LOTTA DI CLASSE IN UN APPARTAMENTO

 

 

Alexander Vatlin

 

Malgrado i dati venuti alla luce durante lo scorso decennio sulle dimensioni del terrore di stato negli anni ’30 – siano ricordate qui solo le liste di fucilazione -, persiste nell’opinione pubblica russa l’idea di un ”Gran Terrore” di breve durata, dal 1936 al 1938, ai danni delle classi privilegiate. I nuovi bolscevichi hanno fatto fuori i vecchi e tutto è finito lí. Una conferma a questa convinzione è rappresentata dalla ”casa sul lungofiume”, dalla quale insigni funzionari di stato e di partito venivano prelevati ogni notte per essere portati alla Lubjanka.
Noi vogliamo invece offrire al lettore la storia di un’altra, meno celebre casa, situata al numero 30/6 della piazza Spartak di Mosca, per i cui inquilini la vita mutò come dal giorno alla notte.
Agli inizi degli anni ’30 Mosca veniva spesso paragonata a un formicaio. In seguito alla collettivizzazione affluivano in città migliaia di contadini che avevano venduto ogni loro avere per sfuggire alla ”deculacchizzazione” delle campagne. La situazione dell‘approvvigionamento alimentare della città, per sé già critica, divenne a dir poco insostenibile. Di notte le folle in fila davanti ai negozi accendevano fuochi di bivacco, solo cosí era possibile ottenere la propria razione di burro o di orzo. Ogni tanto gli uomini della milizia che si provavano a mettere ordine nelle code venivano malmenati, dispacci e botteghe regolarmente saccheggiati. Il mercato nero prosperava e i prezzi salivano alle stelle. Con un salario medio di 60-90 rubli al mese, una libbra di farina costava anche 30 rubli e una decina di uova o un litro di latte fino a 2.
La carne era praticamente sparita dai negozi. Al suo posto c’erano stoccafisso, aringhe e altri ”surrogati”. Dietro iniziativa di Stalin, il 10 Marzo 1930 il politburo del Comitato Centrale del PcdUS promulgò il divieto di vendita a Mosca della carne di cammello e ridusse l’approvigionamento della minoranza musulmana con carne di cavallo.
A partire da queste premesse si sviluppò nella metropoli e in altre città un’autentica gerarchia della miseria. I contadini arrivati dai villaggi non avevano carte alimentari e perciò erano pieni di invidia nei confronti degli operai, questi a loro volta invidiavano i quadri della nomenclatura perché potevano fare i loro acquisti in negozi esclusivi. Le casalinghe erano in vantaggio sulle lavoratrici perché potevano stare in fila per giorni interi. La desolante quotidianità produceva conflitti che acquistavano immediatamente una coloritura di classe.
La casa a due piani in piazza Spartak non faceva eccezione. Dopo la rivoluzione era stata suddivisa in appartamenti comuni, le cosiddette ”Kommunal’ke”. Nascite e afflussi di nuovi cittadini rendevano necessaria la convivenza di diverse famiglie nello stesso appartamento. Nel 1925 arrivò una nuova ondata di inquilini: contadini dai villaggi Gorki e Šakino, nei dintorni di Mosca, che avevano costituito un Artel e si arrabattavano come brigata di tecnici delle riparazioni.
Con l’inizio della collettivizzazione scoppiò un vero e proprio assalto al numero 30/6. Altri contadini raggiungevao i loro parenti e conoscenti. Arrivati in città, continuavano tutti a vivere secondo le leggi e regole dell’Obšcina, la comunità del villaggio. Il sostegno dei vicini e dei parenti era un dovere sacrosanto. Se uno riusciva in qualche modo a trovare una sistemazione a Mosca, spesso gli veniva dietro mezzo villaggio. L’amministratore del condominio Ivan Jegorovic Selivanov, domiciliato nell’appartamento nr. 1, aveva fatto arrivare il fratello con la moglie e sei bambini. In aggiunta aveva disposto che in due stanze dell‘appartamento nr. 4 si installassero altre cinque persone di Šakino.
Ciò fece perdere definitivamente le staffe ai ”vecchi inquilini” e scatenò una vera e propria lotta di classe. Di fronte alla minaccia rappresentata dai culacchi, l’amministrazione della casa diede vita ad una Kommfrakcija, una frazione comunista, che agiva un po‘ come Švonder in ”Cuore di cane” di Bul‘gakov. Siccome gli inquilini degli appartamenti nr. 1 e 4 costituivano ormai la maggioranza, continuamente rafforzata dall’afflusso di nuovi contadini, i frazionisti confidavano non senza motivo nell‘intervento del potere sovietico.
Il vicino distretto della milizia operaia e contadina era tuttavia stufo delle continue denunce e lamentele. In una ”kommunal’ka” che si rispetti gli affittuari erano tenuti a sbrogliare le loro dispute nello spirito di buona convivenza socialista. Nel Marzo del 1933 la situazione tuttavia precipitò, allorché la frazione comunista avviò un’offensiva sul fronte letterario, pubblicando il primo numero di un foglio a muro. Accanto agli articoli che salutavano i successi dell’industrializzazione, risaltava anche un rapporto sull’insopportabile situazione nella casa. L’articolo era redatto in modo tale che entrambe le parti vi si potevano riconoscere senza fatica.
