Il
fiore della "candelária" (2)
Giancarla De Quiroga
Alberto era ormai entrato nell'adolescenza, era
un ragazzo taciturno che dava l'impressione di essere un ospite, tanta era la
sua distanza verso tutto ciò che accadeva in casa; Ignacia assistette a
dodici anni a un ritiro spirituale e restò talmente colpita dal sermone
di un prete del paese del nonno, il quale malediva le tentazioni della carne e
descriveva le pene dell'inferno con tale efficacia, che la giovane si sentí
seduta stante in obbligo di occuparsi solo della sua anima e di diventare vegetariana.
Inoltre sostituí le bambole con statuine di santi, le collane con i rosari,
il gioco con la rinuncia e l'astinenza, risolvendo persino di fare il bagno vestita
per evitare i cattivi pensieri. Quando arrivò in età da marito,
non aveva alcun pretendente né manifestò il minimo interesse ad
averne uno. Compiuti i diciotto anni, che festeggiarono con una messa cantata,
María Patrocinio commissionò un ritratto dei figli al famoso pittore
Avelino Perales, dopodiché pensò che era arrivato il momento di
mandarli in Europa, secondo quanto aveva disposto il defunto Juan de Dios in un
momento inconfessabile e remoto. Alberto avrebbe studiato agronomia e Ignacia
clavicembalo e musica sacra. La scelta del paese di destinazione fu lasciata
alla superiora del convento di Ignacia, il quale aveva la casa madre a Parigi
ed era stato fondato da una visionaria che aveva sparso il polline della fede
nei deserti delle Americhe, e a un contatto epistolare che la vedova stabilí
con l'impresa mineraria francese amministrata dal suocero. María Patrocinio
congedò i figli con una profonda tristezza, mescolata alla soddisfazione
di adempiere alla sacra volontà del coniuge defunto. Il viaggio dei fratelli
Mendevíl fu interminabile. Dapprima sette giorni su un treno di origine
inglese, fino all'arrivo in una città con un fiume dalle acque torbide
e maleodoranti. Poi il viaggio per mare, una traversata di quasi due mesi in compagnia
di una suora e di tre novizie indigene che avrebbero messo la tonaca in Francia. Alberto
percorreva la nave avanti e indietro ebbro di sole e di avventura, strinse un'indimenticabile
amicizia con un marinaio tatuato che al primo scalo lo portò con sé
in una taverna e poi in un bordello, dove il giovane perse il denaro cucitogli
dalla madre nello scapolare, quel che restava della sua verginità - assediata
un'unica volta da una serva della casa -, i brufoli che gli sfiguravano il viso
e la timidezza che impediva ai suoi occhi scuri di guardare diritto. Ignacia
si intratteneva condividendo le pie pratiche delle novizie, sentendo una forte
vocazione per il chiostro, da cui la sua anima sarebbe arrivata al cielo senza
scottarsi con le fiamme del purgatorio: "solo un fugace passaggio, una bruciacchiatura
come quella dei polli appena spennati, perché pecchiamo sempre", le
dicevano. Cuciva vesti sacre, leggeva vite di santi, pregava per scongiurare le
tempeste e sopportava il mal di mare come un sacrificio per la salvezza di ignoti
peccatori lontani. Quando arrivarono al porto francese, si rese conto che gli
uomini la scrutavano lascivamente e che il suo vestito era passato di moda, però
sopportava con piacere quelle umiliazioni, per redimere le anime dei galli lussuriosi
e delle donne frivole, cosí immerse negli affari mondani. A Parigi furono
accolti da Monsieur Valon, un vecchio impiegato dell'impresa mineraria per cui
lavorò il loro nonno, che spiegò la storia della torre restata in
ricordo dell'esposizione universale, sistemò Alberto in una pensione a
buon mercato con una portiera molto curiosa e lo iscrisse a un corso di francese.
Ignacia entrò nel convento da cui sarebbe uscita solo una volta, cinquanta
anni piú tardi, per salire al cielo, con una fermata al Père Lachaise
per disfarsi dell'incomodo della carne. La mensilità destinata ad Alberto,
che con un complesso meccanismo di cambi si trasformava dalla valuta nazionale
in sterline e da sterline in franchi, gli era appena sufficiente per non morire
di fame e per frequentare vaudevilles e bordelli di poco prezzo, dove apprese
un francese portuale e insospettate abilità sessuali. Durante le festività
religiose come la Pasqua e il Natale, visitava il convento, si presentava a una
finestra girevole, poi si fermava di fronte a una grata, dietro alla quale qualcuno
col volto coperto da un velo nero descriveva a voce bassa e monotona le beatezze
dello spirito e i tormenti dell'inferno, mentre esseri invisibili intonavano in
sottofondo canti gregoriani. Supponeva che fosse sua sorella solo perché
si informava sulla comune madre e sui familiari che menzionava nelle preghiere.
