ANNI INTERESSANTI
– l’autobiografia
di uno storico –
Eric Hobsbawm
L’organizzazione
a cui aderii ha solo un posto molto secondario nella storia
del comunismo tedesco o del comunismo in generale, al contrario
della sua ispiratrice Olga Benario. Questa giovane dinamica,
figlia di una ricca famiglia borghese di Monaco, si era convertita
alla rivoluzione dopo la breve esperienza della repubblica
sovietica di Monaco del 1919, a cui aveva partecipato anche
un giovane insegnante, Otto Braun, con il quale ebbe per un
certo periodo una relazione. Nel 1928, a capo di un gruppo
di giovani comunisti, aveva fatto irruzione nell’aula
del tribunale di Berlino in cui Otto Braun era processato per
alto tradimento e lo aveva liberato. Entrambi erano fuggiti
e, ormai entrati in clandestinità, avevano lavorato
nei servizi operativi del Comintern e dell’Armata Rossa.
A Mosca, Olga Benario sarebbe diventata consigliera di Luis
Carlos Prestes, un ufficiale brasiliano che aveva comandato
per alcuni anni un gruppo di soldati ribelli in una famosa
lunga marcia in mezzo alle foreste del suo paese e che adesso
si accingeva a prendere la guida del partito comunista brasiliano.
Olga lo sposò, lo aiutò a preparare la disastrosa
insurrezione del 1935 a cui partecipò anche lei, fu
catturata ed estradata dal governo brasiliano nella Germania
di Hitler. Nel 1942 morì nel campo di concentramento
di Ravensbrück. Nel frattempo Otto Braun aveva scelto
l’Est invece dell’Ovest per servire la rivoluzione
mondiale e fu l’unico europeo a partecipare (benché provasse
scarsissimo entusiasmo per Mao) alla Lunga Marcia dell’Armata
Rossa cinese. Ritiratosi a Berlino est, pubblicò le
sue memorie negli anni Ottanta. Quando aderii alla SSB per
servire la rivoluzione mondiale, non conoscevo i legami storici
che connettevano l’organizzazione ad alcune delle più drammatiche
lotte rivoluzionarie. In ogni caso non dubitavo che chi diventava
comunista nella Berlino del 1932 dovesse affrontare un futuro
di pericoli, persecuzioni e insurrezioni.
Un aspetto meno drammatico della dedizione della Benario alla
causa della rivoluzione mondiale era la stessa SSB. Sembra che
questa organizzazione abbia visto la luce a Neukölln, uno
dei quartieri più rossi della classe operaia berlinese.
Qui gli studenti di organizzazioni comuniste e socialdemocratiche
frequentavano le cosiddette Aufbauschulen, scuole finanziate
dal governo prussiano nelle quali gruppi selezionati di ragazzi
di estrazione operaia compivano tutto il ciclo di istruzione
secondaria fino a ottenere l’Abitur. Arrivata
nel 1926 a Neukölln nelle vesti di una giovane e dinamica
agitatrice, la Benario spinse i giovani comunisti a fondare
una “sezione
comunista della scuola secondaria” (Kopefra) nelle Aufbauschulen,
analogamente alle già esistenti “sezioni comuniste
studentesche” (Kommunist Student Fraktion o Kostufra).
Poiché queste scuole erano frequentate da studenti di
entrambi i partiti operai, si decise di creare un’associazione
più ampia che raccogliesse sia gli studenti socialdemocratici
sia quelli comunisti, la SSB. Inevitabilmente, quando i socialdemocratici
divennero “socialfascisti” agli occhi dell’Internazionale
comunista, di questo spirito unitario non rimase molto. La SSB
era perciò diventata un’organizzazione dipendente
dal partito comunista. Nel 1928 si estese anche al di fuori delle
zone rosse di Berlino, con gruppi nei quartieri centrali e occidentali – cioè in
scuole del ceto medio, come la mia – e persino in altre
parti della Germania. Pubblicava, come ho detto, anche un proprio
organo, Der Schulkampf.
