LA CENA DEI BUSTI

Gaston Leroux




Il Capitano Michel aveva solo un braccio, che trovava molto utile per accendersi la pipa. Era un vecchio lupo di mare con il quale avevo fatto conoscenza, insieme ad altri quattro vecchi filibustieri, una sera al Caffè all'aperto sulla Vieille Darse, a Tolone, dove stavo sorseggiando un aperitivo. In questo modo prendemmo l'abitudine di radunarci a bere un bicchiere accanto alle onde del mare e alle barchette beccheggianti, più o meno all'ora in cui il sole scende dietro il Tamaris.
I quattro lupi di mare erano conosciuti con il nome di Zinzin, Dorat - Capitano Dorat - Bagatelle, e Chaulieu: il buon vecchio Chaulieu. Naturalmente, avevano veleggiato su tutti i mari e avevano avuto mille avventure: ora si erano ritirati a vivere delle loro pensioni, e passavano il tempo a raccontarsi storie terribili.
Il Capitano Michel era l'unico a non abbandonarsi ai ricordi. E, siccome non sembrava affatto sorpreso di quel che gli veniva raccontato, i suoi compagni alla fine si esasperarono.
"Sentite, Capitano Michel, non vi è mai successo niente di straordinario?"
"Oh, sì", rispose il Capitano, togliendosi di bocca la pipa. "Sì, qualcosa mi è successo una volta... ma solo una volta."
"Beh, sentiamo."
"No!"
"Perché no?"
"Perché è una storia troppo terribile. Potreste non sopportarla. Ho spesso tentato di raccontarla, ma la gente si è dileguata prima che potessi terminarla."
I quattro lupi di mare accolsero questa affermazione con grandi risate sonore, una più forte dell'altra. Dichiararono che il Capitano Michel cercava evidentemente una scusa perché, in realtà, niente di veramente straordinario doveva essergli mai capitato.
Il vecchio li squadrò per un momento e poi, all'improvviso, accettò la situazione e depose la sua pipa sul tavolo. Quel gesto insolito era già di per sé un sufficiente motivo di meraviglia!
"Signori, vi racconterò come persi il braccio...", cominciò.
"Allora - una ventina d'anni or sono - possedevo una piccola villa nel sobborgo di Le Mourillon, che mi era stata lasciata in testamento, poiché la mia famiglia si era stabilita da un pezzo in questa zona e io stesso sono nato qui.
Mi faceva comodo per riposarmi dopo un lungo viaggio, prima di riprendere il mare. Per questo motivo amavo quel posto, e vivevo placidamente tra la gente di mare e la gente delle colonie che mi davano ben poco pensiero. Li vedevo raramente, poiché erano sempre occupati a fumare oppio o si interessavano di altri affari che non avevano niente a che fare con me. Naturalmente, i gusti non si discutono ma, finché non mi disturbavano, io ero soddisfatto.

Capitò che una sera disturbarono il mio sonno. Fui svegliato all'improvviso da un baccano straordinario, di cui non riuscivo a capire il motivo. Come al solito avevo lasciato la finestra spalancata. Ascoltai sconcertato un tremendo fragore, che era un misto tra il brontolio di un tuono e il rullo di un tamburo... ma che tamburo! Sembrava come se duecento bacchette percuotessero all'impazzata un tamburo, ma non si trattava del suono di un normale tamburo di pelle: sembrava piuttosto un tamburo di legno.
Il chiasso veniva da una villa di fronte alla mia, che era rimasta vuota per circa cinque anni, e sulla quale la sera prima avevo notato un cartello che annunciava: "In vendita".
Lasciai che il mio sguardo vagasse dalla finestra della mia stanza, situata al primo piano della casa, e si spingesse oltre il giardino in cui sorgeva l'edificio. I miei occhi registrarono ogni porta e ogni finestra, anche quelle del pianoterra.
Queste erano rimaste chiuse esattamente come le avevo viste durante la giornata, ma mi accorsi che dei raggi di luce penetravano dalle fessure delle persiane del pianoterra. Chi erano quelle persone? Come erano capitate in quella casa solitaria al limite estremo de Le Mourillon? Che sorta di compagnia era quella, che aveva ottenuto il permesso di penetrare in quella dimora deserta, e perché stavano facendo tanta cagnara?

Il fracasso, simile al rullare di un tamburo di legno, continuava. Continuò per un'altra ora e, all'alba, la porta principale si aprì, e apparve sulla soglia la più radiosa creatura che abbia mai visto. Indossava un abito scollato, e sorreggeva con grazia una lampada, i cui raggi ne illuminavano le spalle divine. Udii distintamente le sue parole che echeggiarono nella notte silenziosa, mentre una sorta di sorriso gentile e mite si disegnava sulle sue labbra: "Buona notte caro amico: all'anno venturo".
A chi erano dirette quelle parole? Mi era impossibile capirlo, poiché non riuscivo a vedere nessuno accanto a lei. Rimase sull'entrata per alcuni minuti, fino a che il cancello del giardino non si aprì da solo, per poi richiudersi. Quindi il portone venne chiuso, e io non vidi più nulla.
Mi sembrava evidente che stavo diventando pazzo oppure che ero in preda a un sogno, poiché capivo bene che nessuno avrebbe potuto attraversare il giardino senza che io lo vedessi.
Era ancora lì fermo nel vano della finestra, incapace di muovermi o di pensare quando, all'improvviso, la porta della casa si aprì nuovamente, e la stessa visione di bellezza riapparve. Anche questa volta sorreggeva una lampada, e anche questa volta era sola.
"Zitti", disse. "Non fate rumore, o disturberete il nostro vicino. Vi accompagnerò."
Sola e silenziosa attraversò il giardino fermandosi al cancello che luccicò sotto i raggi della lampada. Infatti, era così ben illuminato, che riuscii a vedere chiaramente la maniglia che si muoveva da sola, senza che una sola mano vi si fosse poggiata. Il cancello si aprì ancora una volta da solo alla presenza della donna che, per di più, non manifestò il minimo segno di sorpresa. C'è bisogno che sottolinei che dalla mia posizione vedevo sia l'interno che l'esterno del cancello, ossia, in altre parole, che lo vedevo di scorcio?

