PAUTASSO BIANCO
-
Raccontro tratto dal libro Afro-beats -
Piersandro Pallavicini
Ho scaricato l'acqua e Serge ha fatto lo stesso nella toilette di fianco alla
mia. Abbiamo aperto le porticine istoriate e siamo usciti insieme, con movimenti
paralleli. Ci siamo sorrisi come due silfidi del nuoto sincronizzato, abbiamo
raggiunto i lavandini con gli stessi passi, abbiamo aperto l'acqua, schiacciato
il pulsante del distributore del sapone, insieme. - Bello - ho pensato io,
prendendolo come un segno, un buon auspicio per la serata. Abbiamo messo le mani
sotto l'acqua. - Fredda! - ho detto io, rabbrividendo. - Minchia! - ha sghignazzato
lui. Poi il ragazzo ivoriano mi ha detto questa cosa: - Tu che sei ricco:
me lo trovi un lavoro? E la questione non era quella di guadagnare davvero:
la questione era quella di avere un contratto qualsiasi, anche fittizio, anche
per un impiego fasullo. Per ottenere il permesso. L'ho capito mentre le mani ce
le asciugavamo sotto lo stesso getto d'aria. Mi stava chiedendo quello, e non
gli importava che fosse illegale. Non sapevo cosa rispondergli. Ho fatto una
risata, ho detto: - Dai, Serge, che le signore sono già in macchina
e mi sono sbrigato a tornare nel parcheggio e a mettermi al posto del guidatore. Affronto
la strada con calma, disegnando le curve con traiettorie morbide. Diana è
seduta di fianco a me, nel posto del passeggero. Mia moglie, Marcella, è
dietro insieme a Serge. Li vedo nel retrovisore: stanno spalla contro spalla,
come due bambini, a guardare, nel varco tra i sedili anteriori, il nastro d'asfalto
che sale. Andiamo su, l'autostrada l'abbiamo lasciata da un pezzo, Alba è
già alle nostre spalle. lo non so niente della zona, e sto a quel che mi
dice il navigatore satellitare. L'Albergo Masoero - quattro stelle, voto 18/20
nella recensione di Raspelli su TTL, nemmeno un mese fa - sarebbe qui, a dodici
minuti, sulla provinciale. Tengo d'occhio la strada, pulita nonostante il mezzo
metro di neve caduto l'altro ieri, e lancio occhiate rapide ai miei tre passeggeri.
Anche se è inverno - fuori ci sono due gradi - Serge, all'autogrill, prima
di rientrare in macchina si è tolto il giaccone di pelle. Sotto ha soltanto
una t-shirt di lana, aderente, nera. La sua pelle di africano è setosa,
e i suoi muscoli, disegnati bene, giocano intorno al collo e alle braccia, mentre
cerca di tenersi su e non pesare troppo addosso a Marcella. Mia moglie ha un turtleneck
beige, di cachemire, con sotto nulla: niente reggiseno, niente maglia. Sembra
nuda, ed è bella più del solito in questo pomeriggio, nella luce
bianchissima del sole che irradia dalla neve qui in alto, dove la foschia è
svanita, l'aria è liquida e il cielo sereno, blu scuro. Diana? Diana
ha una camicia rosa, di velluto, un po' troppo corta, ed è accovacciata
col sedere rivolto dalla mia parte: sopra la vita bassa dei pantaloni puoi vederle
girare il filo, bianco e semplice, dei suoi slip modello string. Cambio marcia.
Con il dorso dell'indice le sfioro la pelle nuda sul fianco sinistro. Lei sorride.
Sorrido anch'io, accelero dolcemente, e il motore della mia Jaguar risponde educato.
Sorpresa: la pelle di Diana è morbida e liscia come quella di una ragazzina. Le
daresti tutti i cinquant'anni che ha, a Diana. Non è alta, non è
magra, una quinta abbondante col reggiseno corazzato che la sostiene, il volto
segnato. Ma la pelle - già: sorpresa - la pelle è splendida. Come
quella di Marcella, che ha vent'anni meno di lei. Come quella del suo ragazzo
Serge, l'ivoriano col soggiorno in bilico, che di anni ne avrà trenta anche
lui, ma ne dimostra solo ventidue. Dieci minuti alla meta, dice il navigatore. -
Guarda... - dice Marcella, rizzando la schiena, poggiando i gomiti sui sedili
anteriori, indicando fuori, verso una collina e un boschetto bianco, abbagliante
di neve - Sembra una location del Partigiano Johnny. Mi stringo nelle spalle,
annuisco. Il film l'ha visto solo lei, su SKY, martedì scorso. lo leggevo.
