Bom-Crioulo

- Brano tratto dal romanzo Il negro -

 

Adolfo Caminha



La vittoria dell'abolizionismo era ancora lontana, assai lontana, quando Bom-Crioulo1, all'epoca semplicemente Amaro, arrivò, nessuno sapeva da dove, con quattro stracci di cotonaccio addosso, il fagotto in spalla, un cappellone di paglia in testa e i sandali di cuoio crudo. Minorenne (doveva avere diciott'anni), ignaro delle difficoltà per cui passa qualunque uomo di colore in un ambiente schiavista e profondamente superficiale qual era quello della Corte, con ingenua determinazione era scappato senza pensare alle conseguenze della sua fuga.
A quel tempo la figura del "negro fuggiasco" terrorizzava le popolazioni. Allo schiavo si dava la caccia come a un animale, con tanto di speroni e di fucile, saltando precipizi, attraversando fiumi a nuoto, superando montagne. Non appena il fatto era denunciato - in nome del re! - con grande clamore le foreste si riempivano di scalpitii, partivano staffette per il sertão, a misurare le orme, aizzando i cani, irrompendo nelle piantagioni. Per la paura si chiudevano le porte. I giornali riportavano in terza pagina la figura di un moleque in fuga, fagotto in spalla e, sotto, l'annuncio, quasi sempre in grassetto, minuzioso, esplicito, con tutti i dettagli indicami la statura, l'età, i segni particolari, i vizi e altre caratteristiche del fuggitivo. Inoltre ogni padrone gratificava generosamente chi avesse catturato lo schiavo.
Riuscendo a eludere la vigilanza degli addetti e dopo aver patito una notte, la più buia della sua vita, in una specie di gabbia con grate di ferro, Amaro, il cui unico timore era ritornare alla fazenda e alla schiavitù, si ritrovò al mattino di fronte a quello che gli sembrò un largo fiume tranquillo, solcato da imbarcazioni che navigavano in ogni direzione, alcune a vela e altre con colonne di fumo, e più su, a sfiorare l'acqua, una collina alta, appuntita, che trapassava le nuvole, come mai ne aveva viste.
Gli intimarono di togliersi gli abiti di dosso (provò persino vergogna), gli esaminarono la schiena, il petto, l'inguine, e gli diedero un camiciotto azzurro da marinaio.
Lo stesso giorno lasciò la fortezza e, non appena l'imbarcazione con uno scossone brusco si staccò dal molo, il novello uomo di mare sentì per la prima volta tutta la sua anima vibrare straordinariamente, come se gli avessero iniettato nel sangue africano la deliziosa freschezza di un fluido misterioso. La libertà gli entrava dagli occhi, dalle orecchie, dalle narici, da ogni poro, come l'anima stessa della luce, del suono, dell'odore di tutte le cose eteree. Tutto ciò che lo circondava, l'acqua che cantava a prua della scialuppa, l'azzurro immacolato del cielo, il profilo lontano delle montagne, le navi che beccheggiavano fra le isole, gli edifici immobili della città in vista - gli stessi compagni che continuavano a remare all'unisono, come se fossero un solo braccio - e soprattutto, soprattutto, mio Dio!, il panorama vasto e illuminato della baia, tutto gli comunicava una sensazione così forte di libertà e di vita che gli veniva quasi voglia di piangere davanti agli altri, come se all'improvviso fosse impazzito. Quel magnifico scenario si era impresso nella sua retina per il resto dei suoi giorni; non lo avrebbe mai più dimenticato, oh, mai più! Lui, lo schiavo, il "negro fuggiasco", si sentiva veramente uomo, uguale agli altri uomini, felice di esserlo, grande come la natura, in tutto il virile vigore della sua giovinezza, e provava pena, molta pena, per chi era rimasto nella fazenda a lavorare, senza guadagnare un soldo, dall'alba fino a... Dio sa quando!
Prima di imbarcarsi, gli era stato difficile dimenticare il passato, mamma Sabina e le abitudini che aveva appreso nella piantagione. A volte sentiva persino il desiderio di riabbracciare i suoi vecchi compagni della squadra di disboscamento, ma immediatamente quel ricordo svaniva come il fumo tenue degli incendi in lontananza, ed egli tornava alla realtà, aprendo gli occhi, nell'infinito godimento di quel mare costellato di imbarcazioni.
