Il fiore della "candelária" (1)
Giancarla De Quiroga
C´è un paese solo, triste povero,
magico, difficile quasi impossibile Eduardo Mitre I condolenti
discutevano della gravidanza della vedova e delle circostanze della morte che
li aveva riuniti in quella sede, giungendo alla conclusione che Juan de Dios Mendívil
era morto come era vissuto. Ricordarono suo padre don Agripino, che era arrivato
dalla Spagna alla fine del secolo precedente, ingaggiato da un'impresa mineraria
che estraeva argento a Potosí; dopo dieci anni di fatiche durissime il
suo sangue si era condensato nelle vene e gli era salito al viso. Aveva lasciato
la miniera e si era trasferito in una cittadina a valle, dove aveva sposato la
figlia di un latifondista. Ma Aparición Molina era morta della malattia
d'agosto, la polmonite estiva, dopo aver dato alla luce un bambino. Dalla
madre Juan de Dios aveva ereditato il neo sulla fronte, dal padre gli occhi scuri,
il gusto per la buona tavola e per la vita di campagna, e dagli antenati baschi
e galiziani la testardaggine. Sua moglie María Patrocinio Castillo aveva
cambiato il vestito nero da educanda con quello da sposa e quello da sposa con
quello a lutto per il suocero, che era morto di congestione il giorno del matrimonio
del figlio. La donna riuniva in sé l'umiltà dei vinti, l'orgoglio
di coloro che un tempo erano stati ricchi e il colore dei meticci. Imparò
presto a soddisfare le voglie amorose del marito e a viziarlo con la buona cucina.
Tuttavia non le riuscí mai di distoglierlo dalle sue decisioni. Quel mattino
di gennaio lo aveva avvertito: "non uscire, Juan de Dios, ti prego, c'è
una farfalla nera che vola avanti e indietro in camera da letto e porta disgrazia",
ma lui, che disprezzava ogni forma di superstizione creola, derise l'avvertimento
e uccise la farfalla con una schioppettata, che sfiorò l'occhio di un santo
in un quadro dell'epoca coloniale. Poi se ne andò sul suo cavallo rossiccio
in compagnia di potenziali acquirenti per la sua hacienda. C'era da attraversare
un primitivo ponte di legno su un fiume in piena. Juan de Dios smontò da
cavallo, esaminò le assi battendovi con gli stivali dagli speroni d'argento
come se volesse ballare la jota dei suoi antenati spagnoli, si convinse
della capacità di tenuta del ponte e decise di attraversarlo. I suoi accompagnatori
erano invece insicuri e lo invitavano a desistere. Tutti sapevano però
che nemmeno il demonio era capace di fermare Mendevíl quando si metteva
in testa qualcosa. Lui assicurò che il ponte avrebbe tenuto e che sarebbe
ritornato alla sua hacienda, vivo o morto. Sotto lo sguardo timoroso degli accompagnatori,
Juan de Dios salí a cavallo e attraversò il ponte, che gemeva e
cigolava sotto il suo peso. Arrivato sull'altra sponda incitò i renitenti
a seguire il suo esempio. Siccome quelli non si decidevano, Juan de Dios, per
infondere loro fiducia, tornò ad attraversare il ponte una volta e poi
un'altra ancora, finché al terzo tentativo il legno marcio cedette con
grande fracasso, inghiottendo sotto di sé cavaliere e cavalcatura. In pochi
istanti la poderosa corrente se lo portò via sotto gli occhi inorriditi
e le urla terrorizzate dei presenti. Il cadavere gonfio e viscido come quello
di un pesce si ancorò in un'ansa cinque miglia piú a valle, nelle
immediate vicinanze dell'hacienda, cosí che Juan de Dios tenne comunque
fede alla sua parola. Maria Patrocinio indossò per il funerale un vestito
e uno scialle neri e accolse dignitosamente le condoglianze della gente, mentre
ricordava il segno di sventura e pensava con angoscia all'esserino che si agitava
nel suo grembo. Suo figlio Alberto Magno, ancora molto piccolo, non capiva ancora
cosa fosse la morte; in compenso i numerosi e insolititi visitatori lo confondevano. I
parenti, gli amici e i curiosi evocavano sottovoce la proverbiale cocciutaggine
del defunto, mentre cercavano di dissimulare la sconveniente allegria infusa dagli
abbondanti liquori che facevano il giro sotto lo sguardo anfitrionesco di Cástulo,
il fratello della vedova. La luce delle candele proiettava ombre tremolanti sulla
lussuosa bara dalle maniglie d'argento, accrescendone le dimensioni, mentre la
cocciutaggine dell'occupante attraversava la sala, il corridoio, scendeva le scale,
passava per il cortile fino alla strada deserta, per entrare nella leggenda agli
albori del giorno. La vedova ricordò le sue nozze fastose per le quali
