SU CAIO FERNANDO
Caio
Fernando Abreu: lo scrittore "cliché" che ha
catturato lo spirito del Brasile moderno
Bruno
Persico
Ci
sono tre immagini tra le tante che conservo di Caio Fernando Abreu
e che a mio avviso fissano le tre grandi fasi nella vita dello
scrittore brasiliano, nato nel 1948 nel profondo sud del Brasile
al confine con l'Argentina, dove le strade si perdono negli sconfinamenti
della pampa e dove l'immaginario simbolico dell'autore
colloca il mitico "Passo da Guanxuma".
La
prima fotografia è un mezzo busto che ci presenta un Caio
Fernando quasi trentenne, all'inizio del suo cammino artistico,
i capelli folti che nascondono le orecchie, lo sguardo alto e
laterale di chi è consapevole della propria sfida. Accanto
alla sua, una fotografia in eguale formato di Julio Cesar Monteiro
Martins, che in quegli anni -siamo nel 1977- era molto amico di
Abreu e condivideva gli stessi obiettivi letterari: "descrivere
l'uomo nella sua totalità, in quanto fenomeno sociale,
tuttavia arricchito dei suoi condizionamenti psicologici ed esistenziali.
Il problema dell'uomo che ha fame. Ma anche dell'uomo di fronte
alla morte. Siamo come burattini che sono riusciti a recidere
i fili, e per questo esercitiamo un'autocritica 24 ore su 24"
(Julio Cesar). "Siamo autori che erano adolescenti nel 1964
(1) e che solo ora si manifestano dal punto di vista letterario.
Perché tutte lo porte ci furono chiuse e la realtà
è diventata un qualcosa di troppo orribile. Abbiamo dovuto
quindi infrangere le barriere scrivendo e presentando diverse
forme della stessa visione di una realtà
castrata. Siamo una generazione altamente manipolata, ma che riesce
tuttavia ad avere una visione critica delle cose" (Caio Fernando)
(2). L'intervista di Cecília Prada ai due giovani scrittori
si intitola "I topi pelosi", un'immagine con cui Julio
Cesar allude a quella cavia che riesce a sopravvivere in condizioni
avverse, come lo scrittore che per non soccombere alla repressione
e alla censura è costretto a ricorrere ad ogni mezzo possibile,
prima fra tutti la letteratura, appunto.
Le opere di Abreu in questo periodo, dal 1970 al 1977, sono storie
di esseri isolati e marginali che abbracciano la follia come unico
mezzo per affermare la propria individualità e distanziarsi
dalla massa degli alienati (3), racconti surrealistici in cui
l'individuo che si scopre diverso si scontra con il resto della
colletività e viene da questa soppresso (4), storie di
orrore che sono critiche al regime nella contrapposizione tra
un mondo esterno dominato dal limite e dal divieto e un mondo
interno pure frammentato e isolato (5), o un vero e proprio Bildungsroman
di un adolescente educato in un contesto conservatore di una famiglia
del patriarcato rurale del Rio Grande do Sul (6). I suoi personaggi
hanno le ali tarpate, sono vittime di un sistema e di una realtà
che li schiaccia sotto il suo peso, sono esseri malati ai quali
è preclusa ogni via d'uscita.
La
seconda è una fotografia "postuma" in un articolo
di Marcelo Secron Bessa del 1998 che celebra i 50 anni dello scrittore
scomparso due anni prima. E' l'immagine di un Caio Fernando ormai
maturo, una decina di anni più tardi; l'inquadratura presa
dall'alto ne mette in risalto l'assertività, i neri occhiali
da sole da divo del cinema ne celano lo sguardo, le grandi orecchie
sono ora pienamente visibili e la stempiatura isola un ciuffo
di capelli in mezzo al capo. La T-shirt bianca a maniche rimboccate
ostenta la nitida scritta: Se la passione non può
ch'esser provvisoria, che sia folle e bella la nostra
storia, parole chiave ben in risalto. "Caio Fernando
Abreu ha influenzato la nuova generazione di scrittori gay",
compare in neretto sotto la fotografia dell'articolo intitolato
"Caio, uno strano straniero (7). I 50 anni dello scrittore
segnano una rilettura della sua opera". All'ostracismo della
critica, forse per la sua maniera cruda e dolorosa di parlare
dell'uomo e del mondo contemporaneo, accentuata dalla scelta di
temi giudicati "pesanti", sta subentrando un accresciuto
interesse per l'opera e la figura di Abreu, testimoniato anche
dalle numerose pubblicazioni postume di suoi testi inediti e di
opere ispirate o legate alla sua figura (8), o dagli studi di
cui è reso oggetto sia in Brasile che altrove.