La disciplina militare, con tutti i suoi eccessi, non era paragonabile al penoso lavoro della fazenda, al terribile regime del palo e della frusta. C'era una bella differenza. Almeno lì, alla fortezza, aveva la sua branda, il suo cuscino, biancheria pulita, e mangiava bene, a sazietà, come qualsiasi cristiano: oggi della buona carne bollita, domani una succulenta fagiolata e, il venerdì, un bel piatto di baccalà con pepe e "sangue di cristo". Che cosa augurarsi di meglio? E poi la libertà, cari miei, solo la libertà valeva per tutto! Lì non si badava al colore o alla razza del marinaio: tutti erano uguali, e si spartivano gli stessi privilegi - tanto lavoro, tanto riposo, senza differenze. "E quando ci si fa voler bene dai superiori, quando non si hanno nemici, allora questo sì che è un vivere benedetto: nessuno pensa al domani!"
Amaro seppe conquistarsi presto la benevolenza degli ufficiali. All'inizio questi non riuscivano a trattenere il riso davanti a quella figura di recluta estranea alle usanze militari, rozzo come un selvaggio e in grado di provocare scoppi di risa incontenibili con i suoi modi ingenui e campagnoli; ma, tempo qualche mese, tutti erano del parere che "il negro pareva un cristiano". Amaro sapeva ormai maneggiare un fucile secondo le regole e in fatto d'artiglieria non aveva per niente l'anello al naso; anzi, si era fatto la fama di marinaio provetto.
Mai, durante quel primo anno di apprendistato, si era meritato un castigo disciplinare: il suo carattere era così mite che gli stessi ufficiali cominciarono a chiamarlo Bom-Crioulo. Eppure il suo più grande desiderio, la sua principale aspirazione, era imbarcarsi su una nave, abituarsi a vivere per mare, conoscere, finché era giovane, gli usi dellavita di bordo, saper serrare i terzaroli, rizzare una vela, fare un turno alla bussola. Che aspettavano i suoi superiori? Invidiava coloro che viaggiavano in alto mare, lontano dalla terra, navigando in libertà su e giù per il mondo. Come doveva essere bella per l'anima e per il corpo l'aria libera che si respira laggiù, sull'acqua!
Si divertiva a costruire modellini in legno di navi da guerra, con tanto di oblò e di bandierine in cima all'albero, incrociatori in miniatura, panfili, intagliati con la punta del temperino e con la pazienza tenace di un architetto.
Eppure sembrava non volessero imbarcarlo! A volte, durante l'addestramento, saliva a bordo con l'equipaggio di qualche lancia, per poi tornare subito al forte con gli altri apprendisti, triste per non essere rimasto sulla nave, sognando storie di viaggi e tutte le cose che avrebbe visto quando per la prima volta si fosse lasciato alle spalle il porto.
E finalmente quel giorno arrivò. Bom-Crioulo era stato scelto per imbarcarsi su una vecchia nave mercantile che partiva per il sud.
- Era ora! - disse, alzando le braccia in un gesto di eccitata sorpresa. - Grazie a Dio, alla fine si sono ricordati di Bom-Crioulo!
E se ne andò in giro felice ed emozionato a dare l'annuncio. Volevano che portasse qualcosa dal sud? Nemmeno un ricordino dal Rio Grande? Proprio niente?
- Portaci una paraguaiana, Bom-Crioulo - lo canzonava uno.
- Io mi accontento di una dozzina d'uova di Santa Catarina.
Altri gli ordinavano cose impossibili: un pezzo di gringo arrosto, un quartino di sangue spagnolo, l'orecchia di un santacaterinense.
E tutti ridevano nella sua camerata e quel che desideravano era che Amaro fosse felice in quel suo primo viaggio, che tornasse grosso e forte "per ammazzar galleghi2 sul molo dei Mineiros".
Alcuni lodavano i pregi del comandante del cargo, il vecchio Novais, un brav'uomo a cui non piacevano le punizioni e che stabiliva rapporti di amicizia con i marinai.
- E il secondo ufficiale?
Be', il secondo era un certo Pontes, un tizio con i favoriti, che aveva fatto naufragio con la corvetta Isabel, un uomo bruttissimo, poverino, ma una gran brava persona; anche lui non ce l'aveva con nessuno, anzi, se un marinaio entrava nelle sue grazie era trattato a bicchierini di Porto.
Bom-Crioulo esultava!
L'imbarco era previsto verso sera, poco prima dell'ammainabandiera.
Lui era pronto a tutto, e negli occhi, nei discorsi, nei modi gli si leggeva la felicità che gli riempiva il cuore. Era un benessere inedito, come l'inizio di una pazzia inoffensiva e serena, che lo faceva venti volte più uomo, che lo rendeva più forte e temprato alle battaglie della vita. Dolce ebbrezza dei sensi, quella che scaturisce da una grande gioia o da un dispiacere immenso. Bom-Crioulo aveva sperimentato un simile piacere solo quando l'avevano per così dire costretto a provare cosa fosse la libertà, reclutandolo in marina. Ora quella libertà si ampliava ai suoi occhi, cresceva a dismisura nella sua immaginazione, provocandogli tremori da allucinato, spalancandogli nell'anima orizzonti rosa, vasti e sconosciuti. (...)