María Patrocinio scriveva ad Alberto rallegrandosi di avere una figlia
religiosa, giacché le grazie divine sarebbero ricadute a fiocchi su tutta
la stirpe per tre generazioni, e gli chiedeva insistentemente dei suoi studi di
agronomia che non aveva neppure avviato. Commentava inoltre gli orrori della guerra
che la tenevano occupata a cucire bendature e sudari. Alberto trascorse in
Francia cinque anni. Una lettera spedita sei mesi prima, con la quale la madre
richiedeva la sua presenza immediata per farsi carico dell'amministrazione dell'hacienda
lasciata da Càstulo a causa di un grave problema, insieme all'avvertimento
che le era impossibile continuare il pagamento della sua rimessa mensile, lo costrinse
al ritorno. Si congedò dalla sorella, la quale lo informò che ora
si chiamava Suor Adorazione e gli promise un reincontro in cielo. Dal suo tono
mistico, Alberto si rese conto che non apparteneva piú a questo mondo. Intraprese
il viaggio di ritorno alla sua terra con grande amarezza e un baule contenente
mazze da golf, un gioco a cui era stato allenato da un inglese assiduo frequentatore
della "Maison de Plaisir", un esemplare di "Justine" che gli
aveva regalato un amico bohèmien, dalla cui lettura aveva tratto la decisione
di battezzare il suo primo figlio, se mai ne avesse avuto uno, col nome di Donaciano,
in onore del marchese. Inoltre un grammofono su cui germogliava un enorme fiore
di metallo, dischi d'opera, ricordo dell'amico melomane che lo invitava al suo
palco dell'Opéra; e poi le abilità equestri imparate da un ricco
francese con cui cavalcava nel Bois de Boulogne; un carico di sensazioni senza
alcun sentimento, a parte la devozione per gli amici, ricordi di avventure fugaci,
ma nessun amore duraturo. Inoltre, grazie alle relazioni strette nella "Maison",
aveva imparato a riconoscere il bouquet dei vini, a godere delle salse come un
gourmet, a mangiare le lumache con le pinzette, a degustare minestra di cipolle
a Les Halles e a praticare le arti amatorie in maniera tale che nessuna donna
poteva resistergli. Alberto lasciò in ricordo un certo incanto dovuto alla
sua patria di indefinita lontananza, identificata a volte con il paese dei pellirosse,
dove schiavi incatenati e sottomessi dalla frusta e dalla fame lavoravano nelle
miniere d'argento, e cannibali nudi divoravano incauti missionari. Il ritorno
alla sua terra lo riempí di distaccata meraviglia. Le colline ben modellate
gli sembrarono imponenti, ma il luogo che lo vide nascere gli parve insignificante.
Trovò un villaggio, non una città come pretendevano le carte, il
libro di geografia e perfino la sua memoria. Riconobbe senza nostalgia le vie
strette e lastricate e quell'aria desolata che impregnava tutto, la gente come
gli edifici. Trovò la casa e la madre abbandonate a se stesse. Sua madre
era priva del fascino malinconico che la vedovanza regalava alle donne francesi,
il lutto che conosceva da sempre sembrava esserle entrato anche nell'anima. Lo
accolse emozionata, ma lui la sentí dolorosamente distante, sopportando
l'interrogatorio e il rimprovero. Non aveva studiato niente, era vero, però
aveva imparato tante altre cose. Quando sua madre gli domandò di Ignacia,
rispose che le aveva parlato due volte all'anno, ma non l'aveva piú rivista
in faccia dal giorno in cui era entrata in convento. Quel che risvegliò
la sua curiosità fu il problema legato allo zio Cástulo. Problemi
erano per lui una sorella nubile e incinta, una bancarotta, debiti di gioco impagabili
o una malattia vergognosa, perciò voleva sapere quale era stata la calamità
che lo aveva costretto a fare ritorno. María Patrocinio rispondeva evasivamente,
con racconti confusi che mescolavano la causa, l'effetto e il castigo. Riferí
che nell'hacienda i vermi avevano assalito le patate, la frutta era impallidita
per la tristezza, le galline si erano gonfiate e avevano perso le penne, le vacche
erano diventate sterili, una lunga carestia aveva rinsecchito il seminato, una
tormenta aveva rotto gli alambicchi della distilleria e infine, dopo un profondo
sospiro, confessò che suo fratello aveva contratto l'abitudine di ubriacarsi,
i contadini non ne avevano piú paura e avevano smesso di lavorare, e da
ultimo se ne era andato chissà dove per vivere nel peccato con una fattucchiera
india. Era davvero un problema e se non prendeva lui le redini dell'hacienda,
sarebbero caduti ben presto nella miseria che si lasciava presagire dalla vita
quotidiana. Alberto non ebbe altra scelta che di promettere di farsi carico della
tenuta, ma si prese alcuni giorni in città per ristabilirsi dalle fatiche
del viaggio. La vita domestica gli appariva stucchevole; la cena alle sei era
noiosa, il rito del rosario con la servitú deprimente, la cioccolata prima
di andare a letto pesante da digerire, la messa della domenica con la madre era
insopportabile e le notti nelle strade deserte e silenziose avevano qualcosa di
funebre. Pensava con nostalgia a quella città cosí lontana che lo
aveva abbagliato con le sue luci e si ripromise di farvi ritorno: "Lavorerò
le terre per metterle in vendita e tornerò a Parigi, cavalcherò
nel Bois de Boulogne ma con un cavallo mio, scommetterò a Longchamps il
mio denaro, avrò il mio palco all'Opéra, condividerò con
gli amici avventure, vermuth e calvados, e bagnerò nello champagne le ragazze
di Madame Lulú, la tenutaria della Maison du Plaisir", giurò
davanti allo specchio. La notizia del suo ritorno dalla Francia aveva fatto
il giro delle madri delle ragazze da marito, che gli spedirono i loro saluti tramite
mazzi di fiori e inviti per pranzi, cene, ricevimenti e balli. Tutti sapevano
che l'hacienda era in rovina, però erano sicuri che grazie ai suoi studi
Alberto Mendevíl l'avrebbe riportata ai fasti di un tempo. Fu in una di
quelle riunioni, in cui tutti lo corteggiavano come futuro marito, genero o cognato,
che Alberto conobbe Aurora del Sagrario Villareal.
Traduzione di Antonello Piana.
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