Perché
non riesco a credere
Norberto Bobbio
Io non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi,
però distinguo la religione dalla religiosità. Religiosità
significa per me, semplicemente, avere il senso dei propri limiti, sapere che
la ragione dell'uomo è un piccolo lumicino, che illumina uno spazio infimo
rispetto alla grandiosità, all'immensità dell'universo. L'unica
cosa di cui sono sicuro, sempre stando nei limiti della mia ragione - perché
non lo ripeterò mai abbastanza: non sono un uomo di fede, avere la fede
è qualcosa che appartiene a un mondo che non è il mio - è
semmai che io vivo il senso del mistero, che evidentemente è comune tanto
all'uomo di ragione che all' uomo di fede. Con la differenza che l'uomo di fede
riempie questo mistero con rivelazioni e verità che vengono dall'alto,
e di cui non riesco a convincermi. Resta però fondamenale questo profondo
senso del mistero, che ci circonda, e che è ciò che io chiamo senso
di religiosità. La mia è una religiosità del dubbio,
anziché delle risposte certe. Io accetto solo ciò che è nei
limiti della stretta ragione, e sono limiti davvero angusti: la mia ragione si
ferma dopo pochi passi mentre, volendo percorrere la strada che penetra nel mistero,
la strada non ha fine. Più noi sappiamo, più sappiamo di non sapere.
Qualsiasi scienziato ti dirà che più sa e più scopre di non
sapere. Credevano di sapere di più gli antichi, che non sapevano niente
al confronto di quello che sappiamo noi. Abbiamo allargato enormemente lo spazio
della nostra conoscenza, ma più lo allarghiamo più ci rendiamo conto
che questo spazio è grande. Cos' è il cosmo? Cosa sappiamo del cosmo?
Come e perché il passaggio dal nulla all'essere? È una domanda
tradizionale, ma io non ho la risposta: perché l'essere e non piuttosto
il nulla? Io non mi sono mai nascosto di non avere una risposta, e non so chi
sappia darla a questa domanda ultima, se non per fede. Secondo Severino l'essere
è infinito, l' essere c'è. Ma non è che così siamo
in grado di capire cosa c'era prima. È impossibile. E di fronte alle domande
cui è impossibile dare una risposta - perché di questo sono certo:
non posso dare una riposta, benché appartenga ad una umanità che
ha realizzato progressi enormi - mi sento un piccolo granello di sabbia in questo
universo. E negare che la domanda abbia senso, come potrebbe fare una certa filosofia
analitica, mi pare un gioco di parole. Probabilmente dipende dalla mia incapacità
di andare al di là. Ma quando sento di essere arrivato alla fine della
vita senza aver trovato una risposta alle domande ultime, la mia intelligenza
è umiliata. Umiliata. E io accetto questa umiliazione. La accetto. E non
cerco di sfuggire a questa umiliazione con la fede, attraverso strade che non
riesco a percorrere. Resto uomo della mia ragione limitata - e umiliata. So di
non sapere. Questo io chiamo "la mia religiosità". Non so se
è giusto, ma in fondo coincide con quello che pensano le persone religiose
di fronte al mistero. Certo, probabilmente non si riesce a resistere a questo
dubitare continuo, a questo continuo non sapere, e allora ci si affida alle credenze,
come quella nella immortalità dell'anima. Io però, il fondo religioso
della mia persona continuo a intenderlo come questo non sapere. Ed è un
fondo religioso che mi assilla, mi agita, mi tormenta. Un giorno al cardinal
Martini ho detto: per me la differenza non è tra il credente e il non credente
(cosa vuol dire poi credere? In che cosa?), ma tra chi prende sul serio questi
problemi e chi non li prende sul serio: c'è il credente che si accontenta
di risposte facili (e anche il non credente, sia chiaro, che delle risposte facili
si accontenta!). Qualcuno dice: "sono ateo", ma io non sono sicuro di
sapere cosa significa. Penso che la vera differenza sia tra chi, per dare un senso
alla propria vita, si pone con serietà e impegno queste domande, e cerca
la risposta, anche se non la trova, e colui cui non importa nulla, a cui basta
ripetere ciò che gli è stato detto fin da bambino. La risposta
della fede è consolatoria. Ma le religioni non hanno solo una funzione
consolatoria. Hanno anche la funzione di "rivelare" verità su
problemi cui il comune sapere non arriva: la creazione, l'immortalità dell'anima.