Quella splendida apparizione fece un grazioso movimento con la testa indicando il buio che mostravano i raggi della lampada, poi sorrise e disse: "Beh, addio fino all'anno prossimo. Mio marito è molto contento. Nessuno di voi ha trascurato di accorrere al suo richiamo. Addio, signori!".
Sentii diverse voci rispondere in coro:
" Addio, madame".
"Arrivederci, cara signora."
"Arrivederci all'anno venturo."
E, mentre la misteriosa ospite si accingeva a chiudere la porta, udii un voce che diceva:
"Oh, la prego, non si disturbi".
Poi la porta si chiuse di nuovo.
Subito dopo l'aria si riempì di uno strano suono; era simile al cinguettio di uno stormo di uccelli, e sembrava come se la giovane donna avesse aperto la porta di una gabbia contenente migliaia di passeri.
Silenziosamente, si avviò verso la casa. Le luci al pianoterra erano spente, ma notai una luce fioca che proveniva da una delle finestre del primo piano.
Quando lei giunse davanti alla casa, chiamò:
"Sei al piano di sopra, Gérard?".
Non riuscii a sentire la risposta, ma la porta principale si richiuse e, pochi minuti più tardi, la luce al primo piano si spense.
Arrivarono le otto di mattina. Io era ancora in piedi lì vicino e fissavo con aria incredula la casa e il giardino che durante la notte erano stati teatro di quegli strani avvenimenti, mentre adesso avevano riacquistato il loro solito aspetto. Il giardino era abbandonato e incolto, e la casa sembrava deserta come sempre.
Infatti sembrava così disabitata che, quando raccontai alla vecchia che veniva a farmi le pulizie gli avvenimenti a cui avevo assistito, lei mi batté ripetutamente il dito sulla fronte mormorando che dovevo aver fumato troppo la mia pipa.

Io non sono mai stato un fumatore di oppio, e la sua risposta mi fornì l'occasione che aspettavo per liberarmi di quella vecchia strega che avevo ingaggiato perché venisse a "dare una pulita" un paio di ore al giorno. Per la verità non avevo bisogno di nessuno, perché sarei ripartito il giorno seguente.
Avevo appena il tempo di radunare le mie cose, fare alcuni acquisti, salutare i miei amici, e prendere il treno per Le Havre. Avevo assunto un impegno con la Compagnia Trasatlantic che mi avrebbe tenuto lontano da Tolone per undici o dodici mesi. Finalmente tornai a Tolone ma, nonostante avessi evitato di menzionare la mia avventura, continuavo a ripensarci di tanto in tanto. La visione della signora con la lampada mi ossessionava ovunque andassi, e le ultime parole che aveva pronunciato salutando i suoi amici invisibili mi echeggiavano nelle orecchie:
"Beh, addio fino all'anno prossimo".
Non smisi mai di pensare a quell'appuntamento. Anche io sarei stato presente, e avrei scoperto, a qualsiasi costo, la soluzione del mistero che mi aveva reso così perplesso: io, un uomo eminentemente pratico, che non credeva agli spiriti o ai fantasmi!
Sfortunatamente dovetti presto imparare che né il cielo né l'Inferno avevano a che fare con quella storia terribile.