Quando vi entrai, nell’autunno del 1932, la SSB era ormai
ridotta a mal partito, in gran parte – sembra – perché i
tagli alle finanze durante la crisi economica avevano reso la
vita sempre più difficile alle Aufbauschulen, che erano
tuttora il suo principale sostegno. Nella seconda metà del
1932 parecchi gruppi cessarono di esistere o smisero di riunirsi
regolarmente. Non era più possibile tenere in piedi un’azione
coordinata. Anche nelle roccaforti come la Karl-Marx-Schule di
Neukölln, alla fine del 1932 l’atmosfera era depressa
e rassegnata. Sembra che lo Schulkampf abbia cessato le pubblicazioni
dopo il maggio 1932, ma penso che questo valesse solo per il
giornale stampato in tipografia, perché ne conservo ancora
una copia con data posteriore al maggio 1932, realizzata da compagni
chiaramente non molto abili con il ciclostile. Tuttavia, la mia
piccola cellula berlinese non mostrava segni di cedimento.
In un primo tempo ci riunivamo nell’appartamento dei genitori
di uno dei nostri membri, poi, con una certa regolarità,
nel retro di un’osteria comunista che si trovava nei pressi
di Halensee. Se scrivessimo la storia dei movimenti operai di
base tedeschi o francesi – nessuno dei quali si distingueva
per la propria temperanza – molte pagine andrebbero riservate
al ruolo svolto dalle osterie, nelle cui sale i compagni si incontravano
a bere un bicchiere di vino o (come a Berlino) una birra, mentre
riunioni ben più serie si tenevano nelle stanze sul retro.
Certo, si poteva ordinare da bere al bancone e poi portarlo nel
retro, ma questa pratica veniva scoraggiata. Come ogni organizzazione
che si rispetti avevamo un Orglei (un capo organizzativo), un
ragazzo che si chiamava Wofheim -–di nome Walter, se ricordo
bene – e un Polei (capo politico o commissario), un certo
Bohrer, che a quanto ricordo era piuttosto paffuto. Le organizzazioni
comuniste tedesche e russe preferivano le abbreviazioni sillabiche
alle iniziali (come in Komintern, Kolkhoz e Gulag) e l’uso
dei cognomi dava alle riunioni una certa ufficialità.
L’unico altro membro della cellula che mi sia rimasto impresso
era un russo bello ed elegante chiamato Gennadi “Goda” Bubrik,
che veniva alle riunioni con la tipica camicia russa a collo
tondo e il cui padre lavorava per una delle agenzie russe a Berlino.
Si discuteva, credo, della situazione nelle varie scuole e delle
reclute potenziali o “contatti”, ma alla fine del
1932 la politica nazionale era diventata molto più incalzante
dei problemi che ci poteva creare, per esempio, un insegnante
reazionario della prima inferiore del Bismarck-Gymnasium. Perciò era
indubbiamente la situazione politica a dominare la nostra agenda,
con Bohrer che indicava la “linea” da seguire.
Che cosa pensavamo? Oggi tutti convengono che negli anni dell’ascesa
di Hitler al potere la linea di condotta del partito comunista
tedesco, perfettamente contigua a quella del Comintern, fu di
un’idiozia suicida. Si basava sul presupposto che, dopo
la fine della breve fase di stabilità capitalistica a
metà degli anni Venti, si stesse preparando una nuova
serie di lotte e rivoluzioni di classe e che il principale ostacolo
alla necessaria radicalizzazione degli operai sotto una leadership
comunista era il dominio esercitato dai socialdemocratici moderati
sulla maggior parte dei movimenti operai. Non che fossero presupposti
assurdi in se stessi; ma pensare, soprattutto dopo il 1930, che
la socialdemocrazia fosse un pericolo maggiore dell’ascesa
di Hitler – anzi, che si potesse descriverla come “socialfascismo” – era
al limite della follia politica. (Quanto fosse assurda quella
linea politica è indicato dall’esempio del leader
comunista italiano Palmiro Togliatti, che nel 1933 dovette fare “autocritica” per
aver osservato che, almeno nell’Italia di Mussolini, non
era possibile sostenere che la socialdemocrazia rappresentasse “il
pericolo principale”.) Tutto ciò andava certamente
contro ogni istinto, contro il buon senso e contro la tradizione
unitaria degli operai (o degli studenti) sia socialisti che comunisti,
che sapevano benissimo di avere molte più cose in comune
tra loro che con i nazisti. Inoltre, quando giunse a Berlino,
era palese che il principale problema politico della Germania
fosse quello di come fermare l’ascesa di Hitler al potere.
