TOL’STOJ


Jochen Berg


 

Signor Conte, Signor Conte, dov’è il Vostro contadino?

Ilja Repin, un celebre pittore russo, dipinse nel 1887 il quadro TOL’STOJ ALL’ARATRO, che mostra lo scrittore al lavoro nei campi vestito da contadino.

 

Fughe
Tol’stoj volle sempre essere ”qualcun altro”. Le fughe sono state una costante di tutta la sua vita. Nel tentativo di eludere ogni genere di appartenenza, finiva sempre per riapprodare a sé. Il suo gesto letterario non è improntato alla ricerca, quanto alla cronaca fanaticamente minuziosa della propria condizione. La vita contadina non gli riuscí. Dopo che ritornava a casa e riponeva il travestimento da contadino, nel momento in cui si metteva a sedere al tavolo e cominciava a scrivere, era di nuovo il conte col pallino della scrittura.
Sia qui brevemente menzionata un’altra tendenza del suo carattere. La frase di Hegel: ”Il conosciuto non viene riconosciuto” gli suonava sospetta. Nei suoi diari annotò: ”Nei pensatori deboli Hegel, Kant, Spinoza, Schopenhauer, si entra in contatto con un uomo vuoto dal quale non si può ricevere nulla.”
Invalidando il pensiero di Hegel, Tol’stoj intendeva accelerarne il disfacimento, o in altri termini, arrivare piú vicino alla ”verità assoluta”.