Erano le sei della sera quando finalmente rientrai nella mia casa di Tolone. E ci vollero altri due giorni prima che ricapitasse l'anniversario di quella notte incredibile.
La prima cosa che feci quando rincasai, fu di salire in camera e aprire la finestra. Era estate, ed era ancora pieno giorno: i miei occhi scorsero una signora di grande bellezza che passeggiava placidamente nel giardino della casa di fronte, intenta a raccogliere fiori. Sentendo il rumore della finestra che si apriva, alzò lo sguardo.
Era la signora della lampada. La riconobbi, e non mi sembrò meno bella alla luce del giorno. La sua pelle era bianca come i denti di un negro africano, gli occhi erano più azzurri dell'acqua del Tamaris, e i suoi capelli erano soffici e chiari come il grano.
Perché non confessarle tutto? Quando rividi quella donna che aveva turbato i miei sonni per un anno intero, provai una strana sensazione. Quella non era l'illusione di una fantasia malata: lei mi stava di fronte in carne e ossa. Ogni finestra della casa era aperta e decorata con i fiori che aveva raccolto. Non c'era niente di soprannaturale in tutto quello.
Poi lei si accorse di me e subito mostrò di non esserne molto contenta. In pochi passi si avvicinò al centro del sentiero del giardino quando, scuotendo le spalle come se fosse sconcertata, disse:
"Rientriamo Gérard. Comincio a sentire l'umidità della sera".
Lasciai che il mio sguardo vagasse per il giardino. Non percepivo nessuno. A chi erano rivolte le sue parole? Non c'era nessuno!
Era forse pazza? Non lo sembrava proprio.
La vidi ritornare in casa: oltrepassò la soglia, la porta si chiuse, e subito dopo lei chiuse anche le finestre.
Non vidi né udii niente di straordinario quella notte. Il mattino seguente, alle dieci, osservai la mia vicina mentre lasciava la casa, abbigliata come se si accingesse a una passeggiata. Chiuse a chiave il cancello e si diresse verso Tolone.
Uscii anch'io. Indicando la figura elegante che mi precedeva, chiesi al primo commerciante che incontrai se per caso conosceva il nome di quella signora.
"Ma certo! È la vostra vicina. Vive con suo marito a Villa Makoko. Si sono stabiliti lì circa un anno fa, proprio quando siete partito. Sono degli zotici. Non parlano mai a nessuno a meno che non sia strettamente necessario, ma tutti gli abitanti di Le Mourillon, come sapete, vanno per la loro strada e non si sorprendono di nulla. Il Capitano, per esempio..."
"Quale Capitano?"
"Il Capitano Gérard. Pare sia un Capitano della Marina a riposo. Beh, nessuno lo vede mai... Qualche volta, quando deve essere consegnato del cibo alla villa e la signora non è in casa, qualcuno grida un ordine da dietro la porta, dicendo di lasciare tutti i pacchi sulla soglia, e aspetta che vi siate allontanato parecchio prima di aprire e ricuperarli."
Potete immaginare la mia sorpresa nell'udire quelle parole. Andai a Tolone per chiedere alcune informazioni su quelle persone all'agente immobiliare che aveva affittato la villa. Anche lui non aveva mai visto il marito, ma mi disse che il suo nome era Gèrard Beauvisage.
Quando sentii il nome emisi un grido:
"Gérard Beauvisage! Ma io lo conosco bene!"
Era il nome di un mio vecchio amico che non vedevo da venticinque anni. Allora era un ufficiale di Marina ed era partito da Tolone per il Tonchino proprio in quel periodo. Come potevo dubitare che si trattasse proprio di lui? A ogni modo, avevo una valida ragione per vederlo quella stessa sera, benché aspettasse una visita da parte dei suoi amici: infatti era l'anniversario di quella notte famosa. Decisi di riprendere la nostra vecchia amicizia.
Quando tornai a Le Mourillon, vidi di fronte a me, nella strada sfossata che portava a Villa Makoko, la figura della mia vicina. Non esitai, anzi, mi affrettai a raggiungerla.
"Ho l'onore do parlare con Madame Beauvisage, la moglie del Capitano Gérard Beauvisage?", le chiesi con un inchino.
Lei arrossì, e cercò di passare oltre senza rispondermi.
"Madame, io sono il vostro vicino, il Capitano Michel Alban", insistei.
"Oh, perdonatemi, monsieur", rispose. "Mio marito parla spesso di voi... Capitano Michel Alban..."
Sembrava terribilmente impacciata, eppure, nella sua confusione, era ancora più bella, se ciò era possibile. Nonostante fosse evidente che volesse sfuggermi, continuai:
"Come mai il Capitano Beauvisage è tornato in Francia senza avvertire i suoi vecchi amici? Le sarei molto obbligato se riferisse a Gérard che ho intenzione di venire a salutarlo stasera stessa".
Osservando che affrettava il passo, mi inchinai ma, mentre parlavo, lei si voltò, tradendo un'agitazione che era sempre più difficile comprendere.
"Stasera è impossibile... Ma prometto di dire a Gérard del nostro incontro. Questo è tutto quello che posso fare. Gérard non desidera vedere nessuno... nessuno. Vive solo... viviamo soli... e abbiamo preso questa casa proprio perché ci avevano detto che quella accanto era occupata solo per pochi giorni all'anno da una persona che non si vede mai!"
E aggiunse con la voce velata di tristezza:
"Dovete perdonare Gérard, monsieur. Non riceviamo mai visite... da nessuno. Buongiorno, monsieur".
"Madame, voi e il Capitano ricevete delle visite, di tanto in tanto", risposi con impazienza. "Per esempio, so che stasera attendete l'arrivo di alcuni amici, con i quali avete fissato un appuntamento già da un anno."
La giovane signora arrossì violentemente.
"Oh, ma quello è un caso eccezionale... un caso assolutamente eccezionale... Sono dei nostri amici molto particolari."
Non appena ebbe pronunciato queste parole, fuggì, ma, arrestandosi all'improvviso, tornò sui suoi passi.
"Qualsiasi cosa abbiate intenzione di fare, non venite da noi questa sera", mi supplicò, e sparì dentro il giardino.
Tornai a casa mia e cominciai a spiare i miei vicini. Non si mostrarono e, molto prima che facesse buio, vidi che le persiane venivano chiuse e che delle luci penetravano attraverso le fessure, proprio come era avvenuto quella incredibile notte di un anno prima. Ma questa volta non sentii lo straordinario fracasso simile al tonante rullio di un tamburo di legno.
Alle sette iniziai a vestirmi poiché mi ero ricordato dell'abito scollato indossato dalla signora della lampada. Le ultime parole di madame Beauvisage avevano rafforzato la mia decisione. Il Capitano doveva ricevere certi suoi amici quella sera: non avrebbe osato rifiutare di vedermi. Dopo essermi vestito, mi venne l'idea di infilarmi il revolver nella tasca del vestito, ma lo lasciai dov'era, considerandola un'idea sciocca.
In realtà sciocco fu il lasciarlo in casa.
Quando giunsi sulla soglia di Villa Makoko, provai ad abbassare la maniglia del cancello... la stessa maniglia che l'anno precedente si era mossa da sola. Con mia grande sorpresa, il cancello si aprì. Quindi i miei vicini aspettavano visite. Camminai verso la casa e bussai.
"Avanti!", gridò una voce.
Riconobbi la voce di Gérard, ed entrai con fare spedito. Passai attraverso l'ingresso, poi, vedendo socchiusa la porta di un salottino e la luce che ne proveniva, entrai.
"Gérard, sono io!", esclamai. "Il tuo vecchio amico Michel Alban."
"Oh, allora ti sei deciso a venire, caro, vecchio Michel! Ho appena finito di dire a mia moglie che ero sicuro che saresti venuto, e quanto sarei stato contento di vederti... Ma tu sei solo, a parte i nostri amici particolari... Lo sai, caro Michel? Non sei cambiato affatto..."
Sarebbe impossibile tentare di descrivere la mia sorpresa. Sentivo la voce di Gérard, ma non riuscivo a vederlo. La sua voce mi risuonava nelle orecchie, ma non c'era nessuno vicino a me: non c'era nessuno in quel salotto! Quindi la voce riprese:
"Perché non ti siedi? Mia moglie sarà qui tra poco, perché si ricorderà di avermi lasciato sulla mensola del camino!".