Mi dà fastidio che dica location, ma non è di certo questo il momento
di rimarcarlo, di fare il noioso... - Sì, può darsi - dico, annuendo
di nuovo. Mentre Serge si sistema sul sedile, dice "minchia" a sproposito
e continua a guardar fuori, e Diana invece mette su un'espressione guardinga e
chiede: Location, qui? Dici di un film? Marcella mantiene un'espressione
indecifrabile sul viso. Neutra. Come se una qualche patologia le impedisse di
contrarre i muscoli facciali e mostrare alcuna emozione. Dice: Sì, una
cosa italiana. Una storia di partigiani, che... Sta per aggiungere qualcos'altro
ma si ferma, alza le spalle, rinuncia. Colgo il suo sguardo, nello specchietto
retrovisore, e le strizzo un'occhio. Lo sta facendo per me, lo so bene. Tacere
adesso ma anche essere qui oggi: lo sta facendo per me. Forse anche un po' per
Serge, che è abbastanza del suo genere e a parte dire troppo "minchia"
non è niente male. Ma è a me che si sta sforzando di fare una specie
di regalo. L'albergo è minuto, caldo, profumato di legno e di cera,
con una tappezzeria fané e arredato. ...come dire? Vagamente alla francese.
E il signor Masoero, proprio lui, alla reception non risparmia in sorrisi e indossa
un completo di fustagno. verde scuro, con le toppe di pelle marrone ai gomiti.
Le valige, come diceva Raspelli sul giornale, ci tocca portarcele su noi a mano,
ma ne vale la pena: Masoero ci ha dato una stanza che dà sulla valle, non
sul parcheggio, e la vista ti apre il respiro. Diana e Serge hanno la stanza
di fianco alla nostra. Salendo lui non ha detto una parola, se non la sua solita.
Non sorrideva, portava la valigia, lanciava qualche occhiata a Marcella. - Minchia
quando è cominciato il secondo giroscale. Diana ha provato a dire, un po'
scherzando e un po' no: - Entriamo con voi? C'ho un languorino... Io avrei
avuto anche voglia di dirle di sì - molta voglia, a dire il vero - ma invece
ho fatto una risatina furba, e ho detto: Calma, calma. Non corriamo, che se
si cade ci si fa male - e ho aperto la porta della nostra camera e mi sono infilato
dentro con Marcella. Questo - rispettare il programma: tra un po' l'aperitivo
giù al bar, poi la cena al Masoerino, poi, appunto con calma, il resto
- lo faccio per lei. Per mia moglie. Per ricambiare la pazienza di prima, e la
sua pazienza nelle chiacchiere faticose scambiate le due volte che ci siamo visti
al Cova di via Montenapoleone con questa specie di vecchia gallina assatanata
di Diana e col suo amichetto nero che lei si terrà di sicuro a casa tutto
nudo e tutto clandestino. Ho capito che Marcella l'ha capito. E nel nostro
minuetto di reciproci favori, ho apprezzato che abbia alzato gli occhi al cielo
solo quando siamo stati dentro. Quando, insomma, l'assatanata gallina non poteva
vederla e quando, anche, pensava che nemmeno io sarei riuscito a vedere quel piccolo,
silenzioso, sobrio sfogo. Una doccia, un cambio di biancheria, gli stessi abiti
di prima, e alle sei meno un quarto siamo giù al bar. Mentre aspettiamo
Serge e Diana, e beviamo un Vermouth bianco magnifico di una cantina mai sentita
della zona - ma consigliatissima dal Masoero - Marcella torna sulla faccenda della
location e viene fuori questo. No che non l'hanno girato qui, ma su per quel
vallone che lei dice, là in basso, c'erano mio zio e la sua brigata. Così
il nostro eccellente ospite e albergatore. Figurarsi Marcella. In cinque minuti
già cinguetta con il Masoero, già lui tira fuori le fotografie ingiallite
del vecchio zio e dei compagni, già fissano un appuntamento - per domani
mattina, deo gratias - per i cimeli che lui tiene nell'appartamentino ricavato
sul retro del ristorante. E meno male che poi arriva una piccola comitiva "terza
età", alla reception, e Masoero deve lasciare la postazione al baretto.