E' senza dubbio l'Abreu del dopo dittatura a entusiasmare maggiormente
gli animi dei lettori, partendo dal libro che ne ha consacrato
la popolarità, (anche se più per la versione teatrale
di alcuni suoi racconti), Morangos Mofados (Fragole ammuffite),
del 1982. Come ogni opera di Abreu, è un libro con una
precisa struttura: i racconti della prima parte sono popolati
da personaggi sconfitti e prigionieri di spazi chiusi e di un
passato di illusioni e di speranze puntualmente infrante dalle
frustrazioni di una realtà impazzita alla quale si può
reagire solo con la fuga. Ad essi si contrappongono i personaggi
della seconda parte, i quali trovano il modo di affermare la propria
identità, che è in primo luogo identità sessuale.
Il tema dell'omosessualità si insinua tra le righe, molto
spesso presentato in modo allusivo, mai urlato con forza militante,
eppure considerato come un elemento proprio dei personaggi e parte
della loro natura contro tutte le proibizioni. E così continuerà
ad essere nella produzione seguente di Abreu: in Triângulo
das Águas (Triangolo delle acque) (9), del 1983, nel
cui racconto Pela noite (Di notte) la coppia di uomini vive il
suo momento di conoscenza e affermazione passando attraverso paure
e frustrazioni, sullo sfondo di una San Paolo notturna e frenetica.
O nei racconti di Os dragões não conhecem o paraíso
(I draghi non conoscono il paradiso), del 1988, nel quale la preoccupazione
dell'auto-affermazione si alterna ad una critica dei falsi valori
di una società dominata dal consumismo e da una visione
borghese della vita (10). Nel 1991 Abreu ritorna al romanzo con
Onde andará Dulce Veiga? (11), un viaggio in una
San Paolo underground tra gruppi rock, travestiti, omosessuali,
avvolta in un'atmosfera dark e claustrofobica alla ricerca di
una cantante scomparsa e di una ragione di vita. In un ritmo frenetico,
nei colori graffianti sull'orlo di un kitch dai toni almodovariani
si compone una sorta di pastiche postmoderno che presenta
le contraddizioni delle metropoli brasiliane.
L'ultima
fotografia di Caio Fernando accompagna un'altra intervista del
settimanale ISTOÉ dal titolo "Senza vergogna di avere
l'AIDS. Speranza e ironia sono le armi che aiutano a sopravvivere
Caio Fernando Abreu, sieropositivo, che a sua volta aiuta gli
altri a parlar chiaro della malattia". Siamo nel 1995, Abreu
è malato da oltre un anno, i segni della malattia sono
evidenti sul viso emaciato, nello sguardo stanco e in quella giacca
sgualcita che gli penzola addosso. Pochi mesi prima, nel settembre
del 1994, in una delle cronache che regolarmente scriveva sul
quotidiano O Estado de São Paulo, sfidando ogni
tabù e quanti li alimentano, Abreu confessa di essere portatore
dell'HIV (12). Rispondendo alla domanda di Paulo César
Teixeira su come possa aver contratto il virus, Abreu risponde:
"Sono una persona molto cliché: negli anni
50 andavo in moto e ballavo il rock-and-roll; negli anni 60 mi
hanno arrestato accusandomi di essere comunista; poi sono stato
un hippy e ho provato tutte le droghe. Sono passato anche
per la fase punk e per quella dance. Non c'è nessun
tipo di esperienza cliché della mia generazione
che io non abbia vissuto. Quindi, per me, essere sieropositivo
rappresenta semplicemente il volto della mia morte. E' in sintonia
con la vita che ho avuto e col tipo di persona che sono".
