Roger Chartier
Il diritto d'autore
appare oggi come scontato. Ma come si è imposto?
In Francia la prima
vera legislazione è quella rivoluzionaria del 1791, ripresa poi nel 1793.
È un compromesso che traduce la preistoria della proprietà letteraria.
Con, da una parte, un certo numero di filosofi del XVIII° secolo che ritengono
illegittima, addirittura scandalosa, la proprietà di un individuo sulle
opere: chi potrebbe pretendere di appropriarsi delle idee che sono utili al progresso
dell'umanità? Questa era la posizione di Condorcet.
E, dall'altra parte,
gli sforzi impiegati a lungo tempo da scrittori come Diderot, o da drammaturghi
come Beaumarchais, per far riconoscere il principio della prima proprietà,
esclusiva degli autori sulle proprie opere. Ciò doveva comportare che chiunque
diventasse acquirente dell'opera usufruiva dello stesso diritto di proprietà,
ma la doveva retribuire a un giusto prezzo.
La legislazione rivoluzionaria
riconosce la proprietà degli autori e dei loro aventi diritto, ma ne limita
la durata in maniera che una volta caduta nel dominio pubblico l'opera poteva
essere pubblicata da chiunque volesse farlo. Noi siamo rimasti a questo compromesso,
con una durata di tutela variabile, che, nel corso del XIX e XX secolo, si è
prolungata, passando dai dieci anni del 1793 ai settanta anni di oggi.
Il
fatto di poter vivere grazie alla scrittura segna una rottura?
Una grande
rottura poiché, per lungo tempo, la cessione di un'opera a un libraio editore
non era retribuita con dei soldi. Nel XVI° secolo, per esempio, l'autore riceveva
qualche esemplare del libro, che poteva offrire in dedica a dei protettori in
grado di concedergli delle gratificazioni, delle pensioni, dei lavori: una remunerazione
indiretta, insomma. Francesco I e Luigi XIV fondarono il sistema delle pensioni
reali su questa idea.
Anche nel XVIII° secolo, le retribuzioni monetarie
rimangono molto deboli. Da qui due strategie: quella di Diderot, che moltiplica
i lavori in collaborazione, come l' Enciclopedia, o quella di Rousseau,
che, come possiamo notare nel caso di La Nouvelle Héloïse,
vende tre volte la stessa opera a tre diversi editori aggiungendo una prefazione,
o dirigendosi direttamente al lettore. O la giusta retribuzione presuppone che
il libraio sia assicurato dal suo profitto. È per questo che i dibattiti
si sono concentrati sui regimi di pubblicazione, la difesa dei privilegi di libreria.
E, paradossalmente, in tali discussioni, ci sono soprattutto le librerie e i tipografi
che vi si trovano implicati.
Il fatto che a nome degli autori i dibattiti
attuali oppongono degli interessi economici divergenti; discografici, industriali
delle telecomunicazioni, consumatori, non è quindi una cosa nuova?
No.
Lasciamo da parte per un po' la Francia. In Inghilterra la proprietà dei
manoscritti era dei librai e dei tipografi di Londra, che dopo il 1557, disponevano
solamente di un diritto di pubblicazione. Una volta acquistato un manoscritto,
ne diventavano i proprietari, come di una casa o di un campo. Potevano venderlo,
condividerlo, donarlo in eredità
Gli autori non avevano parola in
causa. Nel 1709, la monarchia inglese ha deciso di limitare la durata del copyright
a quattordici anni e di permettere agli autori di tenere per sé il copyright.
Le librerie di Londra hanno dunque mobilizzato delle strategie di difesa, una
delle quali è stata quella di inventare l'autore moderno: in effetti, se
loro stessi disponevano di un diritto perpetuo, così spiegavano, era a
nome del diritto imprescindibile ma trasmissibile dell'autore che aveva ceduto
loro il manoscritto. L'autore, dunque, non è altro che uno strumento strategico
nella lotta dei librai londinesi contro la legislazione reale, una legislazione
sostenuta da coloro che ne traevano profitto: i librai scozzesi e irlandesi.
Tra
gli internauti, che rivendicano il libero accesso al bene culturale, e i creatori,
che difendono il loro stesso genio e la probabilità di un'industria, troviamo
nuovamente dei dibattiti familiari?
Effettivamente, l'idea di una libertà
d'accesso alla cultura è stata introdotta ovunque da una corrente dell'Illuminismo,
con, in primo piano, Condorcet, come avevamo già detto. Questa preoccupazione
è presente anche tra coloro che vogliono creare la proprietà letteraria.
Il ragionamento di Fichte, in Germania, è da sottolineare. Sostiene
che un libro ha una doppia natura: materiale, (l'oggetto), e spirituale. L'oggetto
appartiene a chi lo ha comprato. Ed il contenuto spirituale? Ci sono le idee che
appartengono a tutti, ma c'è anche la forma, questa maniera di enunciare
delle idee, di esprimere dei sentimenti propri dell'autore. Questo ultimo elemento
è, secondo lui, il solo che possa giustificare la proprietà letteraria.