Meno male. Perché benissimo che Marcella sia felice ed entusiasta, benissimo
che, per caso, finalmente le venga fuori uno non mitomane che magari per la mostra
satellite a Palazzo Codevilla le darà qualcosa di prima mano - la Settimana
Letteraria è in aprile, e lei non ha ancora trovato niente di che - ma
per favore, dico io, finendo in un sorso il Vermouth marca Pautasso, un po' di
stacco dal lavoro. Un po' di enfasi in meno. Un po' di torbido almeno oggi, dai. Nel
culo, glielo metto, alla Cepollaro - ghigna Marcella, continuando a rimirare l'album
delle fotonotevole, è da ammettere, insieme a quel che pare abbia in casa
il Masoero. Alza il dito medio rigido e vibrante, con forza, con rabbia. Io ammicco
e rido. La Cepollaro è la dirigente rivale: ufficio turismo contro ufficio
cultura. Che il terna della Settimana Letteraria quest'anno sia la Resistenza
è un'idea di Marcella, cultura. La Cepollaro, turismo, è di Forza
Italia. Figurarsi. Bravissima Marcella a darla a bere a quei coglioni di destra
dell'amministrazione: - Chi si potrà mai permettere di attaccarvi più,
se voi fate una Settimana centrata sulla Resistenza? - aveva detto mia moglie
al Sindaco. Uno di Alleanza Nazionale, e di quelli convinti, capaci anche di farti
il saluto romano. -A quello gli ha sorriso anche il culo - mi aveva raccontato
Marcella. Aveva posto un paio di condizioni (niente enfasi sul comunismo! Niente
enfasi sulla violenza!), mia moglie gli aveva detto "ma certo", et voilà:
Resistenza sdoganata presso l'estrema destra della Casa delle Libertà. Alla
Cepollaro, che mica è scema, la sotterranea inculata non era andata giù.
E stava compiacendosi come una strega crudele a vedere che Marcella non trovava
niente di bello da mettere nella mostra satellite. Faceva l'equazione: niente
di bello = niente pubblico alla mostra di Palazzo Codevilla = dimostrazione che
della Resistenza, a Gallarate, non gliene fotte niente a nessuno. - Assolutamente
bestiale... - dice mia moglie, fantasticando, buttando giù un lungo sorso
del suo Pautasso Bianco - Chissà se me li lascia prendere, i fucili. -
Guarda che le armi - dico io - sarebbe illegale tenersele così, in casa.
Magari il Masoero nemmeno ha fatto la denuncia. Magari non ce l'ha, l'autorizzazione.
