LA SPOSA PIU' GIOVANE
Ginu
Kamani
Il padre di Harinath ha i piedi più belli del mondo: i
suoi alluci sono succose protuberanze di zenzero e i diti più
piccoli sono curvi spicchi d'aglio. Le piante dei piedi sono rosse
come peperoncini a furia di pestare il fango dei campi in cui
lavora. All'ora di cena sussulto quando sento le voci fragorose
degli uomini che tornano a casa. Prendo una bacinella d'acqua
e mi siedo vicino alla porta. Aspetto.
In casa nostra entrano molti uomini. Sono i parenti del mio uomo.
Poiché sono la sposa più giovane, non mi è
permesso guardarli, ma li riconosco dai piedi. Il padre di Harinath
mi si ferma davanti, col fiato grosso per la lunga camminata.
Sta fermo davanti a me senza dire una parola, perché sa
che tra un momento gli prenderò i piedi delicati tra le
mani uno alla volta; glieli laverò con cura, li immergerò
nel catino e li massaggerò.
È quell'acqua benedetta che aspetto tutto il giorno, per
soddisfare la mia terribile sete.
Prima di tutto, premo col pollice sui diti del piede destro. I
diti tremano e si agitano un po', come se lui sentisse freddo.
Il fiatone si calma a poco a poco finché lui s'acquieta
come un bambino che dorme. Ha imparato a posarmi le mani sul capo
e sta lì fermo come un airone ritto su una zampa. Dopo
avergli massaggiato il piede per un po', gli metto delicatamente
le dita tra i diti, la sua mano ha un brivido e si contrae sul
mio capo con un tremito impercettibile. Gli pulisco bene il piede
destro, ma le mie mani impazienti già prudono dalla voglia
di abbracciare l'altro piede.
Il piede sinistro è benedetto dagli dei. Io sono l'unica
che lo sa. Tutti gli altri pensano che sia maledetto. Il padre
di Harinath ha solo tre diti nel piede sinistro: l'alluce, un
dito nel mezzo e uno da una parte. Negli spazi tra i diti ci sono
due nodini dai quali non crescerà nessun dito, sono così
piccoli che si vedono appena. Ma il padre di Harinath li sente.
Verso dell'acqua su quei piccoli diti-germogli, teneri come rose
in boccio, tinti dal fango rosso dei campi. Strofino finché
lo sporco non va via. Il padre di Harinath si scuote con la sua
risata tranquilla, e anch'io rido tra me e me.
Poi se ne va in casa e io resto sulla porta con la mia bacinella.
Assaggio col dito l'acqua dei suoi piedi e quando inghiotto sento
la fame che mi sta dentro lo stomaco, che morde e che strizza.
A volte quando mi alzo in piedi mi gira la testa e mi sento come
una ragazzina scema.
Harinath è il più grande dei miei figli. Il più
piccolo si chiama Somnath. I ragazzi sono sani e aiutano già
il padre a lavorare nei campi. Con questi due bei figli, adesso,
la vita è molto migliore. Ma la prima che mi uscì
fu una femmina, per questo mia suocera fece un pacchetto delle
mie cose per rispedirmi alla casa di mio padre e disse alla levatrice
di seppellire la bambina.
Ma il padre di Harinath disse di no, semplicemente.
Mia suocera ha paura che suo figlio, a cui mancano i diti, maledica
un giorno l'intera famiglia, per questo quando il padre di Harinath
disse di no, mi fece rimanere, e lasciò che la bambina
vivesse. La ragazza adesso lavora in casa nostra e ci prendiamo
cura di lei. Le abbiamo detto che è un'orfana e che dev'essere
contenta che la trattiamo come una figlia.
Quando Harinath nacque, il mio cuore mi disse che era lui il mio
vero figlio. Da piccolo non piangeva mai perché sapevo
sempre di cosa aveva bisogno. Quando crebbe, mio figlio mi amava
così tanto che le altre donne della casa erano invidiose.
Per fortuna il padre di Harinath ha benedetto me e i miei figli,
e nessun malocchio, finora, ci ha colpito.