Guardai all'insù, e scoprii che sopra di me... poggiato sulla mensola, vi era un busto.
Era quel busto che parlava. Somigliava a Gérard. Era il tronco di Gérard! Era stato piazzato sulla mensola proprio come si usa poggiare i ritratti a mezzo busto sulle mensole. Era tale e quale quelli scolpiti dagli scultori, cioè, senza braccia.
"Non ti posso stringere la mano, caro Michel", disse la voce, "poiché, come vedi, non ho mani. Ma, se ti alzi in punta di piedi, puoi prendermi in braccio e mettermi sul tavolo. Mia moglie mi ha messo qui perché si era arrabbiata: diceva che le ero d'impiccio mentre spazzava la stanza. È proprio un po' strana mia moglie...
E a questo punto il busto scoppiò in una fragorosa risata.
Mi sembrava di essere vittima di un'illusione ottica, come talvolta capita in certi giochi in cui si vedono teste e spalle di persone vive e vegete sospese a mezz'aria, per mezzo di specchi e trucchi. Ma, dopo che ebbi poggiato il mio amico sul tavolo - come mi aveva chiesto -, dovetti ammettere che la sua testa e il suo busto privo degli arti era tutto ciò che rimaneva del brillante ufficiale che avevo conosciuto tempo addietro. Il suo corpo era fissato su una piccola base fornita di rotelle, come certi mutilati privi di gambe, solo che Gérard non aveva neppure dei moncherini. Pensare che del mio vecchio amico non rimaneva altro che un busto!
Aveva dei piccoli uncini al posto delle braccia, e le mie parole non basterebbero a descrivere il modo in cui, facendo leva ora su un uncino e ora sull'altro, egli riusciva a saltare, saltellare, ed a eseguire altri mille agili movimenti dalla tavola a una sedia, e da quella al pavimento, per poi riapparire improvvisamente di nuovo sul tavolo, dove finalmente si abbandonava alle più gaie chiacchiere.

Io invece ero ridotto in uno stato di profonda costernazione. Ero senza parole. Guardavo quel mostro eseguire le sue capriole e dire, con un sorrisino che suscitò le mie preoccupazioni:
"Sono molto cambiato, immagino. Devi ammeterlo, mio caro Michel: quasi non mi riconosci. Hai fatto molto bene a passare stasera. Ne vedremo delle belle! Stiamo aspettando degli amici molto speciali e, come sai, a parte loro, non ho voglia di vedere nessuno... Per una questione di orgoglio. Non abbiamo neanche una persona di servizio. Ma ora aspettami qui: vado a mettermi lo smoking".
Mi lasciò quindi solo e, quasi subito, apparve la signora della lampada. Indossava lo stesso abito scollato dell'anno precedente. Non appena mi vide, sembrò stranamente turbata, e disse con voce innaturale:
"Ah, eccovi qui! Avete commesso un errore, Capitano Michel. Ho riferito il vostro messaggio a mio marito, ma vi avevo proibito di venire questa sera. Devo dirvi che, quando ha saputo che eravate qui, mi ha chiesto di invitarti per questa sera, ma io non l'ho fatto perché", continuò in evidente imbarazzo, "avevo le mie buone ragioni. Abbiamo certi amici molto particolari, un po' difficili... amano il rumore... il fracasso. Forse li avrà sentiti l'anno scorso", aggiunse, lanciandomi uno sguardo di sottecchi. "Beh, mi prometta che andrà via presto".
"Le prometto di andarmene presto, madame", le risposi, e un vago presentimento si impossessò di me mentre sentivo che il senso di quella conversazione mi era completamente sfuggito. "Glielo prometto sinceramente, ma vorrei tanto sapere come mai il mio vecchio amico si trova in questo stato. Quale terribile incidente lo ha ridotto così?"
"Nessun incidente, monsieur, ve l'assicuro."
"Cosa significa 'nessun incidente'? Non siete a conoscenza delle circostanze in cui ha perso le braccia e le gambe? Eppure dev'essere accaduto dopo il vostro matrimonio."
"No, monsieur, no! Mi sono sposata con il Capitano, come voi lo vedete ora... Ma vogliate scusarmi: i nostri ospiti saranno qui a momenti, e io devo aiutarlo a indossare lo smoking."