Il fantasma dell'AIDS si era già insinuato in alcune sue
storie prima ancora di invadere anche la sua
vita, come in "Linda, una storia orribile" (in Rivista
Sagarana on-line n° 3), ad esempio, e addirittura nel
racconto Pela passagem de uma grande dor (Al passaggio
di un forte dolore) della raccolta Morangos Mofados, del
1982, l'opera che meglio di qualsiasi altra catturò lo
spirito di un'intera generazione cresciuta nei tormentati anni
60 e 70. Un'ulteriore conferma di quanto in lui vita e letteratura
fossero da sempre intimamente connesse. La malattia, il progressivo
indebolimento e la percezione di essere prossimo alla fine determinano
in Caio Fernando un'ansia frenetica di scrittura, di riorganizzazione
della propria opera, e di riconciliazione con il passato: ritorna
nella sua terra di origine, a Porto Alegre (che nelle lettere
agli amici egli chiamerà divertito Gay Port), rimette
mano ad alcuni suoi libri, pubblica racconti inediti, partecipa
ad incontri e a mostre letterarie, azzarda progetti fantastici
e si dedica alla cura del giardino di casa, proiettando nella
fragilità delle piante e dei fiori la propria fragilità.
Conservando fino all'ultimo l'ironia e la dignità che lo
avevano contraddistinto.
Scrive Luciano Alabarse (13) nello speciale su Zero Hora
in occasione della sua morte, il 26 febbraio 1996: "Caio
era un angelo, di quelli di Wim Wenders, dal temperamento forte
e la lingua affilata, in assoluta sintonia con il tempo che gli
toccò di vivere. Uno scrittore raro, la cui opera è
fondamentale per la letteratura brasiliana degli ultimi anni,
autore di alcuni dei libri più coraggiosi e meglio scritti
che sono giunti fino a noi. Fu un rigoroso artigiano della parola,
implacabile con tutto ciò che produceva. E, allo stesso
tempo, di una sconfinata generosità (...)".
NOTE:
(1) - Anno in cui si insedia la dittatura in Brasile.
(2) - In "Os ratos peludos", ISTOÉ, 27/7/1977.
(3) - Inventário do Irremediável, 1970
(4) - O ovo apunhalado, 1975
(5) - Pedras de Calcutá, 1977
(6) - Limite Branco, 1971
(7) - Allusione al titolo del libro postumo "Estranhos
estrangeiros", 1996.
(8) - Tra queste la raccolta di racconti Caio de amores,
pochi mesi dopo la sua scomparsa; il carteggio tra Abreu e Luciano
Alabarse, registra teatrale di Porto Alegre, di prossima pubblicazione,
e le opere teatrali complete, oltre ai numerosi adattamenti teatrali
e filmici dei suoi racconti.
(9) - Nella mente dello scrittore doveva essere il primo libro
di una quadrilogia ispirata agli elementi naturali e ai segni
zodiacali di ogni elemento. Ciascun racconto di Triângulo
das Águas si ispira non solo ad uno dei segni di acqua,
ma ad un'opera musicale o letteraria: il "Concerto di Colonia",
di Keith Jarreth, il poema "Il marinaio" di Fernando
Pessoa, e la musica "Anni di solitudine" di Astor Piazzolla.
Una simile operazione di "multimedialità" è
un tratto che contraddistingue la tecnica creativa dell'autore.
(10) - Parte dei racconti di Morangos Mofados e Os dragões
não conhecem o paraíso sono pubblicati in Italia
nella raccolta Molto lontano da Marienbad, Ediz. Zanzibar, Milano,
1995.
(11) - Dov'è finita Dulce Veiga?, Ediz. Zanzibar,
Milano, 1993.
(12) - "Ho sempre amato il mistero, ma preferisco
la verità. E ritenendola di gran lunga superiore al primo,
ti scrivo ora così, in modo chiaro. Non ho nessun motivo
per nascondere. Né provo alcun senso di colpa o di paura."
(Ultima carta para além dos muros, in O Estado de São
Paulo, 18.9.1994)
(13) - vedi nota 8.
Un
altro racconto inedito di Caio Fernando Abreu, Al simulacro
della imagérie, è presente sul sito: http://terence.spray.it
(sezione narrativa).
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