Mia suocera mi diceva un sacco di cose dietro le spalle: che ero
un'intrusa pericolosa, che stavo mettendo il padre di Harinath
contro la sua stessa famiglia, che se avevo fatto un figlio maschio
era stato un miracolo, che la prossima sarebbe stata una bambina-demonio.
Ma quando nacque Somnath, un bambino più grande e dalla
pelle ancora più chiara di Harinath, capii che il padre
di questi bambini, con i suoi diti in meno e il suo buon cuore,
era un santo e non avrebbe potuto farci del male. Nessuna madre
dovrebbe mai dubitare del dono di un figlio e mi addolora che
quella mia suocera dal cuore di pietra abbia perso l'amore per
suo figlio.
Il
mio uomo vorrebbe farne altri, di figli maschi. Ogni notte mi
sveglia dopo che i bambini si addormentano e rapidamente mi lavora
dentro. Allora penso che i peperoncini strofinati sulla pianta
dei piedi gli siano saliti nel sangue fin dentro la sua essenza
e da lì, dentro la gola del mio grembo, perché la
carne mi si lacera e brucia e le lacrime mi salgono agli occhi.
"Impara a mangiare i peperoncini" mi dicono le donne,
"così ti abitui al bruciore quando il tuo uomo ti
lavora dentro".
Quando tutto è finito mi giro e mi sdraio con la faccia
appoggiata al suo piede sinistro. Massaggio i caldi germogli dei
diti che mancano. Mentre dorme, i suoi diti-germogli saltano e
si muovono dentro la pelle come mosche intrappolate dentro un
panno. Ma dopo avermi fatto il lavoro, hai voglia a strofinare
e stuzzicare i monconcini: il mio uomo non si sveglia. Quei nodini
sono i miei giocattoli speciali, li lecco e li succhio come fa
un bambino coi capezzoli.
A volte, sdraiata là nel buio, mi metto a pensare. Mi chiedo
che cosa faccia la notte quell'orfanella buona a nulla, mi chiedo
quale uomo le dia da mangiare e quale la picchi. È meglio
che un uomo si occupi di lei in qualche modo, è sempre
meglio che essere un'indifesa figlia di nessuno.
Mio padre mi diceva che non sono mai stata bambina. Mi son sempre
presa cura di lui, ma nessuno si prendeva cura di me. Mi chiamava
"la sposa più giovane", perché ho preso
il posto di mia madre quando lei mi ha lasciata sola con lui.
Mi svegliavo la notte e mio padre era ancora sveglio. Allora mettevo
la sua testa sulla mia spalla e il mio viso sul suo petto e ci
addormentavamo in quel modo. Non voleva che mi sposassi, e io
invecchiavo in casa sua, finché alla fine, quando stava
per morire, decise che era giunto il momento. Ma allora, l'unico
uomo che era rimasto era quello che nessuna voleva sposare, quello
maledetto per via del suo piede sinistro.
A mio padre dal cuore spezzato non importava in quale casa finissi.
A un tratto smise di parlarmi e, subito dopo le nozze, morì.
Mi faceva il solletico tante di quelle volte! Ma un bel giorno
smise. Mi pettinava e mi metteva l'olio nei capelli, ma smise.
Mi dava la colazione prima di andare a lavorare, mettendomi in
bocca pezzi di pane e di peperoncino. Smise. Il giorno delle nozze
mi disse che mi aveva fatto tutte quelle cose per farmi felice
perché ero la sua "sposa più giovane".
Ma ora che stavo per diventare la vera moglie di un altro uomo,
l'amministratrice della sua casa e la madre dei suoi figli, viziarmi
ancora non avrebbe avuto più senso.
A volte quando ci ripenso sto male, ma non so perché. Ora
ho tutto, ho più di tutte le altre donne che conosco. Ma
la mia felicità è il mio segreto. Nessuna donna
mi crederebbe e nessuna potrebbe immaginarsi al posto mio.
Ho succhiato il seno di mia madre fino ai sei anni. Mia madre
lo sapeva che non avrebbe fatto altri figli, per questo ha dato
a me tutto il latte che era per i figli maschi. Gli andavo dietro
per tutta la casa. Tutte le volte che si fermava, mi fermavo anch'io
e le succhiavo il seno. Era una donna piccolina, e io non ero
poi così piccola. Le spostavo il lembo del sari e mi servivo
da sola. Alle volte il capezzolo mi sgusciava via dalla bocca.
