FOGLI DI DIARIO

Carlo Cassola



Scrive Auden: “…Nessun vero scrittore tiene alla popolarità come tale. Egli cerca l'approvazione altrui per trovare conferma che la sua visione della vita è reale e non frutto di una allucinazione”.
Il successo non è dunque importante in se stesso, ma perché dimostra che un certo numero di persone si sono interessate a quello che hai scritto; e se ne sono interessate, vuol dire che ci hanno ritrovato qualcosa della propria vita, del proprio modo di decifrare la realtà. Solo che la poesia è terreno opinabile: il consenso dei lettori, anche se fosse quasi plebiscitario, non potrebbe darti la sicurezza di essere uno scrittore autentico. Questa specie di sicurezza temo che non possa venirci da nessuna parte: non esistono giudici infallibili, né strumenti di precisione che accertino la presenza della poesia.
I valori letterari vengono continuamente rimessi in discussione. I nomi più acclamati escono dal giro. Si torna a parlare di chi era stato dimenticato, o di chi non era mai stato preso in considerazione. Tutto questo può far comodo all’editoria come può far parte di un certo gioco mondano: il lettore à la page non deve essere al corrente solo delle novità, anche delle riesumazioni. Esaltare insieme il più sofisticato scrittore di oggi e il più rozzo scrittore ottocentesco, esaltare insieme, che so, Borges e Saverio di Montepin, non è il colmo della raffinatezza? Per me veramente è il colmo dell’imbecillità.
E’ certo però che in ciascuno di noi il termometro della borsa letteraria impazzisce di frequente. I valori subiscono forti oscillazioni. Problemi che credevamo risolti una volta per tutte, dubbi che ritenevamo ormai fugati, tornano sempre a riaffacciarsi. Le sole certezze che rimangono sono quelle negative. Servono a evitare i passi falsi, ma non aiutano a progredire verso la verità.

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Se “nessun scrittore vero tiene alla popolarità”, com’è che la cronaca letteraria è piena di rivalità, gelosie, invidie? In queste meschine dispute sono rimasti coinvolti anche grandi scrittori, come Tolstoj e Dostoevskij.
Il fenomeno può spiegarsi solo ricorrendo alla vecchia distinzione tra lo scrittore e l’uomo. L’uomo ha le sue debolezze, può quindi essere geloso e invidioso di un altro, vedere in lui un concorrente, un emulo. Lo scrittore no. Se c’è un campo in cui non esiste concorrenza ed emulazione, è quello della creazione letteraria.
Quel che ha fatto Montale, poteva farlo solo Montale: non vedo perché qualcuno glielo dovesse invidiare. Quando cominciai il mio tirocinio letterario, pagai lo scotto dell’esperienza, o per dir meglio dell’ignoranza: ancora non sapevo cosa m’avesse spinto a scrivere. Esordii molto male, imitando questo o quel poeta, questo o quel narratore: s’intende che ho poi cestinato tutto. Leggevo anche molto: e quando trovavo qualcosa che mi piaceva, mi rammaricavo di non averla scritta io. Ero invidioso degli altri, perché ancora non ero uno scrittore, nemmeno in germe. Quando mi resi conto che quello a cui miravo era qualcosa di inedito (magari di insignificante o di insensato, ma di inedito) deposi ogni invidia. Il Tale o il Talaltro potevano anche essere grandi scrittori, non avrei voluto essere come loro. Quello che desideravo era riuscire a essere me stesso. Se ci fossi riuscito, sarei stato uno scrittore magari minuscolo: tuttavia non avevo e non potevo avere altro desiderio. La questione del formato non interessa un vero aspirante scrittore. E io, a partire da un certo momento, sono stato un vero aspirante scrittore.
Uno scrittore è autentico se è originale. Non dico che questa originalità sia assoluta, ognuno dovendo qualcosa a quelli che lo hanno preceduto. Il solo che ci appaia assolutamente originale è Omero, ma perché ignoriamo i suoi predecessori. Non si può comunque parlare di originalità di uno scrittore se non ci si ritrova qualcosa che non appartiene agli altri.
Naturalmente non è facile dire in che consiste questa nota personale, specie negli scrittori minori, che sono poi la maggioranza. A volte è appena una differenza d’intonazione di cadenza, di ritmo. La personalità di un grande scrittore colpisce subito, anche se è ugualmente difficile a definirsi.
Letterariamente la rivalità Tolstoj-Dostoevskij è inspiegabile, perché è difficile immaginare due scrittori più diversi. Non ebbero in comune nemmeno la parte ereditata, dato che attinsero a fonti differenti. Non potevano farsi ombra a vicenda. Hanno dato vita a due mondi separati. Tolstoj non avrebbe potuto invadere il campo di Dostoevskij, e viceversa.
Eppure questa assurda rivalità si è perpetuata ad opera dei loro ammiratori. Tolstoiani e dostoevskiani continuano a guardarsi in cagnesco. Formano due partiti letterari nemici.
Quel che vale per i grandi, vale anche per i piccoli. Nessuno toglie spazio all’altro. A*** non può scrivere quello che scrive B***, e viceversa.
Nessuno può riconoscersi interamente nell’opera di un altro. Nessuno può condividere interamente i gusti di un altro. Nessuno può avere la stessa idea di letteratura che ha un altro. Ciò che può unire e dovrebbe accomunare gli scrittori è il sapere quanta fatica e quanta sofferenza costi scrivere. Un’opera letteraria dovrebbe suscitare rispetto anche se modesta, anche se non riuscita. Purché, s’intende, sia stata intrapresa con la stessa serietà, lo stesso scrupolo, lo stesso impegno totale con cui la intrapresero i grandi creatori. Una stima e un rispetto particolare meritano gli scrittori mancati: proprio perché il loro sacrificio non è stato ricompensato.

