Il volo dell'amore


Emma Sangiovanni

Il foglio entrò prepotente nel primo vortice d'aria che riuscì a captare. Ebbe un guizzo e si protese nella notte, libero come un gabbiano, sul mare di macchine lucide di pioggia. Ma il vento lo abbandonò repentino e lui, dopo un momento di equilibrio instabile, planò sul parabrezza di una piccola vettura grigio metallo, parcheggiata con le ruote posteriori sulle strisce pedonali.
La proprietaria dell'auto, poco dopo sopraggiunta, tentò di scollare il foglio dal vetro con cautela. Ma il pezzo di carta resisteva, ingigantendo la sua misteriosa presenza.
Finalmente, si arrese, e la donna, con un sospiro di sollievo, lo adagiò sulla mano sinistra, con l'animo dell'entomologo che ha appena catturato un nuovo insetto.
Era un foglio mancante di tre centimetri nella parte superiore sinistra, ingiallito ai bordi esterni; i caratteri eleganti, scritti con un pennino intinto in un inchiostro bluastro. Le lettere slavate, ma ancora leggibili.
La donna vinse l'impulso di gettarlo, nello sbirciare qualche frase qui e là. Della solita lagnanza di amor perduto, in quel momento della sua esistenza, non aveva proprio bisogno.
Cercò un cestino per i rifiuti. Ma, quando lo cerchi, non lo trovi mai. Considerò che la carta vecchia è ancora più biodegradabile della nuova e provò a gettarlo per terra. Solo che, incollato com'era alla sua mano, avrebbe dovuto, per sbarazzarsene, farne poltiglia. Si domandò perché non immergersi nelle nostalgie e nelle passioni evocate da quell'ignota mano. Non era una fortuna poter leggere della sorte altrui, e magari scoprire che la propria non è poi così male? concluse la donna, cercando di districarsi sulle righe pregne di pioggia che sembravano occultarsi ai suoi occhi indiscreti.
Da quel documento avrebbe potuto estrarre la ricetta per vivere meglio, avere una risposta definitiva alle sue ossessioni.
L'eco di una voce baritonale, che raccomandava di non coltivare nostalgie e passioni arrugginite, le giunse perentoria. Si affrettò ad ammettere, come un automa, che ciò che è finito è andato, archiviato e si ricomincia, prima di discendere lungo quella storia appiccicata alla sua pelle. Dove finiscono gli amori conclusi? Fra gli scarti della città, come gli avanzi di pollo, i contenitori di plastica… Ebbe una stretta al cuore. Come può finire un amore che illumina la tua esistenza: quello che, se si spegne, resti al buio e navighi senza bussola? In una maleodorante discarica? Imbrattato di sugo di pomodoro…
Per meglio decifrare i caratteri che si dilatavano a dismisura, si sforzò con un'unica mano di cercare le chiavi dell'auto, reggendo la borsetta con il gomito sinistro. Avrebbe voluto aprire la portiera, sedersi comoda e accendere le luci interne, ma non trovò la chiave, in quella perlustrazione sommaria, né le chiavi di casa.
Raggiunse la prima vetrina illuminata e si gettò sulle righe che scoloravano, prima che fosse troppo tardi.

…non ti scorgevo e cominciavo a perdere la speranza di vederti sopraggiungere. Stava facendo buio e non eri con me.
Amore mio caro, dove sei?
Rimanevo attaccato alla mia ombra, inchiodato alla mia metà del ponte; e tu non arrivavi a prendermi per mano.
Quella sera, non lo avremmo percorso insieme il nostro ponte.
Ricordi la prima volta? Quando mi rincorresti mentre, sfiduciato, avevo già superato la mia metà. Mi chiedesti, trafelata, chi fosse quel letterato che aveva concepito la frase: "Sono giunto nella tua vita come un piccione viaggiatore."
"Qual'è il messaggio?" ripetevi, indicando alle mie spalle un piccione che stazionava in muta compagnia sulla ringhiera del ponte, sopra le acque limacciose del Tevere.
"Ci sta guardando quello tutto arruffato grigio azzurro."
Lui, spaventato dal nostro interesse, aveva cominciato curiosamente ad arretrare.
Poi, a un tratto, fece uno scarto, mise la zampetta in fallo e noi balzammo all'unisono su di lui. Per salvarlo dalla caduta? Per prendere il messaggio che credevamo destinato a noi?
Rimanemmo incantati a guardarlo volare.
Ricordi il bacio, dopo? Ci giurammo amore, nell'attraversare quello che da allora fu il nostro ponte.

Quando mi manchi troppo, torno, sul nostro ponte; ti aspetto e sento ogni volta che, di lì a non molto, mi farai recapitare il tuo messaggio dal piccione.

La donna girò il foglio con la mano che le tremava. Respirava con affanno, come se l'esito di quella storia la riguardasse da vicino. Quasi fosse sua.
Ma nulla era scritto di più, e lei rimase in piedi, davanti alla vetrina illuminata, ad accarezzare il foglio capovolto, per imprimere sul palmo della mano sinistra quel residuo sbiadito di inchiostro e conservarlo per sempre.
Si sedette, infine, incurante del marciapiedi bagnato, cercando di asciugare con la gonna il foglio che si sfaldava sotto una pioggia di lacrime.

La donna si svegliò di soprassalto. Qualcuno ticchettava alla finestra della sua stanza mentre l'alba sgattaiolava tra le veneziane abbassate e i vetri chiusi.
Allo specchio, sopra il comò, asciugò il volto madido. Volle credere che a bagnarlo non fossero state le lacrime del sogno, ma un eccesso di umori più grevi, sollecitati dalla calura estiva, cui si era assoggettata, quando aveva sostituito i tappi di cera antirumore con la chiusura totale delle finestre.
Nella fioca luce del primo mattino, scorse, accanto allo scrittoio, vistose tracce della lettera che aveva tentato di comporre la sera precedente e che tante volte aveva strappato, incapace di mettere insieme parole in accordo con quelle scolpite nel suo cuore.
Guardò sulle dita tracce di inchiostro.
Aprì la finestra e i piccioni volarono via.
Non si stupì di vedere sul parabrezza della sua auto un rettangolo di carta, fissato sotto il tergicristallo. Il vigile era stato inflessibile e il Ponentino, sollevando a tratti i lembi di quella multa, ci scherzava sopra.
Sospirò, ritraendosi dal davanzale, per dar modo ai piccioni di riprendere la loro postazione. Li guardò posarsi con un interesse nuovo. Gli occhietti vispi, il becchettare festoso, le rapide occhiate laterali di controllo: tranquilli, il messaggio le era arrivato. Non aveva più bisogno di pagare uno strizzacervelli per liberarsi del passato.
Lo aveva visto con i suoi occhi il volo dell'amore.



Emma Sangiovanni è nata a Crema dove risiede. Dopo la maturità classica, si è laureata nel 1975 in Lettere presso l'Università degli studi di Milano. Specializzatasi nel 1995 in Giornalismo presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nel 2003 si è diplomata in Sceneggiatura presso l'Accademia Arti Cinematografiche di Bologna. Giornalista Pubblicista dal 1980, Professionista dal '94, ha collaborato ai quotidiani Avvenire, Il Giorno e Corriere della Sera di Milano. Ha insegnato dal 1975 al 1994 Italiano Storia Geografia ed Educazione Civica nella scuola media della provincia di Cremona. Ha pubblicato, a dicembre del 2005, un romanzo storico L'arcangelo di Fosdinovo, edito dalla Florence Art Edizioni di Firenze.


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