Note:
1 Bom-Crioulo: sta per "bravo negro"
2 Gallego (peggiorativo) portoghese; spesso usato per "facchino" o "persona di basso livello
".


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Postfazione del romanzo:

Ma come fanno i marinai

Vincenzo Barca

La riuscita di un'opera letteraria sta nella sua capacità di rimanere "aperta", in grado cioè di rivelare a generazioni successive di lettori luoghi di interesse sempre aggiornati, man mano che cambia il punto di vista dell'osservatore e che precetti di grande instabilità, come quelli che presiedono al gusto e alla morale comune, subiscono trasformazioni.
Il Bom-Crioulo di Adolfo Caminha è stato per circa un secolo condannato al silenzio. Bollato come libro "scandaloso" al momento della sua pubblicazione, nel 1895, è stato prima messo all'indice e poi speditamente dimenticato. Anche il suo ripescaggio, avvenuto nell'ultimo decennio, ha il sapore di una riparazione tardiva e parziale. Oggi infatti, etichettato come uno dei classici del Naturalismo brasiliano, è entrato nel numero di quelle letture liceali obbligatorie, con il suo corredo di questionari che ne isolano temi, personaggi e tecniche narrative, e sminuzzano il testo in frammenti da analizzare secondo griglie predefinite.
Che Caminha fosse affascinato dai teoremi della scuola naturalista è fuor di dubbio. Come ogni giovane faceva il suo tirocinio di opposizione ai padri, e i padri, nel suo caso e in materia di letteratura, erano gli alati Parnassiani, cesellatori di versi perfetti. Ma i suoi stessi contemporanei Simbolisti erano mal sopportati dal ragazzo, per il primato che accordavano all'arte sulla vita. E invece no: Caminha e i suoi compagni prestavano fede alla scienza e credevano in una letteratura che onestamente trascrivesse la realtà e i suoi "dati".
L'eterno giovanotto che ci appare nei ritratti d'epoca (morto a trent'anni, si preserverà da ogni compromesso della maturità), con il colletto inamidato, i baffetti biondi, e nello sguardo una scintilla irridente che smentisce la
compostezza della posa, aveva, per obbligo biografico, una naturale sintonia per quelle nuove concezioni. Nato nel 1867 in un borgo sperduto del Ceará, nel nord del Paese, a dieci anni, dopo la morte della madre, era stato cresciuto con numerosi fratelli in casa di uno zio, a Rio de Janeiro. Uno degli sbocchi possibili per i figli di questa piccola borghesia proletarizzata che affluiva nella capitale, era, oltre al seminario a cui Adolfo sfugge (avremmo avuto un "roman de moeurs" farcito di monsignori mollicci sulle piste di gagliardi garzoncelli tonsurati?), la Scuola Navale. Il ragazzo vi fa il suo ingresso a tredici anni e, ancora adolescente (biondo, esile, senz'ombra di barba: un modello per Aleixo, si è tentati di dire), si imbarca per un lungo viaggio di apprendistato che lo porterà negli Stati Uniti e alle Antille. Due episodi scandalosi infiorano la sua biografia breve e spoglia: nel 1884 il diciassettenne guardiamarina, nel corso di una cerimonia alla presenza dell'Imperatore Dom Pedro II, espone con una certa audacia le sue idee repubblicane e antischiaviste (il Brasile sarà l'ultimo paese al mondo ad abolire legalmente la schiavitù, nel 1888, e il tema era dunque quanto