LA PICCOLA JINETERA
( – brano del romanzo Il Re dell’Avana – )

Pedro Juan Gutiérrez

(...) Una mattina Rey si incamminò verso il suo vecchio quartiere, San Lázaro. Chissà che ne era stato di Fredesbinda? Era molto che non passava da quelle parti. Tutto era come prima. Fredesbinda venne ad aprirgli la porta della terrazza. Con espressione angosciata.
“ Rey, pensavo che fossi morto! Te ne sei andato senza dire nemmeno ciao”.
Rey attraversò la terrazza fino alla stanza di Frede, e il pensiero che la sua infanzia era trascorsa proprio lì accanto non gli sfiorò nemmeno il cervello. Non guardò da quella parte. Aveva cancellato tutto. Nella stanza di Fredesbinda c’era sua figlia. La piccola jinetera tanto carina per cui si facevano le seghe lui e il suo fratello. Intatta, bellissima, ben vestita in mezzo al sudiciume e al perenne odore di cacca di pollo. Portava degli occhiali neri e ascoltava musica. Quando lui entrò non si girò a guardarlo.
“ Tatiana, saluta questo mio amico. È Reynaldito, quello che abitava qui accanto, ti ricordi?”.

La ragazza tese la mano a mezz’aria, aspettando che venisse stretta. Con un dolce sorriso. Rey le diede la mano.
“ Buongiorno”.
“ Tatiana, davvero non ti ricordi di lui? L’incidente, quel giorno... la polizia venne a prenderlo... non ti ricordi?”.
“ Sì, certo”.
Tatiana continuava a guardare da un’altra parte. Rey capì che doveva essere successo qualcosa. Rivolse a Fredesbinda una muta domanda, e lei, sempre a gesti, rispose che la ragazza non ci vedeva. Uscirono nuovamente sulla terrazza, per poter parlare senza che lei li udisse. Fredesbinda piangeva a calde lacrime.
“ Ahimé, Rey, madre santa, questo è un castigo di Dio!”.
“ Cosa le è successo?”.
“È tornata cieca. Con gli occhi vuoti”.
Fredesbinda era soffocata dai singhiozzi.
“ Calmati un po’, Frede. Come è stato?”.
“ Ma io gliela faccio pagare... voglio gettargli il malocchio... mi costasse la vita! Hanno rovinato mia figlia!”.
“ Frede, calmati, non riesco nemmeno a capire cos’è successo”.
“ Ahimé, Rey, madre santa!”.
Ancora lacrime, ancora singhiozzi e sospiri smorzati nella speranza di non farsi udire da Tatiana. Rey zitto. Forse era meglio andarsene. Se non voleva dirgli cos’era successo, forse era meglio che se ne andasse. Fece il gesto di avviarsi. Fredesbinda l’afferrò per un braccio.
“ Non andartene, Rey... Rey mio, lasciami sfogare un po’! Non so più che fare”.
Rey incrociò le braccia, aspettando. Dopo altre lacrime e altri singhiozzi Fredesbinda riuscì a controllarsi un po’.
“ Le hanno fatto firmare una carta e le hanno tolto gli occhi”.
“ Ha venduto i suoi occhi?”.
“ No. La carta diceva che lei li donava alla figlia di quell’uomo. La carta era scritta in un’altra lingua, e lei non sapeva cosa le stavano facendo firmare... ah, che disgraziato! E sembrava una persona così perbene, tanto fine ed educato!”.
“ E dov’è quella carta? Non sei andata alla polizia?”.
“ La carta ce l’ha lei, ma non si capisce niente. È in un’altra lingua”.
“ Però... vedo che è tranquilla”.
“ Quando è arrivata era quasi pazza. L’avevano caricata su un aereo per rimandarmela indietro. Ah, Rey, ma quello stronzo deve pagare... aveva un mucchio di soldi: perché l’ha fatto? Ha accecato la mia bambina. L’ha ingannata”.
“ Prenditi una pasticca, Frede, sei troppo agitata”.
“ Sono riuscita a farmi dare del Diazepam, ma lo do a lei, è quasi pazza. Io non dormo più, Rey. Da quando tutto questo è cominciato... lei usciva sempre con gli stranieri, di notte, e io le dicevo bambina mia, fai attenzione, ma lei non mi dava retta... ahimé, la gioventù, Dio mio...”.
Fredesbinda piangeva disperatamente. Se riusciva a tranquillizzarsi un minuto, dopo ricominciava peggio di prima. Senza parlare Rey andò da Tatiana. La guardò bene. Era uguale a prima. Bellissima. Se avesse avuto i soldi, e una casa, se la sarebbe presa lui, l’avrebbe addirittura sposata legalmente. Se gli fosse capitato fra le mani il tipo che l’aveva rovinata, gli avrebbe strappato gli occhi col coltello. Tornò da Fredesbinda.
“È così, Frede: la gente coi soldi è più stronza di noi”.
Fredesbinda fece di sì con la testa. Rey non si trattenne oltre. Andò alla porta, la lasciò aperta per non far rumore e scese lentamente le scale.
(...)



(Tratto dal romanzo Il re dell’Avana, Edizioni e/o, Roma, 2002, traduzione di Stefania Cherchi)


Pedro Juan Gutiérrez (Matanzas, Cuba, 1959) ha lavorato come strillone e venditore di gelati fin dall’età di undici anni. Poi è stato soldato (zappatore) per quasi cinque anni. Istruttore di nuoto e di kayak. Raccoglitore di canna da zucchero e bracciante dal 1966 al 1970. Tecnico delle costruzioni. Professore di disegno. Assistente alla regia e autore di documentari. Giornalista e speaker radio-televisivo. Negoziante di libri e riviste usate. Giornalista in agenzie stampa e riviste. Professore universitario. Scultore e poeta visual-sperimentale. Attore e animatore in radio e televisioni. Viaggiatore instancabile. Poeta e narratore. È laureato in giornalismo all’Università dell’Avana. Tra i suoi libri, oltre a Trilogia sporca dell’Avana, Il re dell’Avana e Animal tropical ricordiamo le raccolte di poesia La realidad rugiendo e Espléndidos peces plateados, Vivir en el espacio e il racconto Un rincón en el paraíso.


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