Mi lasciò quindi solo, e allora cercai di riprendermi dall'effetto di quella notizia: "Aveva sposato il capitano nello stato in cui si trovava tuttora!".
Quasi immediatamente, sentii dei rumori provenire dal vestibolo: erano gli stessi strani rumori che avevano accompagnato l'apparizione della signora della lampada presso il cancello del giardino, e che mi avevano tanto meravigliato l'anno precedente.
Quel rumore fu seguito dall'ingresso di quattro mutilati senza braccia né gambe, sistemati sulle loro piccole piattaforme a rotelle, che mi guardarono con grande meraviglia. Tutti indossavano abiti da sera su misura, e sfoggiavano candidi sparati.
Uno di loro portava dei pince-nez dorati, un altro più anziano degli occhiali, un terzo il monocolo, e il quarto si contentava di squadrarmi con i suoi fieri occhi pieni d'arguzia, in cui si leggeva un'espressione leggermente annoiata. Tutti e quattro, tuttavia, mi salutarono con i loro uncini, e chiesero dove fosse il Capitano Beauvisage.
Dissi loro che si stava vestendo, e che Madame Beauvisage godeva di ottima salute. Quando mi presi la libertà di nominare Madame Beauvisage, mi accorsi che si scambiavano degli sguardi che sembravano tradire una certa aria di scherno.
"Ah, ah! Presumo che voi siate un grande amico del nostro bravo Capitano", disse con voce strascicata il mutilato col monocolo.
Gli altri sorrisero con un'aria molto poco rassicurante, e poi cominciarono a parlare tutti insieme:
"Scusi, scusi, monsieur... Naturalmente siamo molto sorpresi di incontrarvi in casa del nostro bravo Capitano, che giurò il giorno stesso del suo matrimonio che si sarebbe seppellito in campagna, con la moglie, senza ricevere mai nessuno... tranne i suoi amici più intimi, s'intende.

Quando si è così irreparabilmente mutilati come il Capitano ha scelto di essere, e si è sposati a una donna così avvenente, è molto naturale... Ma se, dopotutto, nel corso della sua vita egli ha avuto l'occasione d'incontrare un uomo che, pur non essendo mutilato, sia ugualmente un uomo d'onore, non possiamo che esserne contenti... Congratulazioni, signore""
E ripeterono: "Ne siamo contenti... ci congratuliamo con voi".
Signore Iddio! Quei piccoletti erano proprio buffi! Li osservai senza proferire parola. Altri arrivarono a gruppetti di due o tre, tutti mi guardarono con sorpresa, imbarazzo o ironia. Per parte mia, io ero ammutolito dallo spettacolo che mi si presentava, poiché non avevo mai visto un tale assembramento di uomini senza braccia né gambe.
Ora finalmente cominciavo a capire alcuni degli eventi straordinari che mi avevano tanto turbato. Ma, nonostante la presenza di tutti quei mutilati spiegasse molte cose, il motivo della loro presenza era ancora un interrogativo, come del resto anche la mostruosa unione tra quella donna splendida e quell'orribile avanzo d'uomo.
Per la verità, a quel punto mi era facile capire come mai non ero riuscito a scorgere quei piccoli tronconi ambulanti nel loro tragitto lungo il sentiero bordato di verbena e sulla strada lungo la quale crescevano delle basse siepi. E allora, in verità, mi resi conto che quando avevo concluso che fosse impossibile non vedere una persona che percorresse quel tratto, intendevo in realtà una persona che stesse ritta sulle sue gambe.
La maniglia del cancello del giardino non mi dava più pensiero, e mentalmente potevo facilmente immaginare l'uncino che l'aveva messa in azione.

Sì, era tutto spiegabile: ma mi accorsi, vedendo una strana espressione di gioia nei loro occhi e sentendo il bizzarro tintinnio dei loro uncini, che un segreto terribile rimaneva insoluto, un segreto di fronte al quale tutto ciò che mi aveva sorpreso fino a quel momento non aveva alcuna importanza.
Intanto, Madame Beauvisage era apparsa al fianco del marito. Furono accolti da espressioni di giubilo. Gli uncini "applaudirono" fragorosamente. Ne fu assordato.
Poi si fecero le presentazioni. Si vedevano mutilati ovunque: sui tavoli, sulle sedie, sugli sgabelli, sui piedistalli solitamente occupati da vasi di fiori, e sulla credenza. Uno di loro si era seduto sulla mensola di una cassettiera, e assomigliava a un piccolo Buddha a riposo.
Ognuno mi offrì educatamente il suo uncino. Per la maggior parte sembrava gente che occupava una buona posizione, con titoli e nomi che li ricollegavano a famiglie aristocratiche, ma più tardi seppi che quelli erano nomi falsi, che mi erano stati dati per motivi che più tardi saranno evidenti.

