La contessa sanguinaria

- Tre brani tratti dal libro La contessa sanguinaria -

 

Alejandra Pizarnik



MORTE PER ACQUA

"È fermo. Ed è fermo in modo assoluto e definitivo.
Come se stesse seduto."
W. Gombrowicz


La strada è coperta di neve e, dentro la carrozza, la malinconica dama avvolta in pellicce si annoia. A un tratto pronuncia il nome di una ragazza del suo seguito. Portano la designata: la contessa la morde frenetica e la trafigge con aghi. Poco dopo il corteo abbandona nella neve una fanciulla ferita e procede. Ma poi si ferma di nuovo, la ragazza ferita fugge, è inseguita, raggiunta e ricondotta nella carrozza, che prosegue il cammino e di nuovo si ferma perché la contessa ha appena chiesto acqua gelata. Ora la ragazza è nuda e immobile nella neve. È notte. La circonda un cerchio di torce rette da lacchè impassibili. Le versano dell'acqua sul
corpo e l'acqua diventa ghiaccio. (La contessa guarda dall'interno della carrozza.) C'è un lieve gesto finale della ragazza per avvicinarsi di più alle torce, dalle quali emana il solo calore. L'annaffiano con altra acqua e finalmente resta lì, per sempre in piedi, eretta, morta.


MAGIA NERA

"Et qui tue le soleil pour installer le royaume de la
nuit noire."
Artaud


La principale ossessione di Erzsébet era sempre stata quella di allontanare la vecchiaia a qualunque prezzo. La sua totale adesione alla magia nera doveva avere come risultato l'intatta e perpetua conservazione del suo "divino tesoro". Le erbe magiche, le giaculatorie, gli amuleti e anche i bagni di sangue avevano, per la contessa, una funzione medicinale: immobilizzare la sua bellezza perché fosse eternamente comme un rêve de pierre. Visse sempre circondata da talismani. Negli anni dei suoi delitti si risolse per un talismano unico che conteneva una vecchia e sudicia pergamena su cui era scritta, con inchiostro speciale, una preghiera per uso particolare. Lo portava sul cuore, sotto gli abiti sontuosi, e nel mezzo di una festa lo toccava di nascosto. Traduco la preghiera:

Isten, aiutami; e anche tu, nube che tutto puoi: proteggi me, Erzséhet, e dammi una lunga vita. Oh, nube, sono in pericolo. Inviami novanta gatti, poiché sei la suprema sovrana dei gatti. Ordina loro di riunirsi giungendo da tutti i luoghi in cui dimorano, dalle montagne, dalle acque, dai fiumi, dall'acqua dei tetti e dall'acqua degli oceani. Dì loro di venire in fretta a mordere il cuore di... e anche il cuore di... e quello di... Che lacerino e mordano, inoltre, il cuore di Megyery il Rosso. E proteggi Erzséhet da ogni male.

Gli spazi servivano a scriverci i nomi dei cuori che dovevano essere morsi.
Fu nel 1604 che Erzsébet rimase vedova e conobbe Darvulia. Costei era né più né meno che la strega del bosco, quella che ci spaventa dai libri per bambini. Vecchissima, collerica, sempre circondata da gatti neri, Darvulia corrispose alla fascinazione che esercitava su Erzsébet perché negli occhi della bella trovava una nuova versione dei poteri malefici racchiusi nei veleni della foresta e la nefasta insensibilité della luna. La magia nera di Darvulia si inscrisse nel nero silenzio della contessa; la iniziò ai giochi più crudeli; le insegnò a guardar morire e il senso del guardar morire; la incoraggiò a cercare la morte e il sangue in senso letterale, ossia a volerli per se stessa, senza timore.


BAGNI DI SANGUE

"Se vai a bagnarti, Juanilla, dimmi a quali bagni vai."
Canzoniere di Upsala


Correva questa voce: dall'arrivo di Darvulia la contessa, per preservare la sua freschezza, prendeva bagni di sangue umano. In effetti Darvulia, da brava fattucchiera, credeva nei poteri ricostitutivi del "fluido umano". Considerò attentamente le virtù del sangue di ragazze - possibilmente vergini - per sottomettere il demone della decrepitezza e la contessa accettò questo rimedio come se si trattasse di semicupi. Perciò, nella sala delle torture, Dorkó si dedicava con impegno a tagliare vene e arterie; il sangue veniva raccolto in recipienti e, quando le donatrici erano ormai dissanguate, Dorkó versava il liquido tiepido e rosso sul corpo della contessa in attesa, così tranquilla, così bianca, così eretta, così silenziosa.
Nonostante la sua immutabile bellezza, il tempo inflisse a Erzsébet qualche comune segno del proprio trascorrere. Verso il 1610 Darvulia era misteriosamente scomparsa ed Erzsébet, che sfiorava la cinquantina, si lamentò con la sua nuova fattucchiera dell'inefficacia dei bagni di sangue. A dire il vero, più che lamentarsi minacciò di ucciderla se non avesse fermato immediatamente il diffondersi degli esecrati segni della vecchiaia. La frattucchiera dedusse che tale inefficacia fosse causata dall'uso di sangue plebeo. Assicurò - o si augurò - che cambiando tonalità, usando sangue blu invece che rosso, la vecchiaia si sarebbe allontanata confusa e vergognosa. Così cominciò la caccia alle figlie dei gentiluomini. Per attirarle, le seguaci di Erzsébet argomentavano che la Signora di Csejthe, sola nel suo desolato castello, non si rassegnava alla propria solitudine. E come eliminare la solitudine? Riempiendo le stanze melanconiche con ragazze di buona famiglia alle quali, in cambio dell'allegra compagnia, avrebbe dato lezioni di buone maniere e insegnato come comportarsi squisitamente in società. Due settimane dopo, delle venticinque "allieve" accorse per aristocratizzarsi non ne restavano che due: una morì poco dopo, dissanguata; l'altra riuscì a suicidarsi.





(Tratto da La contessa sanguinaria, Playground editrice, Roma, 2005. A cura di Francesca Lazzarato.)


 

Alejandra Pizarnik (Buenos Aires, 1936-1972) Autrice di testi in prosa e per il teatro, č nota soprattutto per la sua opera poetica, nella quale si segnala la raccolta Los trabajos y las noches, vincitrice nel 1965 del prestigioso Premio Fondo Nacional de las Artes. Talento versatile, personalitŕ complessa, ha saputo conquistarsi, soprattutto nei suoi fecondi anni parigini, la stima di Octavio Paz, Italo Calvino, Henri Michaux e Julio Cortázar.



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