Oggi il dibattito si focalizza sulla musica. Come le diverse arti hanno
alimentato il dibattito sulla proprietà letteraria?
Il teatro, ad
ogni modo, ha pesato in maniera essenziale. Quando Beaumarchais, al momento della
polemica che lo contrappone ai Commedianti Francesi, creata la Società
degli autori drammatici, riesce per la prima volta a far stabilire che l'opera
non è venduta definitivamente, e che quindi, può riscuotere una
remunerazione ad ogni sua rappresentazione grazie ad una percentuale sull'incasso.
È paradossale perché la scrittura teatrale non esiste se non
quando diventa una rappresentazione che ne implica numerosi esami. Così,
la forma più "cooperativa" della scrittura sarà il fondamento
della più bizzarra appropriazione della proprietà letteraria, sotto
la forma della proporzionalità dei diritti. Pian piano s'imporrà
su tutti gli scritti.
Che opinione avete sull'esame della legge francese
(il testo intitolato "Diritto d'autore e diritti affini nella società
dell'informazione") destinata a proteggere il diritto d'autore, che sarà
minacciato dall'avvento di Internet?
La situazione attuale lancia una sfida
di tipo tecnologico alle categorie estetiche o giuridiche che, dal secolo XVIII°,
sono il fondamento della proprietà letteraria e del diritto d'autore. Questo
fondamento suppone, infatti, un'identità perpetuata dell'opera, sia che
sia stata pubblicata da una casa editrice, o da un'altra, in dieci esemplari o
in mille, che abbia circolato per scritto o per orale.
Perché? Perché
se l'opera è l'espressione del linguaggio, dello stile del suo autore,
o, secondo il vocabolario di Diderot , "i suoi propri pensieri, i sentimenti
del suo cuore", né è quindi il primo proprietario. Il suo
diritto dipende da quest'essenza dell'opera, rapportata a questa maniera irrimediabilmente
singolare che un individuo ha nell'utilizzare delle idee comuni, di impiegare
un linguaggio condiviso.
O il testo elettronico è un testo aperto, malleabile,
polifonico. È sempre oggetto di una possibile trasformazione. Si dissolve
ciò che permetteva di riconoscere l'opera come opera, dunque di rivendicarne
la proprietà. Appare la questione fondamentale: come riconoscere l'identità
perpetuata di un'opera in un supporto tecnico che non dà né frontiere
né identità stabili al testo? Inoltre, si pone il problema della
riproduzione gratuita o a pagamento della musica o dei testi, in altre parole
la più classica questione della contraffazione. Attira l'attenzione poiché
riguarda molte persone. Resta in secondo piano rispetto alla mobilità elettronica
delle opere, che cancella lo stesso principio della loro possibile proprietà
da parte degli autori stessi.
Nato con l'invenzione della stampa, il
diritto d'autore potrebbe morire con Internet?
Nel XVI° secolo, grazie
alla stampa, si sono stabiliti dei contratti tra gli autori (tale parola poteva
designare un traduttore, un commentatore, un editore) e i librai-stampatori. Ciò
non implicava affatto che fosse riconosciuta la proprietà dell'autore sulla
propria opera. Piuttosto una sorta di ricompensa. Questi contratti hanno tuttavia
creato un mondo nuovo, all'interno del quale s'imporrà progressivamente
l'idea di una proprietà esclusiva dell'autore, che permetterà a
certi scrittori di vivere della loro stessa penna, o per lo meno di sperarlo.
Tutto ciò al termine di una lunga evoluzione.
Oggi, il mondo della tecnologia
elettronica fa sì che la posizione d'autore può essere immediatamente
iscritta nella posizione del lettore. Su uno stesso schermo, si riceve un testo
e si compone il proprio. L'opera non è più finita né fissata:
Romeo può sposare Giulietta, e non morire. Tra leggere e scrivere, ascoltare
della musica e produrla c'è una vicinanza che è resa infinitamente
più forte di prima. Noi siamo dunque davanti un'innovazione tecnologica
che rovescia questa sedimentazione storica, che ha portato alla definizione estetica
e giuridica delle opere.
E quindi si pone la domanda: il diritto d'autore
è una parentesi nella storia? Si può entrare in un mondo di circolazione
delle opere situato a distanza radicale da tutti i criteri estetici e giuridici
che hanno governato la costituzione della proprietà artistica o letteraria?
O, tecnicamente e intellettualmente , questi criteri continuano ad essere considerati
come illegittimi , e allora bisogna fare uno sforzo perché possono applicarsi
ad una tecnologia che è loro restia?
È la grande domanda, sia
giuridica (cos'è un'opera?) che culturale (cos'è un autore o un
creatore?). Io me ne guardo bene dal dare una risposta: ogni volta che gli storici
hanno fatto un pronostico sull'avvenire, si sono pesantemente sbagliati.