Persino la linea ultrasettaria del partito fece una concessione,
per quanto vacua, alla realtà. Sui nostri baveri non portavamo
la falce e il martello, ma il distintivo “antifa”,
un richiamo a un’azione comune contro il fascismo, anche
se ovviamente solo a fianco degli operai e non dei loro capi
corrotti dal potere e pronti a tradire la lotta di classe. I
socialisti e i comunisti sapevano, foss’anche solo in base
all’esempio italiano, che la loro distruzione era l’obiettivo
principale di un regime fascista. I conservatori, o anche gli
elementi di centro, avrebbero potuto pensare a un ingresso di
Hitler in un governo di coalizione perché speravano, sottovalutandolo,
di poterlo controllare. Socialisti e comunisti sapevano bene
che il compromesso e la coesistenza con il nazionalsocialismo
erano impossibili, sia per i nazisti sia per loro stessi. Il
nostro modo di minimizzare il pericolo nazista – come tutti
gli altri, lo sottovalutavamo grossolanamente – era diverso.
Pensavamo che, se fossero andati al potere, sarebbero stati subito
rovesciati da una classe operaia radicalizzata sotto l’egida
del partito comunista tedesco, che contava già tre o quattrocentomila
iscritti. Dal 1928 in avanti, i voti comunisti non erano forse
aumentati quasi con la stessa rapidità di quelli nazisti?
Anzi, negli ultimi mesi del 1932 non avevano continuato ad aumentare
nettamente, mentre quelli nazisti diminuivano? ma non avevamo
dubbi che prima di allora le squadracce di un regime fascista
sarebbero state lanciate contro di noi. E così fu: i primi
campi di concentramento del Terzo Reich furono progettati principalmente
per rinchiudervi i comunisti. (...)
Dopo
il sesso, l’attività che permette di combinare
al massimo grado esperienze corporee con intense emozioni è la
partecipazione a una manifestazione di massa in tempi di grande
esaltazione pubblica. Ma al contrario del sesso, che è essenzialmente
individuale, una manifestazione di massa è un’esperienza
per sua natura collettiva e al contrario dell’orgasmo – almeno
per gli uomini – la si può prolungare per ore.
D’altro canto, al pari del sesso, implica un’azione
fisica – marciare, urlare slogan, cantare – attraverso
la quale si esprime la fusione dell’individuo nella massa,
e questa è l’essenza dell’esperienza collettiva.
Fu un evento indimenticabile, anche se non riesco a ricordare
i particolari della manifestazione. Ricordo solo interminabili
ore di marcia, o meglio un susseguirsi di movimenti e soste,
nel gelo pungente – gli inverni berlinesi sono duri –,
tra le file di edifici in penombra (e di poliziotti?) lungo
le buie vie invernali. Non ricordo slogan e bandiere rosse,
ma se ce n’erano – e devono essercene stati – si
perdevano nella massa grigia dei manifestanti in marcia. Ricordo
che cantavamo e tra un canto e l’altro calavano cupi
silenzi. Cantavamo (ho ancora i foglietti sgualciti con i testi
delle canzoni, e l’indicazione delle preferite) l’Internazionale,
la canzone della guerra dei contadini Des Geyers schwarzer
Haufen [La Banda Nera di Geyer], il sentimentale e funebre
ritornello di Der kleine Trompeter [Il piccolo trombettiere]
che – mi è stato detto – il leader della
Repubblica Democratica Tedesca, Erich Honecker, ha voluto fosse
eseguito al suo funerale; cantavamo anche Dem Morgenrot
entgegen [Verso l’aurora], la canzone dell’aviazione militare
sovietica, Der rote Wedding [Il rosso Wedding] di Hanns Eiller,
e il lento, solenne, ieratico Brüder zur Sonne zur Freiheit [Fratelli, verso il sole, verso la libertà]. Eravamo
uniti da un’idea comune. Tornai a casa a Halensee in
una specie di trance. Quando due anni più tardi, nell’isolamento
britannico, riflettei sulle basi del mio comunismo, vidi in
questa sensazione di “estasi di massa” (Massenekstase,
come avevo scritto nel mio diario) uno dei suoi cinque componenti;
gli altri erano la compassione per gli sfruttati, il richiamo
estetico che esercitava su di me un sistema intellettuale perfetto
e onnicomprensivo (il “materialismo dialettico”),
una piccola dose di millenarismo alla Blake e una buona misura
di anti-filisteismo intellettuale. ma nel gennaio 1933 non
avevo ancora analizzato le mie convinzioni. (...)
(Brani
tratti dall’autobiografia Anni interessanti, Rizzoli,
Milano, 2003, edizione italiana a cura di Brunello Lotti, traduzione
di Daniele Didero e Sergio Mancini)
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