Auden, a questo riguardo, sembra pronunciarsi severamente: “La società deve guardarsi bene dai vagheggiamenti progettati al caffè, la notte, dagli artisti manqués”. Ma egli evidentemente si riferisce agli pseudoartisti, a coloro che mancarono totalmente di vocazione, che si diedero all’arte come avrebbero potuto darsi a qualsiasi altra attività suscettibile di procurare notorietà, “popolarità”.
E’ a questi scrittori falliti (falliti in partenza, perché non furono mossi da un bisogno dell’animo, ma da un volgare calcolo utilitario, da vanità, da suggestione ambientale e simili) che si deve l’inquinamento dell’ambiente letterario. Si deve al livore di costoro se l’ambiente letterario è un covo di maldicenze, pettegolezzi, punzecchiature, canagliate. E’ un costume o per dir meglio un malcostume, che finisce con l’infettare tutti. Ci si sforza di intaccare lo scrittore attaccando l’uomo. La diffamazione si vale di mezzi sottili: l’aggettivo più innocuo può essere usato in senso denigratorio. S’è denigrato Tozzi con la qualifica di scrittore toscano: che è sinonimo di scrittore locale.
Il malcostume letterario non è proprio solo del nostro Paese. Dilagava anche nell’Inghilterra vittoriana. James diceva “quel povero piccolo Hardy”, e così riteneva di averlo demolito. Hardy si teneva esemplarmente fuori da queste beghe: ma le punzecchiature di James devono averlo irritato se nell’autobiografia gli ha riservato un apprezzamento malevolo (il sol solo che sia contenuto nel grosso volume).

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Auden ricorda con nostalgia il periodo del proprio apprendistato letterario. Egli mette molto bene in luce come la polemica sprezzante verso la letteratura del passato sia una fase inevitabile e anche salutare dell’apprendistato letterario, ma non riveli affatto sicurezza e fiducia in se stessi. Al contrario, il giovane si sta sempre cercando: e ha una gran paura di non riuscire a trovarsi. Scrive appunto Auden: “…Nel giovane che cerca di scoprire la propria identità, l’esasperazione di non esservi ancora riuscito, tende naturalmente a manifestarsi in atteggiamenti violenti ed eccessivi”.
L’apprendista ha tuttavia il conforto di qualche compagno che ha intrapreso un’analoga ricerca. I due si leggono a vicenda i manoscritti. L’apprendista può essere sfornito di capacità critica, può sopravvalutare malamente ciò che ha scritto il compagno: ma ha il merito di leggere quel misero manoscritto con la stessa appassionata attenzione “che i critici adulti riservano ai capolavori e i poeti adulti a se stessi”.
Purtroppo in un breve giro di anni la famiglia degli apprendisti si disperde. Avviene così a ogni generazione. Ognuno seguirà la sua strada, e saranno magari strade molto diverse. Uno riuscirà a soddisfare la propria aspirazione giovanile, diverrà uno scrittore noto, riceverà positivi verdetti da parte dei recensori, ma gli mancherà la critica appassionata dei vecchi amici apprendisti, che “sono, come lui, troppo lontani, troppo occupati, troppo sposati, troppo egoisti”.
Alla solitudine della gioventù, ha fatto seguito l’isolamento dell’età adulta. Un isolamento in mezzo a una quantità di persone che ti leggono e ti confermano che la tua visione personale delle cose non era aberrante (e questo è senz’altro un conforto). Un isolamento in mezzo all’ambiente letterario in cui sei stato accolto a braccia aperte (e questo può avere anche i suoi inconvenienti).





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