Lord Wilmer era quello che faceva la miglior figura, con la sua barba dorata e i suoi magnifici mustacchi, che accarezzava in continuazione col suo uncino. Non si lanciava dalle sedie al tavolo come gli altri, né aveva l'aria di un enorme pipistrello aleggiante tra le quattro pareti della sala.
"Stiamo solo aspettando il dottore", disse la padrona di casa, che ogni tanto mi lanciava un'occhiata di evidente disperazione, per poi riassumere il sorriso destinato ai suoi piccoli ospiti.
Il dottore finalmente arrivò. Anche lui era un mutilato, ma possedeva entrambe le braccia.
Ne offrì una a Madame Beauvisage, e la condusse verso la sala da pranzo. Con questo voglio dire che lei toccò il suo uncino con la punta delle dita.
La sala da pranzo aveva le persiane chiuse, ed era stata apparecchiata con grandi tovaglie. La tavola, che era imbandita con antipasti e fiori, era illuminata da un grande candelabro. Non vi era frutta.
Una dozzina di mutilati saltarono sulle sedie e cominciarono a infilzare il cibo con i loro uncini. Non era uno spettacolo molto piacevole, e trovai sorprendente il vorace appetito con cui quei pezzi di uomini, che poco prima mi erano apparsi così educati, divoravano la loro cena. Poi, all'improvviso, tutto tacque; i loro uncini si fermarono, e mi sembrò che nella sala regnasse un certo penoso silenzio.
Tutti gli sguardi erano fissi su Madame Beauvisage, che sedeva a fianco al marito, e notai che la donna aveva nascosto il viso nel tovagliolo, e aveva l'aria molto imbarazzata. Allora il mio amico Gérard, battendo insieme gli uncini allegramente, esclamò:
"Beh, miei cari vecchi amici, non possiamo evitarlo. Non possiamo aspettarci di essere fortunati oggi quanto lo siamo stati l'anno scorso. Ma non vi preoccupate; con l'esercizio dell'immaginazione, riusciremo ad essere altrettanto felici quanto lo fummo quando..."
E, volgendosi verso di me, alzò per mezzo dell'ansa il bicchiere che gli stava dinanzi:
"Alla tua, mio caro Michel. A noi tutti!", declamò.
Ognuno sollevò il bicchiere per l'ansa, tenendola con il proprio uncino. I bicchieri tintinnarono in maniera molto elegante.
Il mio ospite continuò:
"Non sembri a tuo agio, mio caro Michel. Ti ricordavo più gioviale. Ma forse è perché ci vede "così", che sei tanto tetro? Cosa ti aspettavi? Noi siamo quel che siamo. Ma lasciamo perdere e troviamo piuttosto il modo di distrarci. Ci siamo incontrati qui, tra amici molto particolari, per celebrare il giorno in cui siamo diventati "così". Non è vero, amici miei della Daphné?
"Allora il mio vecchio compagno", disse con un profondo sospiro il Capitano Michel, "ci raccontò il naufragio della Daphné, una nave che faceva la spola tra la Francia e l'Estremo Oriente. Ci raccontò che la ciurma si era salvata per mezzo delle scialuppe di salvataggio, e come alcuni degli sfortunati passeggeri fossero riusciti a mettersi in salvo su una zattera di fortuna.
Miss Madge, una bellissima giovane che aveva perso entrambi i genitori nella catastrofe, trovò anche lei rifugio sulla zattera. Tredici persone vi trovarono posto; alla fine dei primi tre giorni, tutti i viveri erano stati consumati e, alla fine della settimana, i superstiti erano ridotti alla fame. Fu allora che, come dice la vecchia canzone, decisero di giocare a sorte per stabilire chi sarebbe servito da cibo agli altri.
"Messieurs", aggiunse il Capitano Michel, con voce seria, "probabilmente queste cose sono successe più spesso di quanto si pensi, benché non vengano menzionate, anche perché le grandi onde azzurre spesso suggellano nelle loro profondità questi particolari eventi manducatorii.