Magari a te lo ha detto così, perché gli stai simpatica, o perché
hai 'ste gran tette... E gliela metto una mano sulle gran tette, che lei ha
puntato verso di me sotto al cachemire, rovesciando la testa all'indietro per
scolarsi l'ultima goccia di Vermouth. - Cretino! - scherza, e mi dà
una sberla secca sulla mano - lo glieli chiedo, i fucili... Ehi, ragazzi! -
dico, alzando il bicchiere vuoto col ghiaccio che gli tintinna dentro verso Diana
e Serge. che sono entrati allacciati, camminando sbilenchi, come già vagamente
ubriachi. - Che fucili? - chiede Diana. su di giri. Chissà, forse avranno
fatto qualcosa, sopra, mi dico io: Serge è più svagato del solito,
non ci ascolta e rotea gli occhi in giro. - Parlavamo di una mostra - si lascia
sfuggire Marcella. Diana recita il ruolo di simpatica. Diana recita il ruolo
della donna intrigante, curiosa, informata sull'attualità. Diana - anche
se lei non lo direbbe esattamente così - ci tiene a essere giovanile. Dunque
sorride e mette su una faccia interessata. E va con le domande, tutte che volano
ben alte sopra le righe. E Marcella ora risponde. Mi si gela il sangue nelle
vene. Complice il Pautasso Bianco, mia moglie ora non glissa affatto e - lo so
benissimo - vuoi vedere dove la vecchia gallina assatanata andrà a parare. Quando
ci alziamo dalla tavola del Masoerino, alle nove e mezza, ho lo stomaco chiuso
e mi tremano le mani. Tra mia moglie e Diana è andata esattamente come
temevo. L'amica cinquantenne - è venuto fuori - non è fascista,
ma da ragazza lia sempre letto Montanelli, e poi è slittata su Feltri e
quel tipo di gente lì. I suoi argomenti, sulla Resistenza, sono stati
del livello che ti potevi aspettare: - Senza gli americani col cavolo che l'Italia
sarebbe stata liberata - E i partigiani'? - Anche brava gente che ci credeva,
ma anche mezzi briganti che poi hanno ammazzato per i loro porci interessi personali. Questo
genere di cose. Figurarsi Marcella. Lei non sa prendere le distanze. Quante
volte le avremo sentite, queste robe ritrite? E soprattutto: chi se ne frega?
lo le dico sempre: - Ma lascia perdere, cosa sprechi tempo a discutere'? Lei,
invece, non lascia perdere mai. Lei si incazza per la semplicità delle
argomentazioni. Lei perde la testa. Lei cerca di aggredire e finisce per dire
cose che non servono, che non convincono nessuno. - Se tu adesso vai a letto
con questo qui - è arrivata a sparare a un certo punto, furibonda e a corto
di argomenti, indicando col pollice lo sgomento Serge guarda che lo devi anche
ai partigiani. - Sì, certo è scattata Diana, a quel punto gli stessi
che hanno ucciso il nonno di mio cugino. Ah, surrealismo puro. Eravamo ai
secondi, un brasato splendido che non sono più riuscito a far scendere
giù. Anche il parente fascio ucciso dalla Resistenza doveva avere, la gallina
assatanata. Poi le voci delle due signore si sono alzate un po' troppo, e il tavolo
dei gitanti "terza età" scesi prima all'albergo si era zittito
e ci guardava. Dai ragazze! sono intervenuto Stop! Pausa! Stasera vietato litigare,
eh? E ho alzato il bicchiere e proposto un brindisi dedicato al nostro venerdì
sera e al dopo. Marcella mi ha dato un'occhiataccia. Diana ha alzato le
sopracciglia, ha sospirato, infine sorriso. Serge, paziente, ha sorriso, mi ha
guardato con quella che chiamerei indulgenza, e pure lui ha bevuto. Già,
il bel nero silenzioso. Ho cercato di farlo parlare, mentre le signore vibravano
di elettricità e si erano zittite. Sentivo sfuggirmi la serata tra le dita.
Settimane di lavoro, di convincimento, di preghiere e minacce velate, due incontri
faticosi al Cova, questo weekend inutilmente costoso. Tutto buttato via? Tutto
inutile, come le domande che ho fatto al ragazzo africano, che non mi ha lasciato
capire nemmeno se tira avanti con un lavoro in nero o se davvero fa il mantenuto? Mi
arrangio - ha detto, a tavola, scrollando le spalle, quando i piatti con il brasato
sono stati portati via. Mezzi avanzati il mio, quello di Diana e quello di Marcella.
Spazzato via fino all'ultimo boccone il suo. Lavoretti, ogni tanto... - ha
chiosato, pulendosi le labbra col tovagliolo, con un italiano che sembrava quello
di Aznavour E dura, in Italia, senza permesso. Diana l'ha gelato con lo sguardo.
