SAN NICOLA A BOMBAY

- Tratto dall'antologia San Nicola - Agiografia immaginaria, Dieci Racconti di scrittori migranti -

Laila Wadia






Dire che ero povera ma felice non è un cliché, è davvero la sintesi della mia infanzia indiana alla comparsa di Nicoletta. La mia amica, figlia di un diplomatico italiano, portò una ventata di emozioni nuove nella mia vita e, da quel momento in poi, entrambi gli aggettivi assunsero dei connotati più intensi.
In principio, l'innocenza dei miei sei anni mi protesse da tormenti legati alla nostra diversa posizione sociale. Non mi toccava il fatto che Nicoletta vivesse in un appartamento di lusso con l'aria condizionata e io in un sottoscala.
Anche quando affiorava qualche dubbio sul nostro status così diverso, nonostante avessimo la stessa età e la medesima passione per le bambole e le fiabe, bastava un raggio di sole a farlo svanire.
Ai miei occhi tropicali Nicoletta era una fata mandata a riempire la mia vita di sogni e di speranze. Non mi importava di andare alla scuola municipale gratuita mentre lei frequentava un'esclusiva scuola privata. Non mi accorsi nemmeno di girare sempre scalza per casa mentre lei indossava delle scarpe da ginnastica firmate. Al massimo ero incuriosita dalle nostre diverse abitudini alimentari.
A casa di Nicoletta mangiavano strani fili bianchi chiamati spaghetti che si arrotolano come matasse di lana su una forchetta e stranissime fette rosa che chiamavano prosciutto. Rifiutai di assaggiare entrambi.
Non erano le nostre differenze che risaltavano ai miei occhi. Erano i nostri interessi comuni a legarci come gemelli siamesi, quella passione sfrenata per i giochi fantastici che ci fece superare l'iniziale barriera linguistica.
Non importava dove vivevo e con quanti soldi, quello che contava era di poter tornare a cada da scuola, sbrigare i compiti e correre a perdermi in un mondo abitato da elfi e gnomi e bellezze bionde come la mia amica del cuore.
Chiaramente Nicoletta non poteva passare tutto il suo tempo libero con me.
Doveva frequentare ragazzi del suo rango: in piscina, al tennis, al maneggio. Poi aveva lezioni di ballo e di pianoforte da seguire. Ma quando era occupata, io passavo il tempo a giocare con le vecchie bambole e i vestiti smessi che la sua mamma, la signora Margherita, mi aveva regalato. Perciò era come se Nicoletta fosse con me anche quando non c'era.

La nostra amicizia s'incrinò per la prima volta tre anni più tardi, quando Nicoletta chiese a suo padre se al posto di San Nicola che giungeva come magico ospite alla festa che si teneva a casa sua ogni 6 dicembre, poteva invece venire un principe indiano. La festa di San Nicola era il giorno più importante per la mia amica, perché oltre alla festività religiosa molto sentita dalla sua famiglia originaria di bari, era anche il suo onomastico. Quel giorno era anche il mio compleanno. Ma con gli anni, mentre per lei quella festa diventava sempre più bella, per me diventava sempre più triste.
Una volta c'era sempre mio padre ad aiutarmi a spegnere le candeline sulla torta che la mamma mi preparava. dall'arrivo degli italiani non c'era più traccia di mio padre il giorno della mia festa. Spariva dalla mattina alla sera e a dire la verità, sparì anche il rito della torta visto che passavo il pomeriggio a casa di Nicoletta, insieme ad altri bambini. La signora Margherita faceva preparare per me una piccola torta, simile a quella che sarebbe stata servita dopo ai loro ospiti. La tagliavo in cucina, assieme alla mamma e agli altri domestici, prima dei festeggiamenti ufficiali.
- Ma perché papà mi fa gli auguri sempre il giorno prima e poi sparisce per la mia festa? - domandavo dopo aver spento le candeline in cucina e tutti improvvisamente si giravano dall'altra parte. La mamma, invece, mi lanciava certe occhiatacce per ricordarmi il discorso che mi aveva fatto la sera precedente: "papà doveva dare una mano per i preparativi della festa del Santo. Se osavo dire che il padre di Nicoletta era sempre presente alla festa, mi veniva replicato che lui era cattolico e perciò aveva il diritto di restare in famiglia e festeggiare."