Biografia
Lev‘ Nikolajevic conte Tol’stoj, discendente da un’antica dinastia di nobili possidenti e tra le figure piú enigmatiche della letteratura russa, nacque a Jasnaja Poljana presso Tula il 9 Settembre 1828, quartogenito del conte Nikolaj Il‘jic Tol’stoj, reduce dalla guerra del 1812, e di sua moglie Marija, nata Volkonskaja. Alcune contraddizioni del Tol’stoj maturo potrebbero essere ricondotte a tre influenze ereditarie: il nonno Il’ja, uno spendaccione di proporzioni tali da aver indebitato la tenuta; suo padre Nikolaj, colui che risanò virtuosamente le finanze familiari, e sua madre Marija, una donna straordinariamente colta, religiosa e d’animo generoso. Cosí conviveva nel giovane Tol’stoj un’inclinazione verso la grande borghesia insieme al disprezzo per lo spreco e i costumi esageratamente lussuosi della nobiltà possidente. Il suo rigoroso e autoritario precettore di francese Thomas gli trasmise infine l’importanza dell’amore per il prossimo e della non-violenza, insieme alla passione per Rousseau. Questa miscela dovette inevitabilmente produrre nel giovane Lev‘ contraddizioni quasi insanabili. Nel 1830 intanto era morta la madre, e sette anni piú tardi anche il padre venne meno in circostanze misteriose. La zia Pelageja Juškova si assunse l’onere dell’educazione degli orfani, i quali si strinsero insieme ancor di piú. Secondo le sue stesse dichiarazioni, Tol’stoj ebbe un' infanzia felice. Durante l’adolescenza cominciarono a delinearsi due caratteri che avrebbe conservato per il resto della vita: una spontanea vitalità e una tendenza all’introspezione che non aveva per oggetto solo sé stesso, ma la natura umana in generale. Da un lato il giovane indossava i panni del dandy per compensare le proprie carenze, dall'altro sprofondava in un orgoglioso isolamento che avrebbe dovuto proteggerlo dalle nefaste influenze esteriori. Identificandosi con Rousseau, la sua sensualità insorgente entrava in conflitto con l’esigenza morale di tenerla a freno.
Contratta una malattia venerea che gli procurò laceranti sensi di colpa, Tol’stoj risolse intimamente di promuovere la volontà a metro di giudizio per le sue azioni, la qual cosa non sempre gli riuscí. Durante gli anni da studente era di una tale vitalità, profondità di spirito e sensualità che il dominio di sé non doveva riuscirgli agevole (intorno a ciò teneva un diario). Per sottrarsi a questa - per lui - seccante situazione, interruppe gli studi universitari (che non amava) a Kazan‘ e avviò una nuova, piú produttiva esistenza a Jasnaja Poljana. In questo periodo il suo carattere doveva ancora essere instabile, fatuo e narcisista, cosicché il lavoro nella proprietà di famiglia si rivelò un'esperienza fallimentare. Tol’stoj finiva puntualmente per occuparsi di sé stesso, intento a svelare i propri peccati e a sfibrarsi nell’espiazione. La sua continuata produzione diaristica sfociò quasi naturalmente nell'attività letteraria. Nel 1852 ultimò la sua opera autobiografica ”Infanzia”, la prima tappa di un progetto ambizioso, un ciclo che trattasse il suo destino personale nell’arco di quattro stagioni della vita. Dopo che il suo piano per un innovativo sfruttamento delle risorse agricole si era rivelato una bolla di sapone, Tol’stoj nel 1854 si uní all’Armata del Don e venne assegnato al distaccamento crimeano. A quell’epoca risalgono il racconto ”Fanciullezza” e la novella ”Giovinezza”. ”Infanzia” si era rivelato nel frattempo un grande successo e il suo autore era diventato all'improvviso una celebrità. Coltivando la sua piú grande passione, l’autoossevazione, Tol'stoj cercava soprattutto l'indulgenza del pubblico per la sua iperestesia. Malgrado la sua sanguigna vitalità, sosteneva già posizioni morali paleocristiane quali l’amore per il prossimo e la non-violenza, e si scagliava particolarmente contro il vizio: per lo scrittore russo perfino il tabacco era considerato alla stregua dell’alcol e della morfina.
La capacità di disputare del libertario Tol’stoj è testimoniata da un incontro con Turgenev e Grigorovic, durante il quale, avvolto da un’aura di bohème, lasciò mano libera alla sua rissosità: l'intolleranza era soprattutto uno strumento di autodifesa, ma gli procurò la fama di "intrattabile anacoreta" - un giudizio evidentemente superficiale. La sua collera, anche a torto interpretata come isterismo, era una diretta reazione ai pregiudizi piú diffusi. La sua aspirazione alla pienezza morale lo gettò in una crisi interiore motivata dall'improvvisa celebrità. Pur cosciente delle proprie debolezze quali intolleranza, collericità e testardaggine, Tol'stoj cedette alla vanità del suo genio artistico. Deluso dai circoli letterari, decise di continuare a istruirsi da autodidatta. La sua fede nel progresso cominciò a vacillare e nel 1856, ormai licenziatosi dall'esercito, intraprese un viaggio all'estero (Svizzera, Francia, Germania e Inghilterra), durante il quale tra l'altro - come già Dostojevskij - cedette al vizio del gioco. A Londra incontrò Alexander Herzen, ma l'Occidente lo deluse e fece ritorno a Jasnaja