Boa Vista
1932
Evelyn Waugh
(...) In quelle poche ore del mio soggiorno in città, la Boa Vista della mia fantasia
era già andata in frantumi. O meglio, scomparsa: inghiottita da un terremoto,
strappata dalla terra da un tornado e scagliata in aria come paglia al vento,
bruciata nello zolfo come Gomorra, abbattuta dalle trombe come Gerico, rasa al
suolo come Cartagine; comprata, fatta a pezzi e trasportata pietra per pietra
in qualche altro continente per il capriccio di un Hearst: la superba Troia era
caduta. Così, quando mi accinsi a fare un giro esplorativo non mi aspettavo più
la città che avevo avuto davanti alla mente assetata nei giorni prima di raggiungerla:
i boulevard ombrosi coi loro chioschi di fiori, di sigari e di giornali illustrati:
la terrazza dell'hôtel e i caffè; la chiesa barocca innalzata dai missionari nel
Seicento: i bastioni dell'antica fortezza; il palco per la banda nella piazza,
tra le fontane e le aiuole e i cespugli di fiori; i melliflui cittadini, dall'aria
un tantino spavalda, alcuni in uniforme e speroni, altri che con spagnolesca eleganza
fanno roteare sottili bastoni da passeggio, fanno profondi inchini o salutano
togliendosi la paglietta, staccando invisibili particelle di polvere dalle ghette
di candido lino con colpetti dei loro guanti bianchi: e poi languide bellezze
brune che, il viso nascosto dal ventaglio, lanciano occhiate dai balconi o dai
tavolini dei caffè. Tutte queste stravaganti e altamente improbabili fantasie
erano state cancellate, spazzate via come un castello di sabbia da un'onda del
mare. Né la più attenta esplorazione che ora facevo me le poteva restituire.
Rividi la larga strada principale che avevamo risalito; e poi due strade parallele
meno importanti, e altre quattro o cinque vie disposte perpendicolarmente a quelle.
Dopo un quarto di miglio in ogni direzione si spegnevano tutte, trasformandosi
in sentieri polverosi. Si chiamavano tutte "Avenida" e portavano il nome di uomini
politici di rinomanza locale. La città era stata progettata su scala molto ambiziosa:
molto vasta e ad angoli retti. Ma la maggior parte delle aree fabbricabili era
rimasta inutilizzata. C'era un negozio di dimensioni notevoli, più grande e un
po' meglio fornito di quello di Figueiredo, più una mezza dozzina di piccole e
squallide bottegucce; un chiosco di legno con l'elenco dei servizi di un barbiere
cerusico, che annunciava di eseguire ondulazioni di capelli, estrazioni di denti
e cure di malattie veneree; una casa mezzo in rovina abitata dalle monache, una
scuola all'aperto dove si poteva osservare un maestro in preda a un attacco di
malaria che arringava con voce monotona una immensa scolaresca di ragazzini in
letargo; un ufficio del telegrafo e un altro piccolo edificio nel quale accettavano
le lettere da inviare per posta. C'erano due caffè: quello sulla strada principale
consisteva in una piccola baracca dove si vendeva farinha, banane e pesce, e davanti
alla quale, sotto un albero, stavano tre tavolini dove qualche persona si riuniva
alla sera a bere caffè alla luce di un'unica lanterna. L'altro, in una strada
secondaria, era più attraente: aveva il pavimento in cemento, e un bancone dove
si potevano comprare sigarette e noccioline, dove c'erano dei giochi di domino
a disposizione degli habitués, e dove oltre al caffè si poteva bere della birra,
calda e molto cara. L'unico edificio, a parte il priorato dei benedettini,
che potesse vantare qualche pretesa di magnificenza era la chiesa: una costruzione
moderna dipinta a strisce orizzontali gialle e arancione, con modanature ornamentali
in cemento. Dall'esterno erano visibili le antiche campane, mentre l'interno comprendeva
tre sontuosi altari adorni di veli ricamati e con paliotti e pale intagliate;
grandi statue dipinte a vivaci colori; un armonium; fiori artificiali e candelieri
lucidissimi, banchi di legno decorato, un fonte battesimale di marmo recante a
lettere cubitali il nome del principale commerciante della città. Il tutto aveva
un aspetto nuovo di zecca, ed era di una pulizia da ospedale: niente galline o
maiali in tutto l'edificio. Ero curioso di sapere grazie a quale benefattore questa
chiesa tanto ricca era potuta nascere, e mi fu detto che, come quasi tutto in
città, era stata iniziata "ai tempi della Compagnia".
