PER GUIDA LA LUNA
( – un brano
della Prefazione della raccolta di poesie di Mina Loy e quattro delle sue poesie – )
Antonella
Francini
Nata
a Londra il 27 dicembre 1882 come Mina Gertrude Lowy, vi rimase
lo stretto necessario. Insofferente della bigotteria della
madre, dell’ipocondria del padre e dei loro continui
conflitti sullo sfondo di un’ibrida identità sociale
riuscì, nel 1899, a strappare ai genitori il consenso
per andare a studiare arte a Monaco. Si lasciava alle spalle
un’infanzia e un’adolescenza problematiche che
avrebbe in seguito tentato e ritentato di esorcizzare negli
scritti autobiografici. Nel poemetto del 1923-25 Anglo-Mongrels
and the Rose, il padre Sigmund è “Exodus”,
l’ebreo errante, il sarto pagato della City che parla
correttamente il “business English”, benedetto
dal “Dio dei Gentili” come dal Dio d’Israele
nei suoi sempre più prosperi affari. La madre Julia è l’ “English
Rose”, la rosa fragrante, l’agognato lasciapassare
del marito nell’impero britannico. Mina è Ova,
la “composita / angli-israelita”: in lei “Gesù di
Nazaret / diventa una cosa sola / con Giuda Iscariota”.
In questo sarcastico ritratto di famiglia ricade su di lei,
la maggiore di tre sorelle, il peso di un matrimonio mal assortito,
lo stigma di “anglo-mongrel” appunto, ovvero di
bastarda inglese.
A Monaco Mina Loy trovò un avviamento alla vita più che
un’educazione all’arte. Lontana dalla famiglia, mal
sorvegliata dalla coppia di chaperon che il padre le aveva messo
accanto, s’immerse nel mondo artistico e cosmopolita della
città, eccentrica fra eccentrici, una pipa di terracotta
sempre fra le labbra e abbigliamenti stravaganti. Per tutti era
Dusie, nome composto dai pronomi tedeschi Du e Sie e perfetta
sintesi della sua nuova identità: Mina era tu e lei, il
passato e il presente, un doppio femminile e “castamente
emancipata”, come si legge in una sua prosa.
A Monaco seguì Parigi, dopo un breve e deludente ritorno
alla casa dei genitori sempre più lontani da lei che,
ormai, Mina si iscrisse ad una delle accademie da poco aperte
a classi miste e si rituffò nella vie de bohème degli artisti internazionali che popolavano il Quartiere Latino
. La sua bellezza e il suo talento attraevano l’attenzione
dei compagni di studio, fra cui era anche Stephem Haweis, un
poseur di buona stirpe britannica, pittore e fotografo arrivista
e mediocre che la Loy avrebbe sposato a capodanno nel 1903, incinta
della sua prima figlia. Il matrimonio, abilmente manovrato da
Stephen che ambiva ad assicurarsi la rendita di Mina, era il
risultato di una serie di ricatti cui la ragazza aveva dovuto
cedere per salvare il suo onore abilmente compromesso dall’uomo
ed affrancarsi dalla famiglia. “Non eravamo interessati
l’uno all’altra”, ricorda la Loy in un’intervista
del 1965, essendo il matrimonio con quel “piccolo nano,
un nano dai capelli neri” un accordo di convenienza reciproca.
Parigi segnò anche il suo debutto come artista al Salon
d’Automme coi suoi originali acquarelli d’eteree
figure androgine che le valsero l’ingresso nella prestigiosa
istituzione a soli 23 anni. Intanto si era ufficialmente trasformata
in Mina Loy perché così firmava i suoi quadri,
avendo rimosso dal cognome originale quella doppia lettera, la
w, forse per dichiarare la provvisoria conquista di un’integrità psicologica
e di un’autonomia a lungo desiderate, forse per costruirsi
da capo una nuova identità.