Ma io lo riacciuffavo sempre. Il latte era molto dolce.
Quando nacque Harinath, mia suocera fu finalmente felice. Ma un
giorno il padre di Harinath le disse, mentre guardava il bambino
che succhiava: "Il latte è così dolce, proprio
come il tuo, vero mamma?" La madre del mio uomo indietreggiò,
tutta tremante e sconvolta, fino alla parete della stanza.
"Tu non sei nato da me", disse la madre del mio uomo.
"Tu non hai mai assaggiato il latte del mio seno. Non te
ne puoi ricordare così". Il mio uomo rise, ma non
era una risata profonda e spontanea. "Tutta la gente del
villaggio sa che sono tuo figlio", disse il mio uomo, "anche
se tu non lo ammetti. Perfino adesso, ricordo i tuoi seni con
chiarezza e potrei disegnarli sulla sabbia, quei sacchetti duri
di farina coi rossi melograni in punta".
"Non parlare di me in questo modo davanti alla tua sposa-schiava!",
gridò la madre del mio uomo. "E davanti al tuo figlio
maledetto!" Il mio uomo rise e si aprì un varco nei
miei seni, succhiando il latte con tale forza che riuscivo a malapena
a respirare. Mia suocera si coprì il viso per la vergogna
e uscì di corsa dalla stanza. Allora mi sdraiai, misi il
bambino al mio fianco, e nella luce piena del giorno, nella stanza
destinata agli ospiti, il mio uomo mi fece il lavoro che fanno
gli uomini.
Quando nacque Somnath, il mio uomo si svegliava di notte e succhiava
insieme al bambino, uno da un lato e uno dall'altro. Se provava
a lavorarmi dentro, mi mettevo il bambino fra le gambe e ce lo
tenevo a forza. E allora da un seno facevo gocciolare il latte
sul viso del mio uomo, facendolo dondolare lentamente finché
il latte gli scorreva da una parte all'altra della fronte, sopra
il naso e tutto intorno ad esso, finché dalle sopracciglia
gocciolavano perline bianche sugli occhi chiusi e sulle ciglia.
Il mio uomo vuole avere da me altri figli maschi. Di notte chiede
all'orfana di fargli un massaggio alla schiena. Lei smette solo
quando lui glielo ordina. Io mi siedo là vicino e li guardo.
Dopo un po' si mette sdraiato a pancia in su e sia io che la ragazza
vediamo con chiarezza che lui è pronto a fare il suo lavoro.
So che il mio uomo tirerà accanto a sé la più
vicina tra noi due: allora spingo l'orfana da un lato e apro la
gola del mio grembo per accogliere il suo liquido. Quando lui
dorme, la ragazza e io dormiamo entrambe col viso ai suoi piedi.
Le ho fatto vedere i diti-germogli che sono i miei giocattoli
speciali. Lei mi guarda mentre annego nella loro rosea fragranza,
mentre succhio quei diti mai nati. Per il momento se ne sta in
disparte, troppo pigra per godere di un uomo che le fa il lavoro,
ma dal suo corpo snello e sodo capisco che anche lei, ben presto,
diventerà la "sposa più giovane".
(Traduzione
di Andrea Sirotti)
Ginu Kamani è nata a Bombay, India, nel 1962. Risiede negli
Stati Uniti dal 1976. Ha lavorato in produzioni cinematografiche
in India e insegnato in varie università statunitensi.
Il racconto qui tradotto s'intitola in inglese "Younger Wife"
ed è contenuto nella raccolta Junglee Girl (San
Francisco: aunt lute books, 1995). I suoi racconti sono stati
pubblicati nelle antologie Our Feet Walk the Sky: Women of
the South Asian Diaspora, On a Bed of Rice. An Asian American
Erotic Feast, y Her Mother's Ashes 2. More Stories by South Asian
Women in Canada and the United States, e nelle riviste letterarie
The Walrus y The Toronto Review, tra le altre. Come saggista
e giornalista, Kamani collabora con The Bay Guardian, The
San Francisco Examiner, India Currents, e Cosmopolitan.
Vive a Sausalito, nella Bay Area.
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