Riuscii a trovare una persona che parlava inglese: un giovane singolarmente poco
attraente, figlio illegittimo di un cittadino eminente di Georgetown che avevo
conosciuto durante il mio soggiorno natalizio. Questo fatto creò fra noi un legame
estremamente fragile: infatti il giovane mi disse che odiava suo padre, e in più
di un'occasione aveva pensato di sparargli. "Ora mi sono sposato, e gli ho scritto
cinque volte chiedendogli del denaro senza mai avere risposta". Questo giovane
aveva, come tutti gli abitanti di Boa Vista, un fisico scarno e spolpato al massimo;
e capelli neri e appiccicaticci che gli cadevano sugli occhi, i quali erano di
un colore giallo appena più chiaro del resto del viso. Parlava con una voce melanconica
e strascicata. Era anche, praticamente, l'unica persona in tutta la città che
io vidi lavorare. Aveva una piccola bottega di fabbro ferraio, dove faceva i ferri
per marchiare il bestiame e riparava le armi da fuoco. Quasi nessuno degli altri
abitanti sembrava avere una qualche occupazione: tutti parevano infatti presi
nel circolo vizioso di un'inedia quasi totale. Forse qualcuno raccattava qualche
piccolo compenso durante la stagione delle piogge, quando le barche arrivavano
da Manáos con una certa frequenza, e i rancheros venivano in città per fare provviste
e avevano bisogno di manodopera per il trasporto del loro bestiame. Ma per tutto
il tempo che io restai a Boa Vista non vidi quasi mai nessuno - tranne il maestro
di scuola - guadagnare qualcosa. Va detto per la verità che non vidi quasi mai
nessuno spendere qualcosa: persino nel caffè la maggioranza dei clienti veniva
a chiacchierare e giocare a domino, e se ne andava senza ordinare neppure una
tazza di caffè. A qualche miglio di distanza era installato un gruppo di militari,
e questi portavano alla città qualche soldo. Erano riservisti, sistemati in piccoli
alloggiamenti con le loro mogli. Poi c'era un anziano impiegato comunale, che
presumibilmente riceveva qualche sorta di paga; lo stesso valeva senza dubbio
per il veterinario governativo itinerante, che si faceva vedere di tanto in tanto;
e anche per il telegrafista, e per un altro funzionario di aspetto furfantesco
che veniva chiamato "Esattore". Ma gli altri mille abitanti o giù di lì passavano
le loro giornate chiusi in casa, sdraiati sulle amache, e le loro serate seduti
sulla soglia a chiacchierare. La terra era di chi la voleva e, come le monache
avevano dimostrato, sapeva produrre ortaggi eccellenti; ma la dieta della città
era farinha, tasso, e un po' di pesce: tutta roba dal costo insignificante. Eppure
non si trattava affatto di un'imprevidenza idilliaca da parte di gente allegra
e spensierata. Al contrario: tutti avevano un'aria malsana e scontenta. Non si
vedeva in giro una sola persona grassa, uomo o donna che fosse. Le donne, semmai,
conducevano una vita ancor più squallida degli uomini: infatti non avevano beni
domestici di cui prendersi cura, non avevano niente da cucinare, e quanto ai figli
li lasciavano, nudi o vestiti di pochi stracci, in mezzo alla strada. Eppure erano
graziose: molto piccole e snelle, con ossa minute e lineamenti delicati. Alcune
curavano il proprio aspetto, ed erano, quelle che facevano la loro apparizione
in chiesa alla messa della domenica, vestite con un abito leggero, calze e scarpe,
e nei capelli un vivace pettine da pochi soldi. Ricorrendo a fonti frammentarie
e non del tutto attendibili, misi insieme una breve storia di Boa Vista. Non era
una storia allegra. Anche il più patriottico dei brasiliani non riuscirà a trovare
molto da dire in favore degli abitanti dell'Amazzonia, che sono, in maggioranza
discendenti di galeotti lasciati liberi sul territorio dopo aver scontato le loro
condanne, così come i francesi lasciano liberi i loro criminali alla Caienna a
sbrigarsela come meglio possono in un paese inospitale come quello. In Amazzonia
sono praticamente tutti di sangue misto indiano e portoghese. Non esiste un censimento
attendibile, ma uno studio medico pubblicato di recente sui "Geographical Magazine"
