nessun libro o genere
definito. Riprendo qui la prosa 161, per trattare un argomento insignificante,
di quelli che piacevano a Ribeyro e per confermare la sua certezza che "tutto
ha importanza, niente ha importanza, qui, ora": "Ho l'abitudine di gettare
le cicche dal mio balcone, in piena Piazza Falguière, quando sono appoggiato
alla balaustra e non c'è nessuno sul marciapiede. Per questo mi irrita
vedere qualcuno fermo lì quando compio questo gesto. Che diavolo ci fa
quel tizio nel mio portacenere?, mi chiedo." Il
destino che hanno avute queste Prose
è tanto strano e paradossale
come quello di tutta l'opera di Ribeyro. Ne I motti di Luder qualcuno chiede:
"Non ti preoccupa scrivere da trenta anni per aver raggiunto una così
minuscola celebrità?". Al che Luder risponde: " Certamente. Mi
piacerebbe scrivere trenta anni di più per essere completamente sconosciuto."
In effetti, l'autore di La tentazione del fallimento. Diario personale 1960-1974,
desiderò essere un autore fantasma, l'inquilino volatile dei suoi racconti,
disposto a scomparire dopo aver pagato la sua quota alla finzione. Tuttavia, a
forza di nascondere il suo talento, Ribeyro emerse, per sua sorpresa, non solo
come maestro indiscutibile del racconto corto, ma come uno degli autori più
letti in Perù. Bryce Echenique racconta che un mercenario della guerra
del Vietnam andò dalla Birmania fino a Parigi niente meno che per chiedere
all'impegnato Ribeyro di scrivere le sue memorie, " perché altrimenti
Raccontava
Julio Ramón che la pistola era di questa grandezza." Non è
raro, allora,che un libro tanto eterodosso come le Prose Apolidi, la cui
tessitura intellettuale sembrava essere riserva esclusiva dei letterati, si sia
convertito in manuale tascabile di tassisti e medici. Nemico
dei riflettori e dei microfoni, Ribeyro era solito inviare i suoi "rappresentanti"
(il suo amico Bryce, il proprio figlio o chi era a portata di mano) alla scena,
adducendo in sua discolpa di essere sotto la tirannia di un severo raffreddore.
Nel novembre del 1994 fu insignito del premio Juan Rulfo, alla cui cerimonia non
potette assistere a causa del suo delicato stato di salute. Il suo disdegno per
il prestigio e le aureole era andato ben oltre. Ribeyro morì pochi giorni
dopo, il 4 dicembre dello stesso anno.
( Tratto da La
Jornada Semanal, 5 maggio 1996. Traduzione di Samanta Catastini.)
Vivian
Abenchuchan, nata a Cittą del Messico nel 1972. Č alunna di Letteratura
Spagnola nella Facoltą di Lettere e Filosofia della UNAM. Ha collaborato nella
rivista Ensayo e al supplemento sabado, di unomįsuno.
.
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