Vita


Silvia Marianecci




 

- Pietà? No. È il ciclo della vita e nessuno può sottrarsi - le aveva risposto bruscamente quel giorno mentre tornavano in macchina dall'ospedale.
Lei aveva insistito per portarlo a fare una breve visita alla mamma, consumata rapidamente dalla malattia, e, durante il tragitto che li obbligava a stare seduti l'uno accanto all'altra, aveva raccolto in un soffio di fiato tutto il coraggio necessario per affrontare l'argomento.
Lo aveva sbirciato con la coda dell'occhio per vedere se era proprio lo stesso padre che emergeva dai ricordi offuscati di bambina. Si era soffermata sui particolari del volto, le rughe, la carnagione arrostita dal sole dei campi, i capelli ancora neri nonostante l'età. Solo ora però si accorgeva di quell'assenza: nessun fremito, emozione, o sentimento aveva lasciato traccia negli occhi opachi di quell'uomo, e questo, adesso, era più lacerante del dolore che un giorno avrebbe provato nel perderlo.
Arrivarono a casa. Lui scese, un ciao furtivo, come sempre, la vergogna degli affetti, la mancanza di contatto. Lei ripartì, il cuore svuotato, la tristezza infinita, l'impotenza di fronte alla morte quando non può essere riscattata neanche dall'amore così elementare di chi è legato a noi dal seme della vita.
Il viaggio continuò per qualche altro tempo. L'esito della battaglia era già scritto ma il viaggio bisognava compierlo comunque. Il dolore sordo, soffocato nelle pieghe dell'anima che si dibatteva per trovare nella quotidianità gli appigli per vivere quella quotidianità, incupiva i giorni della lenta agonia ed il cielo sempre più basso e asfissiante sembrava, da un momento all'altro, pronto ad inghiottire tutto. Il tempo poi, irrigidito nella posa dell'attesa che paralizzava ogni slancio dell'anima, in realtà scorreva veloce divorando il corpo della Madre ed i giorni a venire che non sarebbero mai stati.
Sola, era sola in tutto questo e lo sapeva.
Quando la Madre venne risucchiata definitivamente dalla materia oscura della notte e le sue grida di dolore divennero echi persi nel vento della memoria lei fu libera, dalle incombenze, dagli affanni. Ma soprattutto non doveva più affrontare il volto atono dell'indifferenza. Il Padre, libero anche lui dagli obblighi della convenienza e del collettivo formalismo, si ricacciò dentro la sua nicchia di pura ed elementare autosufficienza, basica sopravvivenza dello spirito che si alimenta dei pochi bisogni corporei che l'età ancora elargisce.
Ma la rabbia si, la rabbia c'era ancora e la teneva legata al palo dell'espiazione. Il fuoco ad ardere sotto i suoi piedi e lei inetta a sciogliere quei nodi, a gridare aiuto, perché l'aria intorno si era rarefatta e tutti ormai erano boe che fluttuavano grevi nel tempo al di qua della morte; aldilà c'era solo lei, sola, con il peso di sua madre morta nel dolore e la rivolta senza armi che a nessuno ormai importava più, perché il destino si era compiuto.
Capitò un giorno che il Padre le telefonò, la sua voce antica eppure insolita attraverso il filtro dell'etere e del tempo intercorso in cui sembravano essersi dimenticati l'uno dell'altra, le fece vibrare le pareti della memoria, dilatandola di nuovo ad orizzonti più ampi in cui si rivedeva fotografata nell'immagine svilita di loro tre, scatto rubato alla loro infelicità.
Le chiedeva aiuto. La propria prigione l'aveva costruita lui stesso, nell'isolamento, nell'arido stillare degli affetti, nell'egoistica misurazione della propria autosufficienza, nella solitudine dell'anima introietta e nella solitudine di valori, intenti, progetti, desideri, ideali. Ma ora aveva paura, lui, così avvezzo a districarsi nel labirinto deserto del proprio cuore, aveva paura della solitudine estrema, la solitudine irreversibile, irrinunciabile, quella di un mondo senza suoni e senza colori. La morte.
La sua voce le risuonò vibrante di emozioni mai sospettate, e forse riuscì anche ad immaginarlo in quel momento con gli occhi umidi di rimpianto, ma l'io, incancrenito in un eterno moto centripeto era incapace, lei lo sapeva, di un sentimento naturale. Le vennero in mente le parole dette quel giorno, molto tempo prima. "- Pietà? No. È il ciclo della vita e nessuno può sottrarsi -" le aveva risposto bruscamente quel giorno mentre tornavano in macchina dall'ospedale.
Eccola la Pietà, finalmente la trovava racchiusa tutta lì, nelle lacrime mancate del Padre che le chiedeva aiuto, la pietà era l'unico sentimento possibile che il Padre ora poteva provare…verso se stesso.


Silvia Marianecci è laureata in Lingue e Letterature straniere presso l'Università La Sapienza di Roma. Durante una lunga permanenza a San Paolo in Brasile approfondisce le conoscenze linguistiche e letterarie presso l'Università USP. Al rientro in Italia decide di cimentarsi nella traduzione e finalmente nel 2005 pubblica la sua prima traduzione letteraria con la casa editrice Azimut. Attualmente collabora con Azimut per la ricerca e la selezione di testi per la collana Aión. Nel frattempo si è specializzata in Letteratura per l'infanzia con un master presso l'Università di Roma Tre ed ha collaborato con il mensile d'informazione culturale "Il Vulcanico" con recensioni di libri e films. Altre traduzioni in corso di pubblicazione (aprile 2006) Ladro di fuoco dello scrittore portoghese Pedro Paixão ed un racconto per l'infanzia. Ha partecipato all'antologia poetica "Navigando nelle parole", edizioni Il Filo.


          Precedente     Successivo    VENTONUOVO    Copertina