riferiva che si tratta di una popolazione in via di estinzione, le cui famiglie
di solito divengono sterili nel giro di tre generazioni: gli immigranti stranieri,
per lo più tedeschi e giapponesi, spingono gradualmente verso nord io che ne è
rimasto, e Boa Vista è il loro punto di sosta finale prima dell'estinzione. I
migliori se ne vanno a cercar lavoro nei ranchos dei dintorni: i peggiori restano
in città. Hanno un'inclinazione naturale verso l'omicidio,
e ogni uomo, per quanto povero, gira armato: solo l'universale apatia impedisce
frequenti spargimenti di sangue. Per tutto il periodo della mia permanenza non
ci furono sparatorie, anzi, non ce n'erano state per diversi mesi; ma io mi sentivo
lo stesso un'atmosfera per me insolita nella quale la morte violenta era sempre
nell'aria. Al priorato l'ospite tedesco dormiva costantemente con un fucile carico
accanto al letto, e manifestò grande sorpresa quando mi vide andare a far spese
senza un revolver addosso. E il fabbro, senza dubbio anche a causa della sua occupazione,
non parlava quasi di niente altro: una delle prestazioni professionali che lo
interessavano di più era quella di modificare le molle dei grilletti in modo che,
al momento dell'estrazione, l'arma sparasse più rapidamente. Ma le condanne
per omicidio erano rare; i due processi più sensazionali degli ultimi anni erano
finiti entrambi con un'assoluzione. Uno di questi processi era il caso di un giovane
inglese che era entrato nel territorio, provenendo dalla Guiana, per cercare oro.
Non aveva il diritto di farlo, e una sera al caffè, trovandosi un po' brillo,
si dichiarò pronto a sparare a chiunque si fosse immischiato negli affari suoi.
Qualche sera dopo, mentre entrava in casa sua, venne ucciso con una fucilata nella
schiena e derubato. Le frasi da bravaccio pronunciate al caffè vennero accettate
dal tribunale come una provocazione che giustificava l'omicidio. L'altro
caso è ancor più bizzarro. Due cittadini rispettabili, un certo dottor Zany e
un certo Homero Cruz, stavano chiacchierando seduti su una veranda, quando giunse
a cavallo un oppositore politico che sparò al dottor Zany uccidendolo. Portato
in giudizio, si dichiarò innocente sulla base del fatto che era stato tutto uno
sbaglio: colui che intendeva uccidere non era il dottor Zany, ma il senhor Cruz.
I giudici accettarono questa linea di difesa, ed emisero un verdetto di morte
accidentale. Di tanto in tanto sono stati fatti tentativi per migliorare
le condizioni della città. Poco prima della grande guerra era apparso un signore
tedesco in possesso di vasti capitali, che aveva cominciato a comprare bestiame.
Offriva un prezzo più alto di quanto i rancheros avessero mai ricevuto per le
loro bestie. Per trasportarle al mercato di Manáos l'uomo allestì una flotta di
grandi lance a motore. Finanziariamente il progetto era validissimo, e avrebbe
portato al distretto dei vantaggi molto considerevoli; ma era destinato a fallire.
Prima che il primo convoglio di bestiame potesse raggiungere il mercato, l'uomo
venne ucciso con una revolverata da un funzionario che egli per sbadataggine aveva
dimenticato di corrompere. La difesa dichiarò che era stato ucciso mentre tentava
di sfuggire all'arresto, essendo stato accusato di aver raccolto uova di tartaruga
fuori stagione. L'assassino venne prosciolto da ogni accusa, e le lance dell'investitore
tedesco non riapparvero mai più a Boa Vista. Un'impresa più recente era stata
quella della "Compagnia", la stessa di cui si parlava tanto spesso. Non riuscii
mai a sapere tutta la storia di questo disastro, perché vi erano profondamente
coinvolti i benedettini, e io non volevo certo fare domande troppo insistenti
al priorato. Il fabbro comunque mi assicurò gravemente che lo scandalo era stato
tanto grande che l'arcivescovo era stato portato a Roma, e giuntovi era stato
messo in prigione dal papa. Ciò che pareva certo era che ci fosse qualcosa di
più di un'ordinaria cattiva amministrazione di un affare. Padre Alcuino non me
ne parlò mai se non per dirmi che le cose non erano andate come si era sperato.