L’improvvisa morte della figlia Oda di appena un anno interruppe
la sua ascesa artistica ed approfondì le incomprensioni
matrimoniali: Mina e Stephen vivevano ormai separati, ognuno
ricercando in altre relazioni una compensazione al loro mancato
rapporto. Mina, che il dolore aveva portato verso la nevrosi,
si legò al medico che le stette vicino in quel momento
e, nell’autunno del 1906, scoprì di essere di nuovo
incinta, questa volta dell’amante. Non bastò la
generosa offerta economica per ottenere il divorzio dal marito.
Stephen aveva bisogno della sua rendita e, ancora una volta,
riuscì a manipolare la vita della moglie a suo vantaggio:
si sarebbero trasferiti in Italia, a Firenze, per ricostruirsi
là un decoro borghese. Lui avrebbe riconosciuto come una
la figlia Joella che stava per nascere, lei avrebbe evitato lo
scandalo e il rischio di perdere il sostegno paterno. Mina vide
così sfumare una carriera brillante per assecondare le
ambizioni di Stephen che riteneva Firenze l’ambiente in
cui il suo talento, poco apprezzato a Parigi, avrebbe certamente
trovato estimatori.
(...)
Da:
POESIE PER JOANNES (1915-17)
I
Seme
di Fantasie
che
ostruisce l’apprezzabile
Cupido
Porco il suo roseo grugno
grufola
nell’erotica immondizia
“c’era
una volta”
svelle
un’erbaccia dalla punta bianco-stellata
fra
giovanili ardori sparsi nella mucosa
vorrei un occhio
in una luce di Bengala
l’eternità in
un razzo
costellazioni
in un oceano
dove
fiumi scorrono non più freschi
di
un filo di saliva
questi sono
luoghi sospetti
devo
vivere nella mia lanterna
potando
il guizzo subliminale
verginale ai
mantici
dell’Esperienza
vetro colorato
II
Il
sacco di pelle
dove
un’impudica dualità
chiuse
tutto
il compimento dei miei infruttuosi impulsi
una
cosa in forma d’uomo
per
l’indifferente volgarità di semplici osservanti
più un
meccanismo d’orologeria
che
si scarica nel tempo
con
cui non sono al passo
la
punta delle mie dita si sono intorpidite a tormentare i tuoi
capelli
uno
zerbino di Dio
sulla
soglia della tua mente
III
Avremmo
potuto accoppiarci
nel
momentaneo monopolio di un letto
strapparci
la carne l’una all’altro
al
tavolo della comunione profana
dove
si versa vino su labbra promiscue
avremmo
potuto dar vita a una farfalla
con
le notizie del giorno
stampate a sangue sulle ali
Da:
TRE MOMENTI A PARIGI (1914)
1. L’una di notte
Benché tu
non mi avessi mai posseduta
ti
ero appartenuta fin dall’inizio
del tempo
e assonnata sedetti sulla tua
sedia accanto a te
piegata sulla tua spalla
e
il tuo braccio incurante dietro la mia schiena gesticolava
mentre
la tua indiscutibile voce maschia tuonava
nel mio cervello e nel mio corpo
sostenendo la dinamica decomposizione
di cui non capivo nulla
assonnata
e
la voce solo un po’ meno maschia
di tuo fratello pugile dell’intelletto
rimbombò mi parve così insonnolita
in un intervallo di mille miglia
un interim di mille anni
ma
tu che fai più rumore
di qualsiasi uomo al mondo quando
ti
schiarisci la gola
assordante mi
svegliasti
e io ripresi il filo del discorso
assumendo subito la mia personale
attitudine mentale
e smisi di essere donna
bella
mezz’ora dell’essere nient’altro
che donna
la donna animale
che
non capisce nulla dell’uomo
eccetto
l’autorità e
la sicurezza impartita dal calore fisico
indifferente alla ginnastica
cerebrale
o considerandola un gioco di
bambini viziati
o
il tuono di dèi alieni
ma tu mi svegliasti
comunque chi sono
io per giudicare le tue teorie sulla velocità plastica
“Andiamo è stanca e
vuole andare a letto”.
