SE
FOSSE VERA LA NOTTE
( – Prefazione
della silloge Se fosse vera la notte di Heleno Oliveira e una
delle sue poesie – )
Prefazione:
IL
MIRAGGIO DI PALMARES
Non
molto lontano da Recife, la città natale di Heleno de
Oliveira, circa due secoli fa fu costruito il Quilombo de Palmares,
una vera città-fortezza recintata da una palizzata in
mezzo alla giungla, eretta da schiavi africani fuggiti dalle
fazendas di canna da zucchero. Dopo sei terribili scontri in
cui l’esercito dell’Impero Brasiliano fu sconfitto
dai ribelli, alla fine di una settima disperata battaglia,
il gigante barbuto cacciatore di negri Domingos Jorge Velho
riuscì a prendere la città, e prima che cadessero
nelle sue mani e fossero riconsegnati agli antichi proprietari
o rivenduti alle miniere d’oro di Minas Gerais, i guerrieri
di Palmares – come più tardi i Talibani a Kandahar – decisero
di suicidarsi in blocco.
Il loro generale era un giovanissimo principe, Zumbi de Palmares,
che era stato catturato da una tribù nemica e venduto
come un qualsiasi schiavo ai negrieri portoghesi. L’aveva
voluto lui l’anonimato, e l'aveva imposto ai suoi compagni
di sventura, fino al momento della rivelazione, già nel
Nuovo Mondo. Dopo l'evasione dai suoi signori, Zumbi era diventato
la forza di agglutinazione del colossale quilombo, amalgamando
in quella mitica città uomini e donne delle più svariate
etnie, culture, lingue e religioni.
Il giorno in cui Domingos sconfisse Palmares, Zumbi aveva fatto
riunire i sopravvissuti ai piedi di un altissimo pendio della
zona da mata di Alagoas, e, salito da solo in cima alla montagna,
nudo e nobile, aveva poi aperto le braccia e si era gettato dall'alto,
volando come un uccello magico, un Icaro dalle ali disciolte
dal bruciore di una Storia sconosciuta e vergine. L’immagine
di Zumbi che vola verso la morte è diventata, duecento
anni più tardi, una delle icone fondatrici della moderna
civiltà degli afro-brasiliani, della quale il poeta cristiano
di lingua italiana Heleno di Oliveira è una sorprendente,
straordinaria fioritura.
“
Il mio popolo di ex-schiavi non veste da Re / nell’oceano
sono sepolti i suoi scettri”, scrive nel suo libro postumo,
Ballerino del caos. Dal Pernambuco, ex-colonia olandese, poi “Venezia
dei tropici”, come ricorda lui stesso in una strofa, Heleno è partito
verso il mondo del Nord e del Passato. Ha attraversato nuovamente
il grande mare, ha trasformato in poesia la Lisbona di Domingos,
e poi l’Egitto, Venezia – per lui una Recife sull’Adriatico –,
l’immacolata Évora, Siviglia e la sua amatissima
Firenze: “Firenze è un mattino di dicembre / dove
arrivai urlando dal mio Ade”.
E poi, come tutte le fioriture, anche le più straordinarie, è improvvisamente
appassito, ed è morto, durante un breve soggiorno nel
Portogallo, in un emblematico, forse poetico, ritorno definitivo
alla culla dei vincitori.
“
Provengo dalla mescolanza / sarò ricevuto?”, ci
domanda Heleno. Caro Heleno, tu, figlio del coito impossibile
tra Dio e il Diavolo, viluppo di tanta spicciola umanità,
irrimediabilmente brasiliano, tu, incrocio spurio di Domingos
e di Zumbi, non sarai mai ricevuto. Lo spiraglio di luce si sta
richiudendo e viene sbarrata la grande porta. Ma la ragione di
fondo è un’altra, e devo proprio dirtelo: nessuno è ricevuto
da nessuno. Per le caravelle ferme nella piatta in mare aperto,
tutte le altre navi sono corsare. Non è la paura a far
loro respingere l’altro, bensì una fondamentale
solitudine, che sa proteggersi anche da sé stessa.
Sei partito una seconda volta – chissà, forse verso
l’abbraccio del tuo adorato Cristo – proprio nella
stessa settimana del 1995 in cui io sono arrivato in questo continente,
migrante solo con una valigia da poco, di cartone grigio, con
dentro una conchiglia di Niterói, baracca e burattini.
Non ci siamo incontrati per poco. Ora, in questo libro, parole
mie e parole tue, riallacciamo sulla carta il dialogo mai avvenuto,
mutilata la possibilità dello sguardo.
Heleno in una poesia usa l'espressione "ballerino del caos" . È un’immagine
esatta, che si addice alla perfezione a noi, uomini erranti del
Sud del mondo, trafficanti di bellezza, venditori ambulanti di
versi e di storie, che sogniamo una Palmares immaginaria, introvabile,
mentre occhi attenti possono già scorgere in fondo al
paesaggio l’ombra del pendio che ci aspetta, la scarpata
profonda, da dove Zumbi ha spiccato il suo balletto alato nel
vuoto.
Ballare è necessario. Vivere non è necessario.
Ballare è preciso. Vivere non è preciso.
Toscana,
18 maggio 2002
Julio Monteiro Martins
Amici
mentre vado a Luxor
A Firenze nulla sapete
Il
muro tra di noi s’abbatte lentamente
Mai più saremo esotici e mansueti
ma
non aveva voluto aspettare l’ultimo momento per
questa nostra cura.
L’indo
Porteremo
le sabbie del deserto
E le oasi più lontane
E
se Firenze è bugiarda
Andremo alla cupola
A
invocare
Tempeste
Una
città
Lavata dal deserto
Purificata dalle lacrime.
Se
fosse vera la notte, (Zone editrice, Roma, 2003) raccoglie
proprio la produzione poetica in italiano di Heleno Oliveira.
La silloge è inclusa nella collana "Cittadini della
poesia" attraverso la quale, dal '97, Mia Lecomte e Francesco
Stella si occupano di presentare e diffondere le opere più valide
della cosidetta "poesia della migrazione", prodotta
da quegli autori stranieri che usano l'italiano come lingua d'espressione
letteraria.
Heleno
Oliveira nasce nel 1943 a Santa Clara, un paese
nell'entroterra di Olinda-Recife (Brasile), da padre bianco,
di origine spagnola,
e madre proveniente da una colta e raffinata famiglia afrobrasiliana.
Si converte giovane al Movimento dei Focolari e si impegna
nella fondazione delle Comunità del Movimento in tutto
il Brasile. A Belem diviene professore di letteratura portoghese,
incarnando, negli anni Settanta, accanto a figure come quella
di Chico Buarque e Caetano Veloso, l'immagine originale di
un intellettuale cristiano che coniuga la ricerca accademica
e letteraria con un impegno umano ed esistenziale a favore
dei più deboli e di una interculturazione del messaggio
evangelico.
Nel 1983 Heleno si trasferisce a Firenze, città che
diviene per lui molto più che un'esperienza estetica,
e recepisce subito come la sua vera patria, la patria dell'anima.
Alla produzione poetica in portoghese - particolarmente apprezzata
e poi presentata dalla poetessa Sophia de Mello Breyner Andresen
- comincia ad affiancare quella in italiano, che padroneggiava
fin dagli anni '60, conservando l'uso poetico delle due lingue
fino al 1995, anno della sua morte a Lisbona.
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