I fatti, per quello che ho potuto raccogliere, sono questi. Un anno o due
addietro, infiammati da caritatevole zelo, i ricchi benedettini di Rio avevano
concepito un piano che avrebbe portato prosperità a Boa Vista e maggior dignità
ai suoi cittadini. Geograficamente e politicamente la città è in posizione ideale
rispetto all'intero immenso territorio degli affluenti settentrionali del Rio
delle Amazzoni. I monaci la immaginarono trasformata dalla sua presente condizione,
quella di uno squallido accampamento di gangster falliti, in una prospera città,
un faro di cultura che avrebbe illuminato il buio delle terre circostanti, un
centro dal quale si sarebbero potuti educare ed evangelizzare gli indiani. E arrivarono
a immaginarsela addirittura come uno stato ecclesiastico in miniatura, dove industria,
commercio e governo della città sarebbero stati nelle mani benevole della Chiesa:
un bel sogno, che agli occhi di chi non conosceva se non imperfettamente il reale
carattere di Boa Vista brillava di grandi e reali possibilità di successo.
Fu così che venne lanciata la "Compagnia". Essa nacque sotto l'altissimo patronato
ecclesiastico; era finanziata con capitali benedettini, e diretta dal fratello
di un membro della gerarchia. Il metodo col quale la città avrebbe dovuto sollevarsi
e raggiungere la prosperità era, ancora una volta, perfettamente ragionevole per
chiunque presupponesse l'esistenza di normali condizioni di lavoro. Invece di
far arrivare il bestiame fino ai macelli di Manáos, le bestie sarebbero state
macellate sul posto e messe in scatola. L'idea era che il manzo, conservato in
scatola e venduto a basso prezzo, avrebbe preso rapidamente il posto del poco
nutriente tasso, e inoltre si sarebbe rivelato un articolo di esportazione più
prezioso e più maneggevole del bestiame vivo. La fabbrica avrebbe dato un lavoro
regolare e rimunerativo a tutti gli abitanti del distretto; e secondo le migliori
tradizioni della grande industria, la "Compagnia" avrebbe anche fornito ai suoi
dipendenti le prime necessità della vita e le ricreazioni, che sarebbero state
pagate coi loro salari: i profitti, rimessi in rapida circolazione, sarebbero
stati utilizzati per creare i servizi pubblici. Nessuno era mosso da altri motivi:
l'intero progetto era dedicato alla gloria di Dio e al benessere della popolazione
del luogo. A Rio, sulla carta, esso appariva impeccabile. Le operazioni vennero
iniziate su vasta scala. Fu costruita la fabbrica per l'inscatolamento, che
venne munita dei migliori macchinari moderni; fu costruita una centrale elettrica,
che fornì la luce alle case e alle strade; fu costruita una bella chiesa, e poi
un ospedale e una piccola scuola. Una scuola più grande sarebbe venuta successivamente,
insieme con un priorato e un convento. I salari concessi erano generosi; vennero
aperti due alberghi e un cinematografo; un frigorifero portò a Boa Vista il primo
ghiaccio della sua storia. Tutto sembrava procedere ammirevolmente. Ma i
monaci di Rio avevano fatto i conti senza prendere in considerazione una caratteristica
della mentalità locale, che aveva lontane radici: un antagonismo profondo contro
tutto quanto c'è al mondo di virtuoso e di rispettabile. Accadde che poco dopo
questo pregiudizio fosse potentemente attivato e infiammato dall'arrivo imprevisto
di un americano, un irresponsabile che aveva un suo disegno rivale per lo sviluppo
della città. La sua proposta, ben più ambiziosa, era di costruire una strada carrozzabile
e una ferrovia, che attraversassero la giungla invalicabile che separava la città
da Manáos: un progetto più o meno equivalente, come ordine di grandezza, all'apertura
del canale di Panama. Quando scoprì che le concessioni per la ferrovia erano già
state assegnate ai benedettini, il che rendeva la sua impresa, già impraticabile,
anche legalmente impossibile, l'americano fece ricorso ad altri mezzi: cominciò