Gli occupanti della zattera erano dunque giunti al punto di giocare a sorte, quando improvvisamente si udì la voce del dottore: "Mesdames e messieurs", disse il dottore, "voi avete perso tutti i vostri averi nel naufragio della nave, ma io sono riuscito a salvare la valigetta con i miei ferri e il mio forcipe per arrestare le emorragie. Questo è il mio suggerimento: non vi è motivo di uccidere uno di noi per potercene cibare interamente. Per cominciare, potremmo giocarci a sorte solo un braccio, o una gamba, a piacimento, e vedere quello che ci porta il domani: forse una vela apparirà all'orizzonte...".
A questo punto, i quattro lupi di mare che avevano seguito fin qui il racconto del Capitano Michel, lo interruppero, esclamando:
"Ben detto!"
"Cosa significa 'ben detto?' ", chiese il Capitano Michel corrugando la fronte.
"Sì, ' ben detto'! La sua storia fa ridere. Quelle persone erano pronte a perdere un braccio o una gamba ciascuno: è proprio una storia da ridere, e non c'è niente di spaventoso in tutto questo."
"E così trovate che sia una storia divertente!", brontolò il Capitano, che si era irrigidito per la stizza. "Beh, vi giuro che, se foste stati seduti tra quei mutilati con gli occhi che brillavano come tizzoni, e aveste sentito quella storia, non ci avreste trovato molto da ridere… E se aveste potuto notare quanto si agitavano sulle loro sedie! E con che vivacità si agganciavano tra di loro dai due lati della tavola! La loro grande gioia mi sembrava evidente, ma non ne comprendevo il motivo, e questo aumentava la mia preoccupazione."
"No, no", lo interruppe nuovamente Chaulieu, il vecchio Chaulieu, "la vostra storia non è affatto paurosa. É semplicemente comica perché è logica. Volete che indovini io il finale della storia? Poi mi direte se ho indovinato o meno. I naufraghi sulla zattera tirarono a sorte. Toccò a Miss Madge perdere uno dei suoi arti ben torniti. Il vostro amico il Capitano, che è un gentiluomo, si offrì di sacrificare i suoi, e si fece amputare tutte e quattro le membra, per far sì che Miss Madge rimanesse incolume."
"Sì, amico mio, lei ha indovinato. È andata proprio così", esclamò il Capitano Michel che provava un forte desiderio di rompere la testa a quegli imbecilli che ridevano del suo racconto. "Sì, e inoltre, quando alla fine si trattò di tagliare le membra di Miss Madge dopo che si erano tagliate tutte quelle degli altri sopravvissuti, e tutti i naufraghi - eccetto la giovane e il dottore, che non era stato privato delle braccia, ovviamente - avevano perso le braccia e le gambe, il Capitano Beauvisage ebbe il coraggio di farsi tagliare perfino i poveri moncherini che gli erano rimasti dalla prima operazione."
"E la giovane donna non poté non concedere all'eroico Capitano la mano che egli aveva salvato in maniera così eroica", si intromise Zinzin.
"Ma certo!", bofonchiò nella barba il Capitano. "E voi la considerate una cosa divertente!"
"E mangiarono la carne completamente cruda?", gli chiese quello sciocco di Bagatelle.
Il Capitano Michel colpì il tavolo con un pugno così sonoro, che i bicchieri si misero a ballare come palline di gomma.
"Basta così, tacete tutti!", gridò. "Tutto quello che vi ho raccontato non è ancora nulla. Ora comincia la parte più terribile."
I quattro amici si scambiarono uno sguardo sorridendo, e il Capitano Michel impallidì. A quel punto, vedendo che si erano spinti troppo oltre, abbassarono il capo.
"Sì, la cosa più spaventosa", continuò Michel con la sua espressione più tetra, "era dovuta al fatto che quelle persone furono salvate dopo un mese da un legno cinese che li fece sbarcare da qualche parte sullo Yang-Tse-Kiang, dove si separarono, ma ancora più terribile fu il fatto che quella gente aveva ormai cominciato ad apprezzare il gusto della carne umana.

Quando ritornarono in Europa, si riunirono una volta l'anno per ripetere il più fedelmente possibile il loro abominevole banchetto. Beh, signori, non ci misi molto a scoprirlo! Prima di tutto, certi piatti che Madame Beauvisage in persona aveva portato in tavola erano stati accolti con un'aria assai poco entusiasta. Benché si fosse permessa di dichiarare, con aria molto poco sicura, che erano quasi la stessa cosa, gli ospiti si astennero tutti dal farle i complimenti. Solo certe fette di tonno erano state accolte con un certo favore, per il fatto di essere "ben tagliate". Per usare l'espressione del dottore, e "benché il sapore non fosse del tutto soddisfacente, l'occhio poteva essere tratto facilmente in inganno". Ma il mutilato con gli occhiali fu lodato da tutti quando dichiarò che non erano saporite quanto l'idraulico.
"Sentendo quelle parole mi si gelò il sangue nelle vene", ringhiò il Capitano Michel con voce roca, "perché mi ricordai che pressappoco in quel periodo - un anno prima - un idraulico era caduto da un tetto vicino all'Arsenale, rimanendo ucciso, ed era stato recuperato l'intero corpo meno un braccio.
Allora... proprio allora... non riuscì a fare a meno di pensare al ruolo che la mia bellissima vicina doveva aver necessariamente giocato in quell'orribile dramma culinario. Mi voltai a guardarla, e notai che aveva nuovamente indossato i guanti, un lungo paio di guanti che le coprivano le braccia fino alle spalle, e che si era coperta le spalle con uno scialle, in modo da nasconderle totalmente. Il commensale alla mia destra - il dottore - l'unico che come vi ho detto aveva conservato intatte le braccia, aveva indossato anche lui i guanti.