L’UCCELLO
DORATO DI BRANCUSI (1922)
Il
giocattolo
mutato
in estetico archetipo
Come se un
paziente Dio contadino
avesse
molato e rimolato
l’Alpha e l’Omega
della
Forma
in
un blocco di metallo
Un
nudo orientamento
senza ali senza
piume
- il
ritmo supremo
ha
mozzato le estremità
di cresta e artiglio
dal
volatile nucleo
L’atto
assoluto
dell’arte
conforme
alla parca scultura
– spoglia
come la fronte di Osiris –
questo
seno di rivelazione
una
curva incandescente
lambita
da fiamme cromatiche
in
labirinti di riflessioni
Questo
gong
di
lucida iperestesia
risuona acuto nell’ottone
se la luce aggressiva
accende
il
suo senso
L’immacolata
concezione
dell’impercettibile
uccello
si
compie
in
sontuosa reticenza…
DER
BLINDE JUNGE (1922 circa)
Bellona
femmina
figliò
la sua prole senz’occhi
Kriegsopfer
sui marciapiedi di Vienna
precipitato
scintillante
il giorno spettrale
avvolge
questo non vedente ostacolo
questa
lenta faccia cieca
che spinge
la sua non entità verginale
contro la luce
Puro
eremita inutile
di centripeta sensibilità
Sul
carnoso orologio dell'ego
il vibrante tendine-indice non si muove
da
quando il nero lampo sconsacrò
l'altare retinale
Vuoto
e spento
questo pianeta dell'anima
avanza faticosamente dall’insaziabile gola
in statico volo obliquo
Il
muso lanuginoso di un giovane
che annusa il sole
affondato in ammutolito istinto
Ascoltate!
illuminati della terra colorata
Come questa “cosa” senza espressione
soffia dannazione e il turbamento delle tenebre
su
un’armonica
GLI
ORIGINALI IN INGLESE:
Da:
SONGS TO JOANNES / POESIE PER JOANNES (1915-17)
I
Spawn of Fantasies
Silting
the appraisable
Pig
Cupid his rosy snout
Rooting
erotic garbage
“Once
upon a time”
Pulls
a weed white star-topped
Among
wild oats sown in mucous-membrane
I
would an eye in a Bengal light
Eternity
in a sky rocket
Constellations
in an ocean
Whose
rivers run no fresher
Than
a trickle of saliva
These are
suspect places
I
must live in my lantern
Trimming
subliminal flicker
Virginal to
the bellows
Of
experience
Colored glass
II
The
skin-sack
In
which a wanton duality
Packed
All
the completion of my infructuous impulses
Something
the shape of a man
To
the casual vulgarity of the merely observant
More
of a clock-work mechanism
Running
down against time
To
which I am not paced
My
finger-tips are numb from fretting your hair
A
God’s door-mat
On
the threshold of your mind
III
We might have coupled
In
the bed-ridden monopoly of a moment
Ot
broken flesh with one another
At
the profane communion table
Where
wine is spill’d on promiscuous lips
We
might have given birth to a butterfly
With
the daily news
Printed
in blood on its wings
Da:
THREE MOMENTS IN PARIS / TRE MOMENTI A PARIGI (1914)
2. One O’Clock at Night / L’una di notte
Though you had never possessed me
I had belonged to you since the beginning of time
And sleepily I set on your chair beside you
Leaning against your shoulder
And your careless arm across my back gesticulated
As your indisputable male voice roared
Through my brain and my body
Arguing dynamic decomposition
Of which I was understanding nothing
Sleepily
And the only less male voice of your brother pugilist
of the intellect
Boomed as it seemed to me so sleepy
Across an interval of a thousand miles
An interim of a thousand years
But you who make more noise than any man in the world
when you clear your throat
Deafening woke me
And I caught the thread of the argument
Immediately assuming my personal mental attitude
And ceased to be a woman
Beatiful half-hour of being a mere woman