Poljana, dove fondò una rivista pedagogica. Durante il suo soggiorno all'estero aveva cominciato a riflettere sul problema dell'educazione del popolo. L'analisi critica, al di là dell'autocritica, era però un altro dei suoi punti deboli. Tol'stoj scriveva senza soste, esercitava l'insegnamento scolastico e fungeva da arbitro tra i contadini e i possidenti. Gli strapazzi fisici lo costrinsero a sottoporsi nel maggio 1862 a un soggiorno di cura nella steppa presso Samara. Durante il viaggio passò per Mosca, dove il trentaquattrenne conobbe l'appena diciottene Sophie Andrejevna Behrs, figlia del medico protestante d'origine tedesca Andrej Behrs. Già nel Settembre dello stesso anno si celebrarono le nozze. La coppia ebbe dodici figli, malgrado soventi incomprensioni e reciproci supplizi. In un eccesso di schiettezza e autocastità morale, Tol'stoj fece leggere alla moglie i suoi diari giovanili.
Nel 1864 l'analitico e meditativo scrittore cominciò a lavorare all'imponente romanzo storico "Guerra e pace". I flussi di idee che accompagnano e dirigono le peripezie dei personaggi si cristallizzano in Tol’stoj solo nel momento della scrittura. A quest'epoca l'autore attraversava una fase di orgogliosa introversione e si dedicava al romanzo isolandosi ermeticamente dall'ambiente circostante. Riusciva ad associare ad ogni data la cronaca della guerra, ma tendeva a sminuire l’importanza di ogni evento - è difficile stabilire l'effettiva aderenza ai fatti. Il romanzo venne pubblicato nel 1869 ed ottenne un successo sorprendente. Una volta conclusa la fatica letteraria, Tol’stoj tornò a dedicarsi alla sua passione pedagogica, e cominciò a battersi per una sorta di paleocristianesimo con tale veemenza da venire scomunicato. Lo scrittore e predicatore si era scagliato contro la chiesa - soprattutto tramite manifesti e volantini -, e la chiesa reagí con la stessa virulenza. Nella sua spiritualità critica Tol'stoj condannava senza mezzi termini anche l'opera di Goethe, Beethoven e Shakespeare, colpevoli ai suoi occhi di sostenere il privilegio. Egli stesso si vedeva nel ruolo di egocentrico precettore dell'umanità, ed era convinto di essere in possesso della verità assoluta.
Nel 1876 lo scrittore - per cui l'amore non era altro che un istinto carnale - ultimò il suo secondo grande romanzo "Anna Karenina". Il detrattore del matrimonio aveva cosí scritto un epos patetico-drammatico che tematizzava il conflitto tra i sessi. La soluzione del conflitto non acquista significati religiosi, bensí umani nel senso tol'stojano del termine. Quando nel 1879 uscí la prima parte della sua confessione, l'autore era già preso da intense riflessioni intorno al tema della morte, che non erano di natura religiosa ma in prima istanza esclusivamente etica. Il suo comportamento in vita era la misura del suo timore della morte, e dato che si tormentava rivolgendosi accuse piuttosto semplici, quel timore crebbe fino a diventare autentico terrore. Tentò anche di percorrere i tortuosi sentieri dell'amore, che inevitabilmente riconducono al mistero della morte. Tali pensieri continuarono nell’intimo a tormentarlo anche dopo essere stati esteriormente rimossi dal successo internazionale di "Sonata a Kreutzer" e "Risurrezione".
Con l'inizio del ventesimo secolo divenne membro onorario dell'Accademia Russa delle Scienze e si ammalò gravemente. Nel frattempo erano sorti aspri conflitti tra i membri della sua famiglia, principalmente tra lui e la moglie. Qualunque tentativo di conciliazione, perfino la minaccia della moglie di togliersi la vita, non poteva nascondere il fallimento di un matrimonio. L'ottantaduenne Tol'stoj, idolo di una nazione e del mondo intero, accusato da una moglie isterica (che non era) di intrattenere una relazione omosessuale con Certkov! Il vecchio sospettoso ed eccitato si diede alla fuga verso la Bulgaria, ma dovette concludere il suo viaggio ad Astopovo per il sopraggiungere di una polmonite. Cadde in coma e morí il 7 Novembre 1910 senza vedere la moglie accorsa al suo capezzale.

Guerra e pace
Nel Marzo del 1861 Tol'stoj comunicò ad Alexander Herzen: "Quattro mesi fa mi è venuta l'idea per un romanzo il cui eroe sarà un reduce decabrista". La guerra considerata come esperienza elementare e la tendenza a scrivere opere in cui un nobile e un contadino agiscono sullo stesso piano sono idee genuine. Come motivo gli serví un ufficiale bennato prigioniero di una soldatesca.
Tol'stoj non considera la morte né il matrimonio come una soluzione. In una scena del romanzo Mosca va a fuoco, come andavano a fuoco d'estate molte città russe senza bisogno di piromani. Nella trasposizione hollywoodiana Napoleone si rivolge cosí ai suoi soldati, mentre cavalca per la città in fiamme alla loro testa: "Nessuno vuole spegnere l'incendio?" Non si può caratterizzare in modo migliore un condottiero sconfitto. Il romanzo diventò un successo mondiale.

(7.8.2003 - trasmesso in MDR Studiozeit il 6.9.2003 dalle 19.05 alle 19.30)

 

Traduzione di Antonello Piana







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