Invece di preoccuparmi di scoprire la ragione di quella ennesima stranezza, avrei fatto bene a seguire il consiglio che mi aveva dato Madame Beauvisage all'inizio di quella festa infernale, ossia di lasciare presto la villa: un ammonimento che lei non aveva più ripetuto.
Madame Beauvisage, dopo aver dimostrato nei miei confronti un certo interesse misto di pietà durante la fase iniziale di quell'incredibile festino, ora evitava di guardarmi, e assunse un atteggiamento che mi addolorò molto nella più abominevole conversazione che io abbia mai udito. I nanerottoli si erano lasciati andare a vivaci recriminazioni e alle più calde congratulazioni circa i rispettivi appetiti, facendo un gran chiasso con i loro uncini e bicchieri.
Con orrore vidi Lord Wilmer, che fino allora era stato molto composto, "venire agli uncini" con il mutilato col monocolo, a causa del fatto che, una volta, sulla zattera, quest'ultimo lo aveva accusato di essere coriaceo. La padrona di casa era riuscita con grande difficoltà a ristabilire la verità, rispondendo al nano monocoluto - che ai tempi del naufragio doveva essere stato un giovane virgulto - che anche il sapore della carne di un animale troppo giovane non era stato molto piacevole."
"Questa è proprio da ridere!", sbottò Dorat, il vecchio marinaio.
Il Capitano Michel era sul punto di saltargli al collo, anche perché gli altri tre vibravano di ilarità repressa, che sfogavano di tanto in tanto con strane piccole risatine. Il Capitano riusciva a controllarsi a stento. Dopo aver sbuffato come una foca, si rivolse all'incauto Dorat:
"Monsieur, voi avete ancora due braccia, e io non desidero che ne perdiate una come capitò a me in quella notte, per farvi capire quanto questa storia sia spaventosa.
I mutilati avevano bevuto molto. Alcuni saltarono sulla tavola e mi circondarono, e stavano squadrandomi le braccia in maniera molto imbarazzante, tanto che finii per nasconderle alla vista quanto possibile, affondando le mani dentro le tasche.
Mi resi conto allora, e il pensiero mi allarmò, del motivo per cui Madame Beauvisage e il dottore, le uniche due persone che avevano ancora le braccia e le mani, non le mostrassero. D'un tratto compresi il significato dell'improvviso lampo di ferocia che vedevo negli occhi di alcuni di loro.
In quel preciso istante, come volle il caso, ebbi bisogno di usare il mio fazzoletto, e istintivamente feci un movimento, mostrando la pelle bianca sotto la manica. In un lampo tre uncini acuminati si abbatterono sul mio polso, entrandomi nelle carni. Urlai forte."
"Basta così, Capitano, basta così!", esclamai, interrompendo il racconto del Capitano. "Avevate ragione. Me ne vado. Non posso sopportare oltre."
"Rimanete, monsieur!", rispose il Capitano in tono perentorio. "Rimanete, monsieur, perché presto avrò terminato questo terribile racconto che ha fatto tanto ridere questi quattro imbecilli. Quando un uomo ha sangue focese nelle vene", aggiunse in tono di disprezzo volgendosi verso i quattro vecchi marinai che stavano evidentemente cercando di soffocare le loro risa, "quando un uomo ha sangue focese nelle vene, non c'è nulla da fare.

E quando un uomo vive a Marsiglia, è destinato a non credere mai a nulla. E quindi è per lei, solo per lei, monsieur, che io racconto questa storia, e le assicuro, non mi soffermerò sui dettagli più terribili, sapendo quanto riesce a sopportare un vero gentiluomo.
La tragedia del mio martirio procedette così speditamente, che ricordo solo le grida inumane, le proteste di alcuni e l'accorrere di altri, mentre Madame Beauvisage si era alzata in piedi, mormorando:
"State attenti, non fategli del male!".
Cercai di balzare in piedi, ma ormai un nugolo di mutilati impazziti mi aveva circondato; con uno sgambetto mi fecero cadere al suolo. Compresi che ormai mi tenevano prigioniero con loro orribili uncini come se fossi un pezzo di carne appesa nella bottega del macellaio.
Sì, monsieur, le risparmierò i dettagli: le ho dato la mia parola. Anche perché non potrei fornirglieli, poiché non vidi l'operazione. Il dottore infatti mi mise un tampone imbevuto di cloroformio sulla bocca come bavaglio.
Quando rinvenni, ero in cucina, e avevo perso il braccio. I mutilati erano tutti intorno a me. Avevano smesso di litigare, e sembravano uniti da una commovente armonia. In realtà erano in uno stato di ebetitudine tale che le loro teste ciondolavano come bambini assonnati dopo un grande pranzo, e non avevo dubbi che avessero iniziato, ahimè! a digerirmi... Ero steso a terra, ben legato, senza potermi muovere di un millimetro, ma riuscivo a vederli e a sentirli. Il mio vecchio compagno, Gérard Beauvisage, piangeva di gioia mentre esclamava:
"Non avrei mai creduto che tu fossi così tenero!".
Madame Beauvisage non era presente, ma anche lei doveva aver preso parte al festino, perché udii qualcuno chiedere a Gérard se sua moglie aveva gradito la sua parte.
Sì, monsieur, ho terminato il mio racconto. Quegli orribili mutilati, avendo soddisfatto la loro voglia, si resero finalmente conto della loro malvagità. Si dileguarono, e Madame Beauvisage scomparve con loro. Lasciarono le porte spalancate, ma ci vollero quattro giorni prima che qualcuno venisse a liberarmi, quando ormai ero mezzo morto dalla fame...
Quei miserabili non mi avevano lasciato nemmeno l'osso del mio braccio!"





Il brano è tratto da: Storie macabre, Roma,Tascabili Economici Newton, 1995
traduzione di Gianni Pilo



Gaston Leroux, scrittore parigino della seconda metà dell'Ottocento, autore di Il fantasma dell'Opera, è considerato il più grande creatore di storie di orrore del suo tempo, e La cena dei busti è un celebre classico del genere.




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