CAMUAMU (o la nonna
ritrovata)
Christiana de Caldas Brito
"Neste surrão entrei (In questa bisaccia entrai)
neste surrão eu morrerei,(morirò in questa bisaccia)
pelas contas de ouro (per le pepite d'oro)
que no rio deixei.(smarrite da me nel fiume)
Ora fique com ela, Quindu Sererê!(Portala via, Quindu
Sererê!)
Ora fique com ela, Quindu Sererê!( Portala via, Quindu
Sererê!)
Nel
mondo governato da un dio diverso da quello della chiesa di Padre
Miguel, nel miserabile pezzo di terra secca dove vivevamo, l'unica
a
parlare di speranza era mia nonna. Mio padre ripeteva che gli
uomini
desiderosi di giustizia erano finiti male, diceva di aver visto
i loro
cadaveri. Mia nonna parlava di un mondo in cui i senza terra vincevano
e
dove la gente come noi poteva accedere ai beni che ci erano negati.
Raccontava storie di donne che si sposavano ed erano madri di
figli senza
malattie. Nessuna donna delle storie di nonna moriva di parto,
come mia
madre. Nelle sue storie, madri e figli vivevano ed erano felici.
Durante la notte, le molte domande si mescolavano al mio respiro:
forse che
nel paese delle favole non abitava la siccità? Era là
che si trovava mia
madre? Forse che in altre parti del mondo non esistevano i colonnelli?
Le
domande si formavano dentro al petto, accompagnate da uno strano
sibilo.
"Questa bambina ha l'asma" disse la maestra a scuola,
"bisogna farla
vedere." L'unico medico del nostro villaggio era partito
per un posto più
decente che stava a cinque ore di mulo. Noi, il mulo non l'avevamo.
"Con
l'asma si vive lo stesso" rispose mio padre alla maestra.
"Mia figlia
aiuterà nei lavori della campagna." Mi tolse dalla
scuola.
Continuai con lo strano sibilo che accompagnava le domande soffocate
dentro.
Di quegli anni, nonna è l'unico ricordo bello. La sua voce
umida veniva da
un posto dove pioveva spesso, un posto dove le cascate scorrevano
e i petti
delle mamme non erano secchi come i nostri fiumi. Là, sicuramente
i bambini
erano felici.
Ogni sera, nonna ci radunava. Con le sue storie ci regalava pezzi
d'infanzia, gli unici che conservo. Noi, bambini-lavoratori, arrivavamo
dalla campagna sporchi di terra e di stanchezza, avidi di storie.
La nostra
era una terra rossa e secca, i frutti morivano prima di maturare.
La
pioggia non veniva a trovarci.
Ho imparato tutto dalle parole di nonna. Assente dalla scuola,
non ho mai
letto libri ma leggevo nuvole ed alberi, conoscevo il cuore della
foresta,
sapevo uccidere la cascavel e riconoscere il canto di ogni uccello.
La radio diceva che il mio paese era pieno di ricchezze. Qualcuno
l'aveva
persino chiamato "paese del futuro". Ma io non ebbi
la fortuna di nascere
nel futuro.
Ci
vollero molti anni perché io capissi che le storie di nonna
si
chiamavano racconti. Nonna li inventava perché noi, bambini,
dovevamo
sopportare il caldo di giornate senza pioggia.
Mio padre se ne andò per il mondo a provare la fortuna.
Dudu, mio fratello,
era a Serra Pelada, nei giacimenti dell'oro. Voleva essere ricco.
Si era
costruito una casa. Non ho mai saputo perché gli avevano
sparato. Lasciò
moglie e due figli che mai conobbi.
Con quattordici anni, lasciai Camuamu, ma per me fu difficile
lasciare mia
nonna. Andai a lavorare a São Paulo. Là, un bravo
dottore disse che la mia
asma era nervosa, ma non riuscì a placare il sibilo che
persisteva come un
brutto ricordo.
Per anni, ho lavorato e ho risparmiato. Volevo tornare a Camuamu
per
abbracciare mia nonna. Non la vedevo da molto tempo.
Tornai. Nessuno sapeva di lei. Se ne è andata, mi dicevano.
La cercai dappertutto.
Rividi la maestra che era ancora la stessa. Le chiesi se poteva
insegnarmi
a leggere nei libri e a fare i conti. Mi rispose che non aveva
tempo, ma
quando mostrai che potevo pagare, accettò.
La maestra veniva di sera e io passavo i giorni a studiare le
parole
nascoste sotto le lettere. Si prestavano a delle infinite combinazioni.
Imparavo a leggere. Andai ai paesi vicini, ai villaggi, ai municipi.
Nonna,
nonna, dove sei? dicevo alla luna. Nonna, nonna, dove sei? chiedevo
alle
stelle. Tornavo a casa senza risposta.
Mi
ci è voluto tempo e fatica per ritrovare nonna. Ma ce l'ho
fatta. Lei
era in tutti i racconti che adesso potevo leggere. Sentivo la
sua voce nel
vento delle pagine. Era nonna che nei racconti mi toglieva dagli
affanni e
dai dolori e dalla stanchezza. Era nonna che nuovamente mi benediceva
con
le sue favole, favole che leggevo imitando la sua voce di pioggia.
Neste surrão entrei
neste surrão eu morrerei,
pelas contas de ouro
que no rio deixei.
Ora fique com ela, Quindu Sererê!
Ora fique com ela, Quindu Sererê!
Molto
tempo dopo, iniziai a scrivere le mie favole. Uscivano in un modo
così naturale che mi sembrava di zappare il campo o raccogliere
le patate
senza fatica.
Inventare storie divenne il mio lavoro. A Camuamu c'erano ancora
molti
bambini e giovani che non sapevano leggere. Li radunavo la sera,
dopo i
lavori nei campi, e leggevo per loro i miei racconti.
Il
mio corpo diventò come il corpo di nonna e i miei capelli
a poco a poco
si fecero bianchi. Quei bambini dalla terra secca e rossa, amavano
le mie
favole, come io avevo amato le favole di nonna.
È stato così che ho ritrovato nonna.
Scrivo
perché voglio regalare le mie storie alla gente di Camuamu.
Sono
felice quando scrivo. Ma le domande ancora sibilano dentro. Forse
è per
questo che i miei racconti escono tutti tristi, come se fosse
il vento a
raccontarli.
Christiana de Caldas Brito, brasiliana, vive a Roma dove lavora
come
psicoterapeuta. Ha pubblicato il libro di racconti "Amanda
Olinda Azzurra e
le altre" Lilith, Roma, 1998.
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