LO
SGUARDO DORATO DELL’ABISSO
Olga
Savary
Conosceva
il gusto della parola paura. Conosceva l’odore della parola
paura, il suono di quella parola non la turbava in nessun modo.
Aveva la vocazione per gli abissi e non lo sapeva.
Ancora non aveva capito con certezza se la possibilità più grande
stava nella primitività, nelle cose primitive o nella
raffinatezza. Perché fondamentale era il mistero, e il
mistero era in tutti e due.
Lei se ne stava nella macchia, l’erba le arrivava alle
caviglie, così come avrebbe potuto azzardarsi a sfiorarle
la parte alta delle cosce. Il mare lambiva il suo corpo con il
movimento sinuoso di un serpente. Non aveva mai visto uno sguardo
più sensuale, più diretto, più provocatore
e animale di quello. Pieno di desiderio di lei ma senza alcuna
tenerezza: sono tuo nemico, ti ucciderò di piacere e non
avrò pietà. Lo sguardo dorato dell’abisso,
lo sguardo color-miele-della-passione-puramente-animale-senza-nessuna-tenerezza,
urgente, nella macchia.
Nessun uomo l’aveva mai guardata così freddamente,
con quella freddezza di possesso. Subito quello sguardo creò un
legame quasi archetipico tra i due. Una complicità. Nessuno
l’aveva mai guardata così né aveva mai penetrato
in quel modo quel punto perduto della sua coscienza di essere,
improvvisamente e violentemente, anche un animale, con quel magma
che ruggisce nelle viscere come una bestia in calore.
Come avrebbe potuto passare dall’inconscio alla radura
della sua coscienza, dopo Gamiani?
Questo sguardo: la rappresentazione di un sogno? Presa in trappola;
i punti nevralgici della passione del suo corpo - i piedi per
primi (era quasi un’orientale), la nuca, la schiena, la
parte esterna delle cosce, l’interno delle cosce, la vulva
- furono presi d’assalto come una fortezza da quello sguardo.
Era un roveto ardente. Si sentiva anche lei un animale.
La sua coscienza si disperdeva, strana e febbrile come un’improvvisa
perdita della memoria. Non era mai stata femmina come allora,
riflessa in quello sguardo.
Belve ora, i muscoli di entrambi erano contratti, posseduti.
La loro sede? Un castello di acque. Solo incandescenza e furia
questa attrazione. Caprone, coltivo in te un giardino di crini
e di spaventi. Lo sguardo più sexy che avesse mai visto.
Lo sguardo dorato dell’abisso. Ed era di un caprone.
(Traduzione
di Julio Monteiro Martins insieme ai suoi studenti dell’Università di
Pisa: Roberta Chiavistelli, Eugenia Ciccarelli, Monica Lupetti,
Cristiano Rocchetta, Patrizia Scorziello e Katia Quaglierini.)
L’ORIGINALE
IN PORTOGHESE:
O
OLHAR DOURADO DO ABISMO
Olga
Savary
Conhecia
o gosto da palavra medo, conhecia o cheiro da palavra medo,
o som da palavra não tendo primazia sobre ela. Tinha
a vocação dos abismos e não sabia.
Ainda não entendera ao certo se a possibilidade maior estava no primitivo,
nas coisas primitivas, ou no requinte. Porque fundamental era o mistério,
e o mistério nos dois havia.
Ela estava na restinga, o capim chegava-lhe aos tornozelos como poderia atrevidamente
tocar-lhe o alto das coxas, o mar vinha na salsugem até seu corpo numa
espécie de andar como o coleante andar das serpentes. Nunca vira olhar
mais sensual, mais direto, mais provocador e animal do que esse olhar úmido
e duro a um só tempo, cheio de desejo dela, mas sem ternura alguma: sou
teu inimigo, te matarei de prazer e não terei piedade. O olhar dourado
do abismo, o olhar-cor-de-mel-da-paixão-puramente-animal-sem-a-menor-ternura,
urgente, na restinga.
Homem algum a tinha olhado assim antes, tão friamente, com essa frialdade
de posse. De imediato, esse olhar criou um elo quase arquetípico entre
os dois, uma cumplicidade. Ninguém jamais a tinha olhado assim e assim
penetrado esse ponto perdido de sua consciência de ser também, súbita
e violentamente, um animal, com esse magma a rugir nas entranhas como um animal
no cio.
Como teria ele entrado de seu inconsciente para a clareira de sua consciência?
Depois de Gamiane?
Este olhar: a figuração de um sonho? Apanhada na armadilha, os
pontos nevrálgicos da paixão em seu corpo – os pés
em primeiro lugar, quase oriental que era, a nuca, o longo do dorso, a parte
de fora das ancas, o interior das coxas, a vulva – foram tomados como uma
fortaleza de assalto por este olhar. Toda uma sarça ardente, sentia-se
também um animal.
Sua consciência se esvaía, estranha e febril como uma rápida
perda da memória. Nunca tivera sido tão fêmea como então,
refletida nesse olhar.
Feras agora, os músculos de ambos estavam retesados, possessos. Sua sede?
Um castelo de águas? Só abrasamento e fúria essa atração.
Bode, planto em ti um jardim de crinas e de espantos.
O olhar mais sexy que tinha visto. O olhar dourado do abismo. E era de um bode.
Olga
Savary è nata
a Belém do Pará, nell’Amazzonia brasiliana,
nel 1933. È considerata una delle grandi poetesse brasiliane
viventi, e alcuni suoi libri come Magma, Sumidouro, o Repertório
Selvagem (l’antologia che riunisce i 12 libri che aveva pubblicato
fino al 1998) hanno vinto praticamente tutti i principali premi
letterari brasiliani per la poesia, compreso il Premio Machado
de Assis per l’insieme dell’opera.
Come organizzatrice di antologie ha riunito le poesie a contenuto
erotico che compongono Carne Viva, la più completa antologia
nel genere, con più di 50 poeti brasiliani del XX secolo,
pubblicata negli anni ’80 dalla casa editrice Anima, di Rio
di Janeiro. In effetti, la tematica erotica intrisa di un misticismo
e di un particolare senso del sublime è il marchio della
poesia di Olga Savary, ma anche della sua narrativa, come nel caso
di questo suo racconto, O Olhar Dourado do Abismo, pubblicato nel
1997 nella raccolta che porta lo stesso titolo.
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