era venuto dalla Spagna Epigmonio, il fratello minore di suo suocero; il suo arrivo
era coinciso con l'apparizione della cometa che lei considerava responsabile di
tutte le calamità, dalla morte di Don Agripino alla scomparsa di Epigmenio,
dall'epidemia di febbre che flagellò la città all'invasione di formiche
volanti che divorarono tutte le scope, fino all'attuale disgrazia. Ripassò
il suo fidanzamento e la breve vita coniugale. Juan de Dios aveva guadagnato i
suoi favori con l'assedio perseverante e la tenace insistenza durante le prime
domeniche del mese, il giorno di uscita dell'internato, ed era stato un buon marito;
ne evocò la figura a partire dall'imponente statura che lo faceva battere
con la testa alla cornice delle porte imprecando, fino ai piedi smisurati che
lo costringevano a ordinare gli stivali in Italia. Lo amò malgrado la sua
testardaggine che ora le faceva tenerezza, ora la irritava, come la mortificava
l'infinito disprezzo per le razze inferiori e indolenti ereditato dalla sete di
denaro e di avventura di suo padre. Il suo piú fervido desiderio era quello
di vendere le terre e i contadini per andare a vivere in Europa, il continente
di cui coltivava un'immagine paradisiaca grazie alle stampe e ai souvenir che
ornavano la casa. Visto che ciò non era realizzabile, desiderava che almeno
i figli venissero istruiti in Europa: "So quello che faccio, Patrocinio,
sarà un maschio, si chiamerà Ignacio e quando avrà diciotto
anni partirà con Alberto", disse a sua moglie una sera mentre si disponeva
ad amarla, alcuni mesi prima del funesto incidente. Maria Patrocinio conobbe
la solitudine delle notti popolate dai mille rumori della casa, passi erranti
di anime in pena, il cigolio dei mobili, gli incubi inconsolabili del piccolo
Alberto: si sentiva insicura, il letto le sembrava troppo grande, sentiva la mancanza
di Juan de Dios, della sua sollecitudine e perfino della sua ostinazione. Nell'internato
aveva imparato a suonare il piano e a dipingere su corteccia, ma non sapeva nulla
di amministrazione delle terre, per cui delegò quella mansione al fratello
Cástulo, il quale alla morte dei genitori aveva perduto l'eredità
di famiglia sui tavoli del Club Social, la stessa sera in cui Yamil Zarur si era
giocato la moglie e sparato un colpo nei giardini del Circolo Arabo. María
Patrocinio si rinchiuse in casa per la vedovanza e per la gravidanza. Si preparava
per la nascita di Ignacio cucendo un corredo nero, come era tradizione. Un figlio
postumo nasceva nel cordoglio, che veniva manifestato con il lutto di un anno.
Quando cominciarono le doglie mandò a chiamare la levatrice, che arrivò
con la sua valigetta di pelle di lucertola contenente santini con preghiere per
un parto felice, reliquie, un coltello affilatissimo d'argento e alcuni legacci.
La vecchia fece bollire dell'acqua, strappò a brandelli vecchie lenzuola
e si prese il tempo di bere cioccolata e mangiare biscotti, per affrontare il
delicato momento che si approssimava, mormorando giaculatorie e invocazioni. Il
parto fu travagliato, Ignacio tardava a venire alla luce, la partoriente ansimava,
si afferrava alla spalliera del letto facendo tremare il baldacchino, sudando
e urlando, finché non mise al mondo un esserino violaceo e scivoloso. Quando
la levatrice annunciò che si trattava di una bambina, la madre non ci credette,
tanto era sicura dell'infallibilità quasi papale del procreatore, e le
intimò di controllare per bene. La donna rispose piccata che conosceva
il suo mestiere, e in ogni caso la madre avrebbe potuto sincerarsi di persona. La
piccola dovette chiamarsi Ignacia e usare per un anno coperte, cuffiette e fasce
completamente nere, poi si tolse il lutto e indossò il corredo celeste
destinato al maschietto mancato. Alberto, il quale pure aspettava un fratellino,
si sentí truffato e ignorò la nascitura per quasi tutta la vita. María
Patrocinio educò i figli come si conveniva, il maschietto in un collegio
di preti e Ignacia in un internato di suore. Suo fratello Cástulo amministrava
l'hacienda, che garantiva, grazie all'aiuto di Dio, alla fertilità delle
terre e allo sfruttamento degli indios, il sufficiente per un'esistenza decorosa.
Tentarono comunque di venderla per esaudire il desiderio del defunto, ma non si
trovò alcun acquirente.
Traduzione di Antonello Piana.
Giancarla de Quiroga
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