The animal woman
Understanding nothing of man
But mastery and the security of imparted physical
heat
Indifferent to cerebral gymnastics
Or regarding them as the self-indulgent play of children
Or the thunder of alien gods
But you woke me up
Anyhow who am I that I should criticize your theories
of plastic velocity
“Let us go home she is tired and wants to
go to bed.” BRANCUSI’S
GOLDEN BIRD / L’UCCELLO DORATO DI BRANCUSI (1922)
The toy
become the aesthetic archetype
As if
some patient peasant God
had rubbed and rubbed
the Alpha and Omega
of Form
into a lump of metal
A naked orientation
unwinged unplumed
- the ultimate rhythm
has lopped the extremities
of crest
and claw
from
the nucleus
of flight
The absolute
act
of art
conformed
to continent
sculpture
-
bare as the brow of Osiris –
this breast
of revelation
an incandescent
curve
licked by
chromatic flames
in labyrinths
of reflections
This gong
of polished
hyperaesthesia
shrills
with brass
as the aggressive
light
strikes
its significance
The immaculate
conception
of the inaudible
bird
occurs
in
gorgeous reticence . . .
DER
BLINDE JUNGE The
dam Bellona
littered
her eyeless offspring
Kreigsopfer
upon the pavements of Vienna
Sparkling
precipitate
the spectral day
involves
the visionless obstacle
this
slow blind face
pushing
its virginal nonentity
against the light
Pure
purposeless eremite
of centripetal sentience
Upon
the carnose horologe of the ego
the vibrant tendon index moves not
since
the black lightning desecrated
the retinal altar
Void
and extint
this planet of the soul
strains from the craving throat
in static flight upslanting
A
downy youth’s snout
nozzling the sun
drowned in dumbfounded instinct
Listen!
illuminati of the coulored earth
how this expressionless “thing”
blows out damnation and concussive dark
Upon
a mouth-organ
Queste
poesie sono tratte dall’antologia dell’opera in
versi di Mina Loy, Per guida la luna. Poesie ed elegie
d’amore,
a cura di Antonella Francini e in uscita presso la casa editrice
Le Lettere, di Firenze. Cosmopolita e poliglotta, bella ed
intelligente, Mina Loy (1882-1966) fu l’autrice di scandalosi
versi erotici, graffianti satire e struggenti elegie, una pittrice
fantasiosa e un designer ante litteram. Da grande protagonista
attraversò tutte le avanguardie del primo Novecento,
le precorse, le inseguì, le esportò da una capitale
all’altra del modernismo europeo e americano, costruendosi
nell’arco di una decina di anni, all’incirca fra
1915 e il 1925, la reputazione di donna moderna per eccellenza.
Il suo nome figura negli scritti di alcuni noti protagonisti
di quel periodo che l’amarono e la stimarono, da William
Carlos Williams a Djuna Barnes, a Ezra Pound e Gertrude Stein.
Il suo volto fu ritratto da Man Ray, le sue composizioni artistiche
lodate da Marcel Duchamp, amico per oltre quarant’ anni.
Per lei posarono Joyce, Freud, Brancusi, Jules Pascin e, a
Firenze, dove la Loy visse dal 1907 al 1916, Marinetti e Papini,
i quali divennero oggetto delle sue satire. La sua poesia compone
un originale ed appassionato ritratto dell’artista moderno
e traccia l’itinerario di un viaggio intimo lungo le
rotte dell’immaginazione e dell’inconscio e all’insegna
del pianeta femminile per eccellenza, la luna, l’immagine
che domina la sua scrittura. In apertura presentiamo le prime
strofe di “Songs to Joannes”, il capolavoro della
Loy, da alcuni considerato un punto di riferimento della poesia
modernista.
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