Selivanov strappò senza esitare il giornale a muro stampato con tanta premura. Volendo in un primo momento evitare lo scontro aperto, il comitato si limitò ad informare gli ”organi ufficiali”: ”pretendiamo un intervento della milizia contro Selivanov, il quale opera sempre piú spesso ai danni dei comunisti della casa”. Uno dei poliziotti, probabilmente sovraccarico di lamentele ed esposti, dovette avere la bella idea di girare la denuncia alla sezione locale dell’OGPU. In tal modo la lotta di classe nella casa 30/6 entrò nella fase piú calda.
Dopo aver studiato a fondo l’esposto, l’impiegato istruttore decise di agire in modo radicale. Già il 10 Aprile tutti i membri del ”partito contadino” negli appartamenti nr. 1 e 4 vennero tratti in arresto. Un’eccezione venne fatto per Pelageja Ivanovna Selivanova, dato che i suoi sei bambini non sarebbero potuti sopravvivere da soli in quell’ambiente ostile. Ognuno dei sette mandati di cattura era una chicca. Quello di I. J. Selivanov affermava: ”Attende la caduta del potere sovietico per intervento esterno.(...) L’amministratore di condominio, sostenuto dal suo gruppo, ha offerto rifugio in casa a transfughi culacchi, fornendoli di ogni sorta di documenti”. A. P. Sasonov viene arrestato perché ”perseguita i lavoratori minacciandoli con l’accetta” V. I. Vostrov ”cambia continuamente lavoro e campa d’usura”. Sua moglie ”falsifica carte alimentari”. La madre dei sei bambini ”vive comprando e rivendendo pane nelle campagne”.
Agli atti si trovano anche le deposizioni della Frazione Comunista. I testimoni piú attivi erano gli abitanti dell’appartamento nr. 4, di cui i ”culacchi” avevano occupato due stanze. Entrambe le parti cercarono di difendere la propria posizione.
Selivanov spiegò come in seguito alla collettivizzazione ”operai cittadini senza alcuna esperienza di agricoltura vengono spediti nelle campagne come dirigenti dei kolhoz. Le raccolte perciò sono cattive, le fattorie vanno in malora e i contadini fanno la fame. Si dovrebbe dar vita a una ”lega dei contadini”, operai e contadini dovrebbero seguire ognuno la propria vocazione, e allora i contadini sarebbero in grado di rimettere in carreggiata la loro economia e potrebbero vivere degnamente”.
La creazione di una ”lega dei contadini” accanto al partito comunista era stata discussa anche nei piani piú alti del potere. V. Ozinskij, un dirigente del partito, aveva proposto l’idea in una lettera del Maggio 1921 a Lenin. Nella discussione che si aprí le parti pro e contro si equilibravano, alla fine prevalsero tuttavia coloro che proponevano di prendere tempo, non ritenendo i tempi abbastanza maturi per un simile passo. Non si arrivò mai ad un’evoluzione della dittatura bolscevica in un sistema pluripartitico, ma i contadini coltivarono ancora a lungo quella speranza.
L‘instaurazione di una qualsivoglia rappresentanza di interessi diversi, in luogo del Partito Socialrevoluzionario ormai spinto nell’illegalità, avrebbe potuto condurre a un’evoluzione del paese in senso pluralistico, e la guerra civile permanente avrebbe potuto essere evitata. Ma la vita reale seguí un altro canovaccio, e questo si rifletteva non solo nei villaggi e nelle città, ma perfino nelle cucine in comune delle abitazioni moscovite. Nel documento dell’accusa al processo contro il ”gruppo di culacchi controrivoluzionari della casa in piazza Spartak” si poteva leggere che ”i loro membri sabotavano le attività della casa, comparivano alle riunioni di condominio deliberatamente in stato di ubriachezza, contrastavano le proposte della Frazione Comunista e strappavano il giornale a muro. Inoltre minacciavano quotidianamente di morte i comunisti residenti in casa.”
Il risultato dell’istruttoria era piú che scontato. La trojka straordinaria dell’OGPU emise la sentenza il 3 Maggio 1933. Tutti gli arrestati della casa 30/6 vennero condannati a pene detentive, confino oppure divieto di residenza a Mosca. Dopo un anno Selivanov venne rimesso in libertà, ma solo per breve tempo, nel 1937 le sue tracce si perdono nel Gulag.
La storia della casa si può interpretare da diverse prospettive. La vicenda della ”lotta di classe” al nr. 30/6 dimostra quel che accadde in Unione Sovietica dopo la ”Grande Svolta” avviata da Stalin. La risoluzione violenta dei conflitti sfociò inevitabilmente nella dittatura totalitaria.

traduzione di Antonello Piana





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