mai scottante). Cinque anni dopo l'ufficialetto ventiduenne scappa con la moglie di un tenente dell'Esercito, dalla quale avrà poi due figlie. Lo scalpore suscitato dalla vicenda costringerà Caminha a dimettersi dalla Regia Marina e a sopravvivere con un modesto impiego di scritturale e con saltuarie collaborazioni a periodici. Sono questi gli anni (i pochi che gli restano da vivere) in cui si dedica definitivamente alla letteratura, partecipando tra l'altro alla fondazione della "Padaria Espiritual" ("Panetteria Spirituale"), un sodalizio letterario che aveva per motto "provvedere pane dello spirito ai popoli", e il cui organo ufficiale, "O Pão" ("Il Pane") si poneva per obiettivo la divulgazione delle idee del Naturalismo e del Realismo. Lo "Statuto dei Panettieri" è un manifesto ribellista da Centro Sociale ante litteram, pieno di versacci ai benpensanti ("nemici naturali dei Panettieri sono il clero, i sarti e la polizia" ) e traboccante di dichiarazioni d'amore ardenti alla letteratura. Su queste premesse, Caminha scriverà tre romanzi (oltre al Bom-Crioulo, A Normalista, nel 1896, e Tentação, rimasto incompiuto) e una raccolta di saggi critici, Cartas literárias, nel 1895.
È anche a partire da queste coordinate che possiamo rileggere Bom-Crioulo in una nuova prospettiva, come un fitto intreccio di sotterranee (ma non troppo) indicazioni sovversive. Non é solo il tema dell'omosessualità (tra un negro liberto poi, e un adolescente bianco, ancorché di umili origini!) a sprizzare scintille di disordine; a livello tematico, lo stesso triangolo amoroso ha caratteristiche abbastanza inedite, visto che Carolina è presentata come una specie di virago dominatrice (una vera femdom), che compete con il muscoloso gabbiere per il possesso dell'efebo, in un gioco di ruoli assolutamente antitradizionale. Non si contano nel romanzo i riferimenti espliciti ai sistemi repressivi in uso nella Marina (pene corporali in primo luogo) che, negli anni immediatamente successivi, saranno argomento di denunce aperte e scateneranno vere e proprie rivolte di ciurme esasperate. Ma ciò che ancor di più colpisce è il tradimento della retorica naturalista ai cui principi il romanzo pure fa mostra di richiamarsi: mentre da un lato sono scarse le concessioni all'analisi dell'ambiente, dall'altro si dà voce con esplicita insistenza al desiderio dei protagonisti, per arrivare a creare un clima di sensualità pervasiva che è ben lontano dall'opacità documentaria di altri romanzi ispirati alle stesse teorie. A questa vivezza, che dà rilievo ai personaggi, concorrono i continui riferimenti a scenari sadomaso, con tutto l'armamentario correlato (frustate a volontà su nudità esposte), fino all'instaurarsi di un clima claustrofobico che rinchiude i protagonisti nell'oscura bellezza del loro dramma. Sembrano, Amaro e compagni, i lontani antenati dei marinai di Genet, rivisitati, ancora più modernamente, da Fassbinder nel suo Querelle de Brest. Ma come faranno, davvero, i marinai, a baciarsi fra di loro, e a rimanere veri uomini, però!





(Tratto dal romanzo Il negro, Playground edizioni, 2005, Roma. Traduzione dal Portoghese di Vincenzo Barca.)


 

Adolfo Caminha



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