Ogni dicembre desideravo ardentemente diventare cattolica. Essere cattolici significava avere un albero pieno di luci in casa per tutto il mese, mangiare dolci a non finire, avere accanto il padre sorridente e disposto a cantare canzoni stonate e ultima cosa, ma non meno importante, stare sulle ginocchia di San Nicola. Ecco, San Nicola era un altro enigma di questo strano giorno di festa. Sapevo tutto sul Santo perché Nicoletta mi aveva raccontato la sua storia e nel soggiorno di casa sua c'era un quadro del Vescovo con in testa uno strano cappello e un mantello rosso sulle spalle.
Ogni anno, alle 16 in punto il giorno della festa, entrava in scena a casa di Nicoletta un uomo tutto vestito di rosso. Era diverso dal Babbo Natale che frequentava le vetrine dei grandi magazzini di Beach Candy o di Worli - questo signore che veniva a farci visita con bastone in mano e un sacco di regali sulle spalle era alto, magro e scuro di pelle con una lunga barba bianca.
San Nicola porta i doni agli italiani mentre Babbo Natale li porta agli americani. In America sono tutti più grassi, mi spiegò Nicoletta.
Non ebbi motivo per non crederle, ma se non fosse stato per gli strani indumenti e la barba avrei potuti giurare che l'uomo che ci distribuiva delle calze piene di dolciumi, era mio padre. Aveva lo stesso sguardo ipnotico e lo stesso modo di trascinare leggermente la gamba sinistra rimasta menomata in seguito ad un incidente stradale di qualche anno prima. Questo bizzarro signore aveva il sorriso stampato sulle labbra, ma riuscivo a cogliere il terrore nei suoi occhi quando un bambino gli saliva in grembo. Da come teneva stretta la sua barba, compresi che aveva paura che qualcuno gliela toccasse. Avrei tanto voluto accarezzare quella barba, ma mentre mi era concesso condividere ogni cosa con i ricchi bambini cattolici - cantare, giocare, mangiare di tutto e di più - non mi era permesso salire sulle ginocchia del Santo. Accettai il divieto a malincuore, consapevole che non potevo protestare in pubblico.

* * *


- Dove posso trovare un principe indiano per mia figlia? - Sentì la domanda che il papà di Nicoletta, il signor Osvaldo, fece a mio padre e mi si raggelò il sangue. Allora il sogno della mia amica sarebbe stato coronato davvero? Ma perché un principe indiano? Non poteva scegliersene uno simile a lei? Confesso che il mio ottavo compleanno mi regalò quattro centimetri in altezza e il doppio in invidia.
- Anch'io vorrei un principe per il mio compleanno - cominciai a piagnucolare. A differenza di Nicoletta, i miei capricci avevano vita breve e presto mi trovai con un sedere ammaccato e la bocca tappata. A quel punto, visto che non potevo cambiare mamma, decisi di cambiare strategia. Dalla camera da letto di Nicoletta, sottrassi la foto di San Nicola che teneva sotto il vetro del comò. Era un santino che ritraeva il vescovo su un cavallo bianco, attorniato da bambini. La mia amica non si accorse della mancanza, ma da quel giorno io non potei avvicinarmi a quel mobile senza diventare tutto un fremito.
Nascosi il santino sotto il materasso e quando ero sola lo baciavo e ripetevo le strane parole scritte dietro all'immagine sacra. Poi recitavo una preghiera indù, l'unica che conoscevo, e terminavo il rito implorando il Santo di mandare un principe azzurro anche per me.