Risposte consolatorie, ma non solo: risposte a domande che ciascuno si pone sulla
soglia della morte. Io la mia risposta l'ho data, con le poche "convinzioni"
che ho. Perché le mie sono le "convinzioni" di un uomo che costantemente
passa dal dubbio alla verità e di nuovo al dubbio. Io non credo. Arrivato
ad un' età in cui si sente che la fine è vicina, se devo ascoltare
me stesso, e dare una risposta personale, l'unico desiderio che ho, l'unico bisogno,
non è certo quello dell'immortalità, è quello di morire in
santa pace: il riposo eterno è ciò in cui spero. Non voglio risvegliarmi.
Ma anche questo, in fondo, coincide profondamente con la religione: "requiem
aeternam dona eis Domine!", sta scritto sul fronte di ogni cimitero. Anch'
io sono cresciuto, come quasi tutti in questo paese, in una famiglia cattolica,
e ho avuto una formazione cattolica. Preghiere, preghiere, preghiere... Le ho
talmente ripetute (sia in latino, come si usava una volta, sia in italiano) che
le ho quasi dimenticate. Ho fatto la prima comunione, e anche un matrimonio religioso
(anche mia moglie però non è credente). E alla domanda su quando
e perché ho perduto la fede non è facile rispondere. Forse verso
i vent'anni. Certo, lo studio della filosofia, anche. Tutte queste domande sui
problemi di metafisica, diciamo così, e il rendersi conto che le risposte
della fede implicavano credenze difficili da accettare. La credenza nei miracoli,
ad esempio, per un razionalista è la cosa più assurda. Altrettanto
è il dover credere in ciò che a ogni essere di ragione appare come
mito, cominciando dal peccato originale. Sul peccato originale condivido quello
che in vari articoli ha scritto un mio amico cattolico, il professor Luigi Lombardi
Vallauri (che anche per questa ragione è stato cacciato dall' Università
cattolica dove insegnava), che pone domande molto semplici, terra-terra se vuoi,
ma a cui non c'è risposta: una colpa originaria collettiva non è
accettabile, la colpa è personale, non può essere trasmessa da una
generazione all'altra, non c'è niente di più primitivo. La colpa
collettiva è addirittura una concezione tribale. Credere all'Antico Testamento
è difficile. Credere al Dio di Abramo che si rivela chiedendo un sacrificio
così crudele. E qui mi fermo. Ma resta il mistero dell'universo. Del
resto, forse hanno contato di più nella mia formazione fattori più
banali. Con e dopo l'adolescenza, si entra nel mondo, con tutti i desideri che
assalgono un ragazzo, tanto forti da far accantonare a poco a poco le pratiche
religiose. Per tanti anni sei andato a confessarti e a un certo punto non ti confessi
più. Entri in conflitto con la morale del confessionale. Magari con l'idea
che poi ci tornerai... Tra i problemi metafisici mi sono posto presto quello dell'immortalità
dell'anima: possibile che siamo eterni? Cosa significa? La vita e la morte sono
indissolubilmente connessi, la vita riceve un senso dalla morte e la morte dalla
vita. La morte, se ci fosse davvero un'altra vita, non sarebbe la morte. Pensiamoci
bene: perché la morte è la morte? Perché è la morte!
Bisogna prendere sul serio la morte. Ho cominciato a prendere sul serio la
morte vedendo morire dei giovani amici, senza illudermi delle promesse della religione
che fossero ancora vivi. Qualche volta, pensando alla morte di una persona particolarmente
cara - mio padre, ad esempio - so che quella persona che ho amato ora non c'è
più. E che ci sia qualche cosa di lui in un altro luogo - che non so dove
sia - a me non importa assolutamente nulla. La persona che ho amato era quel particolare
modo di sorridere, di farci giocare, di raggiungerci in campagna alla fine della
settimana quando eravamo in vacanza, la nostra attesa sul cancello della casa
per aspettarlo e poi salutarlo festosamente: questo so per certo che non c'è
più. Ho continuato a riflettere sui grandi temi dell'esistenza e nessuna
delle risposte della religione mi ha mai convinto. Però, nello stesso tempo,
neppure io sono riuscito a dare delle risposte. E dunque, di nuovo, dico che ho
un senso religioso della vita proprio per questa consapevolezza di un mistero
che è impenetrabile. Impenetrabile!
Norberto
Bobbio (1909-2004) era uno dei pił importanti pensatori politici della storia
italiana.
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