a spiegare agli abitanti i grandissimi vantaggi dei quali erano stati privati,
le paghe molto più alte che lui avrebbe concesso, e la maggior prosperità che
sarebbe nata dalla sua iniziativa: I cittadini, per loro natura disposti a scorgere
lini sinistri in qualsiasi attività, anche la più modesta, erano già sospettosi
per conto loro verso i grandi cambiamenti che stavano avvenendo. Ma l'americano
rincarò la dose: fece notare l'origine straniera di gran parte dei membri dell'Ordine,
e la parentela del direttore della "Compagnia" con l'altissimo ecclesiastico di
Rio, col risultato che non appena i monaci e le suore arrivarono nella loro nuova
sede, tutti gli abitanti si erano già quasi convinti che si stesse perpetrando
ai loro danni una grossa truffa. Preti e monache si videro assalire con dimostrazioni
ostili e qualche sassaiola, e fu solo con difficoltà, e anche con un certo pericolo,
che riuscirono a sbarcare. Da quel momento in poi i benedettini ebbero tutti
contro: furono insultati e boicottati. Lo stabilimento per produrre lo scatolame
si dimostrò un fallimento; quanto al ghiaccio, nessuno voleva usare questa sostanza
innaturale ed effimera così tipica di tutto ciò che è straniero: roba disonesta,
che aveva già perso metà del suo peso prima ancora che uno arrivasse a casa. L'ospedale
non lo volevano, preferendo di gran lunga ammalarsi e morire nella loro amaca,
decorosamente, secondo la tradizione del luogo. E l'elettricità? Nessuno pagò
mai la bolletta della luce, e la centrale dovette essere chiusa. I preti si ammalarono
di febbre, e uno ad uno bisognò rispedirli a Manáos. La "Compagnia" entrò in bancarotta,
e tutti i lavori progettati furono fermati: niente priorato quindi, nessuna grande
scuola, nessun convento. Al momento del mio arrivo era stato raggiunto forse il
punto più basso. Padre Alcuino era l'ultimo rimasto, ma era così ammalato che
solo un eroismo sovrannaturale gli permetteva di continuare il lavoro. Accadeva
spesso che riuscisse appena a trascinarsi in chiesa per dire la messa, per poi
ritirarsi e mettersi a letto per il resto della giornata, con la febbre alta.
Il maestoso edificio che abitava era quello che in origine era destinato a diventare
l'ospedale. Le sue due grandi camerate erano attualmente occupate da un falegname,
impegnato a fabbricare dei banchi per la chiesa, e da un veterinario governativo,
che vi aveva installato un laboratorio nel quale lavorava di quando in quando,
fra un giro e l'altro nei ranchos: stava studiando una forma molto frequente di
paralisi nel cavallo, che egli attribuiva ai vermi. Se era rimasta in città una
sia pur minutissima favilla di bontà, questa era tenuta in vita dalle monache,
che silenziose, devote, instancabili, abitavano in esecrabilissimi alloggi presso
la riva del fiume, gestivano una scuola per lo sparuto manipolo delle figlie dei
borghesi, e facevano da infermiere a un negro e a un anziano cercatore di diamanti,
che erano arrivati separatamente dal Nord in condizioni fisiche disperate, e quindi
non avevano nessuna voglia di dar retta ai pregiudizi della città. Si era arrivati,
come ho detto, al punto più basso: si attendeva da un giorno all'altro un nuovo
priore, che fosse in grado di riorganizzare e rimettere in ordine le cose. (...)
(Tratto da Quando viaggiare era un piacere, quaderni di viaggi, Adelphi
editrice, Milano, 2005, traduzione di David Mezzacapa.)
Evelyn A. Waugh (1903-1966) è uno degli autori più rilevanti ed eccentrici
della letteratura inglese del Novecento. Laureato a Oxford, fu per breve tempo
insegnante di public school e si dedicò poi unicamente alla letteratura.
Insieme ad alcuni libri di viaggi, si ricordano, fra i suoi romanzi più famosi,
Una manciata di polvere (1934), Il caro estinto (1948), Ufficiale
e gentiluomo (1955) e Resa incondizionata (1961).
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