* * *


Nicoletta mi confidò d'essere diventata impopolare a scuola.
- Nessuno mi crede quando dico che verrà un principe indiano alla mia festa - singhiozzò.
Non seppi come reagire. Non credevo a questa storia nemmeno io, ma mi dispiaceva vederla così triste.
- Cosa t'importa anche se non viene - cercai di consolarla, ma ottenni l'effetto contrario - Nicoletta andò su tutte le furie. Più si avvicinava il giorno del suo onomastico, più diventava insopportabile e io finii per passare molto tempo sa sola a casa mia.
Qualche giorno prima della festa notai dei movimenti strani in casa, ma assorta noi sogni del mio principe azzurro, non feci molto caso quando la mamma entrò in cucina con un sacchetto di plastica pieno di collane di perle. Nessun campanello d'allarme suonò nella mia testa nemmeno più tardi quando le chiesi se potevo giocare con le perle e lei fece finta di non sapere di cosa stessi parlando e mi mandò dal fruttivendolo ad acquistare dei mango.
Papà rientrò tardi la sera prima del mio compleanno. Mi diede il mio regalo - un bellissimo libro di fiabe indiane - perché non sarebbe stato a casa al mio risveglio.
- Ma perché non ci sei mai? - protestai.
- Su, non cominciare a frignare di nuovo. Non siamo cattolici e questa non è la nostra festa perciò sai benissimo che papà deve lavorare. Lo fa per mandarti a scuola e poi all'università e infine per trovarti un buon marito un giorno - mi rimproverò la mamma ricordandomi che San Nicola era un santo molto importante anche per una ragazzina indiana visto il miracolo della dote che avrei avuto grazie al fatto che loro lavoravano presso quella famiglia.
Mi girai dall'altra parte nel letto e pregai San Nicola di mandarmi il mio principe azzurro in sella ad un cavallo bianco. Alla dote ci avrei pensato più avanti.
Credo d'averlo sfinito con le mie suppliche quella notte.
L'indomani mattina volò, Diedi una mano alla mamma a lucidare l'argento, aiutai la signora Margherita a sistemare i vasi di fiori, rassicurai Nicoletta che il suo vestito era splendido, i capelli pure, e che qualora fosse venuto il suo principe si sarebbe follemente innamorato di lei. Dopo pranzo indossai un bellissimo vestito rosa che Nicoletta non usava più, mi spazzolai i lunghi capelli neri e infilai una fila di gelsomini freschi nella mia treccia. Passai anche un po' di olio sulle labbra per farle luccicare.
Verso le 15 arrivarono gli ospiti ma Nicoletta rimase chiusa nella sua stanza a piangere. Poi, alle 16, si udirono delle urla e tutti corsero al balcone dal quale la mia amica si stava letteralmente per buttare di sotto.
- È arrivato! È arrivato! - urlava come una matta.
Mi feci largo per vedere cosa stesse succedendo e non riuscii a credere ai miei occhi. In sella al cavallo più bianco di questo mondo c'era l'uomo più affascinante che possa esistere: un maragià con un turbante color turchese, tutto vestito di bianco, con una enorme spada tempestata di pietre preziose in mano e delle lunghe file di perle attorno al collo.
Nicoletta corse incontro al suo principe, ma l'uomo non parlava l'inglese. Comunque i suoi genitori le diedero il permesso di andare a fare un giro a cavallo sostenendo che non servono le parole quando sei con il tuo principe azzurro.
- Io posso parlare marathi, gujerati, hindi... - gridai, tirando per la manica la giacca del signor Osvaldo - Potrei tradurre per Nicoletta!
Il Signor Osvaldo fece finta di non sentirmi. Nicoletta saltò tra le braccia del suo principe e sparirono per quasi un'ora. La mia amica tornò tutta raggiante, il principe, visibilmente imbarazzato. In quell'interminabile intervallo di tempo avevo scrutato l'orizzonte in ricerca di un cavaliere mandato da San Nicola per me, ma i miei occhi incrociarono solo lo sterco lanciato dall'unico quadrupede che aveva calpestato il cortile quel giorno.
- Digli di portarmi via per sempre con lui, digli di darmi il suo anello di zaffiro come pegno d'amore! - Nicoletta si rifiutava di scendere dal cavallo.
Tradussi, esitante, ipnotizzata dal viola profondo degli occhi di quest'uomo che mi sembrava così familiare per certi versi. Si vede che l'ho sognato talmente tanto che mi sembra di conoscerlo, mi dissi.
Il principe non risponde alle domande che gli feci e mi venne da pensare che fosse affetto da mutismo. Solo alla fine, quando intervennero il Signor Osvaldo e la Signora margherita per liberarlo dalla morsa in cui lo teneva Nicoletta, mormorò in hindi, con un accento strano, che sarebbe tornato presto. Aggiunse che non poteva consegnarle l'anello di zaffiro ora - l'avrebbe dato al momento giusto alla ragazza a cui avrebbe chiesto di diventare la sua principessa.
Io, con gli occhi sbarrati chiesi se aveva notizie di un altro principe che sarebbe dovuto passare di qui. Sorrise enigmatico e, in un lampo, lui e la magnifica bestia che cavalcava svanirono nel nulla. Tra pianti disperati e promesse d'amore eterno, Nicoletta tornò alla sua festa. Io rincasai sotto il peso delle lacrime non versate e andai dritto da San Nicola ad accusarlo di razzismo.
Papà rincasò tardi e quando venne a darmi il bacio della buonanotte, feci finta di essere addormentata, ma lo sentii lamentarsi di un bruciore agli occhi a causa di quelle lenti colorate che aveva portato.
Quella notte dormii agitatissima, sognando cavalli, bufere di neve che avevano impedito al mio principe di raggiungermi. Sognai San Nicola che mi guardava con due occhioni tristi mentre mi accarezzava la testa e mi consegnava un sacchettino pieno di monete d'oro...
L'indomani decisi che era venuto il momento di restituire il santino alla sua legittima proprietaria. Forse il mio principe non era venuto perché avevo rubato quell'immagine della camera di Nicoletta! Anche se San Nicola proteggeva persino i ladri, nessuno vuole in sposa una disonesta, men che meno un maragià.
Alzai l'angolo del materasso per prendere il santino e trovai accanto al volto del Santo un bellissimo anello di zaffiro.




(Tratto dall'antologia San Nicola - Agiografia immaginaria, Dieci Racconti di scrittori migranti, Edizioni la Meridiana, Bari, 2006.)



Laila Wadia: Narrastorie, insegnante e traduttrice nata a Bombay, in India. Vive a Trieste dove lavora, brontola per la bora triestina e scrive, scrive, scrive. Ha pubblicato Il Burattinaio e altre storie extraitaliane (www.cosmoiannone.it) e Pecore nere (Laterza editori, 2006).



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