IL SERGENTE NELLA NEVE
( - un brano del romanzo - )
Mario
Rigoni Stern
(...)
Parte dei miei compagni si sistemarono attorno a un pagliaio
coprendosi poi di paglia. Altri andarono non so dove, e io
rimasi solo con Bodei davanti a un fuoco. D'un tratto si sentì belare
e Bodei si alzò, andò a prendere la pecora che
aveva belato e l'uccise vicino al fuoco. Io l'aiutai a scuoiarla
e sul fuoco vivo mettemmo ad arrostire una coscia della pecora
per ciascuno. La carne calda e sanguinolenta era incredibilmente
buona. E dopo le cosce, abbrustolimmo il cuore, il fegato,
i rognoni infilati alla bacchetta del fucile. Attorno al fuoco
si abbrustoliva la carne della pecora e l'odore del fumo era
grasso e buono. Mangiammo le braciole, e passavano le ore,
poi il collo e le gambe anteriori. Vennero da noi, forse attratti
dall'odore, due fanti italiani e un tedesco; finirono di mangiare
la pecora; anzi spolparono le ossa che Bodei e io avevamo lasciato.
Erano senza armi e al posto delle scarpe avevano stracci e
paglia legati attorno ai piedi con filo di ferro. Facemmo loro
un po' di posto vicino al fuoco, e se ne stettero lí silenziosi.
Non si alzavano nemmeno per andare in cerca di legna e Bodei
brontolava; nemmeno il fumo scansavano con la testa.
Io
avevo un gran sonno. Mi addormentai ma incominciava l'alba,
e di lí a poco mi svegliarono i rumori che sempre precedevano
la partenza della colonna. Raduno i miei compagni di plotone.
Si va, ma la colonna, invece di proseguire, ritorna sulla pista
di ieri. Che succede? Vediamo giú a destra un paese abbastanza
grosso. Dicono che vi sono i russi e che bisogna conquistarlo
per lasciare la strada aperta agli altri dei nostri che seguiranno. – Avanti
il Vestone! – gridano in testa, e ci fanno passare. Ora
son pronti a farci passare. Ci viene comunicato da che parte
attaccare e andiamo ancora una volta. Il plotone di Cenci e Moscioni
a destra, io al centro e un po' arretrato con la pesante, poi
le altre compagnie del battaglione, infine i tedeschi. Da un
fosso vengono fuori dei soldati russi con le mani alzate e i
nostri li disarmano. Si sente qualche sparo qua e là,
ma fiacco. Il maggiore Bracchi ci segue e ogni tanto ci grida
degli ordini. Vediamo altri soldati russi che se ne vanno. Non
sembra una vera battaglia. La pesante non spara nemmeno un colpo.
Noi siamo piú in alto e vediamo tutto. Raggiungiamo le
prime isbe e aggiriamo il paese. Troviamo un branco di oche che
strepitano. Ne acciuffiamo alcune; e tiriamo loro il collo e
ce le portiamo in spalla tenendole per la testa. E stata per
le oche la battaglia. Dal centro del paese, dove c'è la
chiesa, gridano adunata. E già finito tutto.
Andando in direzione della chiesa vediamo dei camion abbandonati
di marca americana, vi sono anche dei cannoni piazzati con
le munizioni accanto. Strano che i russi abbiano tanta artiglieria
in un piccolo paese. Ma perché non hanno sparato? Era
un caposaldo ben munito. Stanotte la colonna è passata
sull'orlo della mugila che sovrasta il paese. E stato là che
io mi sono addormentato sulla neve. Non ci hanno sentiti. Eravamo
veramente ombre. E mi ricordai di aver visto qualche chiarore
nelle vicinanze. E che mi ero detto: “Perché non
andiamo lì?” Pensando a queste cose vedo ora un'isba
con la porta aperta ed entro. Non mi accorgo che entrando ho
scavalcato un morto, un russo, messo di traverso sulla soglia.
Nell'isba mi guardo attorno per cercare qualcosa da mangiare.
C'è già qualcun altro che mi ha preceduto; vedo
cassetti aperti, biancheria, merletti sparsi sul pavimento e
cassapanche aperte. Frugo in un cassetto, ma poi in un angolo
vedo delle donne e dei ragazzi che piangono. Piangono singhiozzando
forte con la testa fra le mani e le spalle che sussultano. Allora
mi accorgo dell'uomo morto sulla porta e vedo che lì vicino
il pavimento è tutto rosso di sangue. Non so dire quello
che ho provato; vergogna o disprezzo per me, dolore per loro
o per me. Mi precipitai fuori come se fossi il colpevole.
Vi è di nuovo adunata. Stavolta è davanti alla
chiesa. Si vedono abbandonati dei camion italiani carichi di
sacchi di patate secche tagliate a fette e mi riempio le tasche
di queste. Sulla neve vi sono pure due botti di vino. Una è sfondata
con dentro il vino gelato tutto a scaglie rosse. Mi riempio la
gavetta di scaglie rosse e me ne metto qualcuna in bocca. Un
ufficiale dice: – State attenti, potrebbe essere avvelenato –.
Ma non era affatto avvelenato.
I tedeschi si prendono tutti i prigionieri russi che abbiamo
fatto, si allontanano e poi sentiamo numerose raffiche e qualche
colpo. Nevica.
(...)
(Tratto
da Il sergente nella neve / Ritorno sul Don, Einaudi, Torino,
1973)
Mario
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