IL PROGETTO DI LETTERATURA MONDIALE
Susan Sontag
Le
nostre idee sulla letteratura (e, di conseguenza, sulla traduzione)
sono risposte ad altre idee. All'inizio del XIX secolo, sembrava
progressista sostenere la causa delle letterature nazionali e
della peculiarità (il "genio particolare") delle
lingue nazionali. Il prestigio dello stato-nazione nel XIX secolo
fu alimentato dalla consapevolezza di aver prodotto grandi scrittori
"nazionali", che in paesi come la Polonia o l'Ungheria,
ad esempio, furono in genere poeti. In effetti, l'idea di nazione
assunse una connotazione particolarmente libertaria proprio in
quei piccoli paesi europei che, pur trovandosi ancora all'interno
di un sistema imperiale, cominciavano ad acquisire l'identità
di stati-nazione.
L'interesse per l'autenticità dell'incarnazione linguistica
della letteratura fu una delle risposte a tali nuove idee, e diede
origine a movimenti a sostegno dell'uso letterario dei dialetti,
o delle cosiddette lingue regionali. Una diversa risposta all'idea
di identità nazionale fu quella formulata da Goethe, forse
il primo a elaborare - e proprio in un periodo, la prima parte
del XIX secolo, in cui l'idea di identità nazionale era
considerata progressista - il progetto di Letteratura mondiale
(Weltliteratur).
Può sembrare sorprendente che Goethe abbia proposto un'idea
così in anticipo sui tempi. Sembra meno strano se si pensa
che Goethe era non solo un contemporaneo di Napoleone, ma egli
stesso napoleonico in una serie di idee e progetti che si potrebbero
considerare gli equivalenti intellettuali dell'impero napoleonico.
La sua idea di letteratura mondiale ricorda l'idea napoleonica
degli Stati Uniti d'Europa, dal momento che per "mondo"
Goethe intendeva l'Europa e i paesi neo-europei, dove era già
in atto un intenso traffico letterario attraverso le frontiere.
Nella prospettiva di Goethe, la dignità e la specificità
delle lingue nazionali (intimamente connesse all'affermazione
del nazionalismo) sono del tutto compatibili con l'idea di una
letteratura mondiale, ovvero con l'idea di un pubblico mondiale
di lettori che legge i libri in traduzione.
Nel corso del secolo, tale idea di internazionalismo, o cosmopolitismo,
in letteratura finì col diventare, nei paesi dominanti,
l'idea più progressista, quella caratterizzata da connotazioni
libertarie. Per progresso si intendeva la naturale evoluzione
della letteratura da "provinciale" a "nazionale"
e poi a "internazionale". Una certa idea di Weltliteratur
ha continuato a fiorire per gran parte del XX secolo, insieme
al sogno ricorrente di un parlamento internazionale in cui tutti
gli stati-nazione avrebbero avuto uguale peso. La letteratura
poteva diventare un sistema internazionale di questo genere, tale
da attribuire alla traduzione un ruolo sempre più importante,
e dunque permettere a tutti di leggere i libri degli altri. La
diffusione globale dell'inglese poteva perciò considerarsi
come una mossa essenziale per la trasformazione della letteratura
in un sistema di produzione e scambio di portata davvero mondiale.
Ma, come in molti hanno osservato, la globalizzazione è
un processo che produce benefici diseguali per i vari popoli della
terra, e la globalizzazione dell'inglese non ha alterato la storia
dei pregiudizi sulle identità nazionali. Una delle conseguenze
di tutto ciò è che alcune lingue - e la letteratura
che in esse si produce - continuano a essere considerate più
importanti di altre. Un esempio: Le memorie postume di Bras
Cubas e Don Casmurro di Machado de Assis e O cortiço
(Bassifondi) di Aluísio Azevedo, tre dei migliori romanzi
scritti nell'ultima parte del XIX secolo, sarebbero certamente
famosi quanto può oggi esserlo un capolavoro scritto nel
tardo Ottocento se, invece che essere scritti in portoghese da
autori brasiliani, fossero stati scritti in tedesco, francese,
o russo. O in inglese. (Non si tratta di una contrapposizione
tra lingue più o meno diffuse. Al Brasile non fanno certo
difetto gli abitanti e il portoghese è la sesta lingua
al mondo per numero di parlanti.) Mi affretto ad aggiungere che
questi meravigliosi libri sono tradotti, e in modo eccellente,
in inglese. Il problema è che non se ne parla. Non si ritiene
necessario - o perlomeno non ancora - che una persona colta, una
persona alla ricerca di quell'estasi che solo la narrativa può
dare, li legga.
Un'antica immagine biblica suggerisce che viviamo con le nostre
differenze, emblematicamente linguistiche, gli uni sugli altri
- come nel grattacielo alto un miglio sognato da Frank Lloyd Wright.
Ma il buon senso ci dice che la nostra dispersione linguistica
non può essere rappresentata da una torre. La geografia
della nostra differenziazione in molte lingue è infatti
molto più orizzontale che verticale (o così pare),
con fiumi, montagne, valli, e oceani che lambiscono la massa terrestre.
Tradurre significa traghettare, trasferire.
Ma forse qualcosa di vero in quell'immagine c'è. Una torre
ha molti livelli, e i suoi numerosi inquilini sono accatastati
uno sull'altro. Se quella di Babele assomiglia alle altre torri,
i piani superiori sono i più ambiti. Forse certe lingue
occupano intere sezioni dei piani più alti, le sale più
grandi e le terrazze che dominano il panorama. Mentre le altre
lingue e i loro prodotti letterari sono relegati ai piani inferiori,
con i soffitti bassi e la visuale ostruita.
(Brano
tratto dal libro Tradurre letteratura, Archinto editrice,
Milano, 2004. Traduzione di Paolo Dilonardo.)
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