E così anche lui ha taciuto. Attraverso la porta di comunicazione interna
passiamo dal Masoerino alla hall dell'albergo. Il signor Masoero, che di cene
finite in frana ne deve aver viste cento, è venuto a chiederci se qualcosa
non andasse nei secondi, e ha abbozzato quando ha avvertito la tensione. Per dovere
ha chiesto se volessimo assaggiare un dolce - quelli al cucchiaio, ha provato
a dirci, che stando a Raspelli sono un paradiso - e si è limitato a un
sorriso arrendevole e a un "allora magari la prossima volta", cordialissimo,
quando tutti abbiamo fatto cenno di no. Così ora, prestissimo, alle
nove e trentuno, con il cibo sullo stomaco e troppo poco alcool in corpo per stemperare
la tensione, per le scale che non mi sembrano più calde e confortevoli
come questo pomeriggio, saliamo gradino dopo gradino verso le nostre camere. Io
sono in mezzo alle due signore, e tengo un braccio sulle spalle di ciascuna. Con
le dita massaggio lento il collo a tutt'e due. Cerco di calmarle. Ma se io ho
il cuore a mille, figurarsi loro. E Serge, qui dietro, svagato, pronto a tutto
e a niente, con lo sguardo buttato via sui gradini, non aiuta di sicuro a far
salire la temperatura. Comunque ci provo. A questo punto, mi dico, comunque
ci voglio provare. Ecco, siamo davanti alla camera di Diana e Serge. Sciolgo
dal mio abbraccio la vecchia gallina assatanata. Lei apre, Serge va dentro, sbadiglia
e si stiracchia alzando le braccia sopra la testa. Fa un passo dentro anche Diana,
poggia le mani sui fianchi, inclina la testa e sorride interrogativa. A me, non
a Marcella. Marcella che si morde l'interno della bocca, e non guarda niente e
nessuno. - Allora ci lasci entrare lo stesso? - dico, ridendo. Diana si stringe
nelle spalle, ride anche lei. A me la politica non interessa dice. E sorride
facendo la maliziosa: Entrate, mettetevi comodi, rilassatevi. Che va tutto
bene... Io spingo dentro Marcella. Si, spingo, perché lei, rigida, sta
li piantata come un mulo. Spingo, e il primo passo lo fa quasi perdendo l'equilibrio,
e quando sono dentro con lei si gira e mi assesta un calcio secco, doloroso e
plateale, alla caviglia. E mi guarda con occhi di fuoco. Io abbozzo. - Ehi,
me la vuoi fratturare? - rido. Il dolore è lancinante. Vorrei ucciderla
con le mie mani, in questo momento. Lei e le sue cazzate sulla Resistenza. Ma
chi se ne frega? Non avrà ragione la Cepollaro, forse: ma il punto è
chi se ne frega della Resistenza oggi e qui? Ma rido. Rido e mi massaggio la
caviglia e non la strozzo. Perché sto facendo l'ultimo, disperato tentativo. Serge
chiamo, mentre Diana chiude la porta, e inizia lenta a slacciarsi la camicia -
Serge, vieni qui, abbraccia Marcella, che magari si calma un po'. Lui guarda
Diana. Diana annuisce. Fa tre passi e un abbraccio un po' rude, meccanico. Senza
che io gli suggerisca altro comincia a baciare Marcella sul collo. Io li guardo,
trattengo il respiro. Lei chiude gli occhi, lo lascia fare. Diana è in
reggiseno. Serge bacia mia moglie sulle labbra. Diana si toglie le scarpe. Io
mi avvicino a Marcella, le accarezzo la testa, le spalle. Serge ancora la stringe
e con la lingua cerca di entrare nelle sue labbra chiuse. Diana è in
reggipetto corazzato e mutande. Marcella scosta la bocca, apre gli occhi, la
vede. Spinge via Serge, dice: No, mi spiace, non mi va. Non ce la faccio e
in quattro passi rapidi è alla porta ed esce. Mezz'ora più tardi,
litigato con Marcella, la gola che mi brucia per il troppo strillare, sono giù
a un tavolino del baretto dell'albergo. A servire non c'è Masoero - forse
già a dormire, forse ancora al ristorante - ma una ragazza. Una parente,
mi dico. La gestione qui è familiare. Dalla giovane parente non cordiale,
mi sono fatto dare un'intera bottiglia di Pautasso Bianco, e poi ghiaccio, un
secchiello, e sono già al secondo bicchiere raso. Quando mi sto versando
il terzo, arriva Serge. Mi sorride. Gli faccio cenno con gli occhi, sorrido anch'io,
scosto una sedia. L'africano si siede con me. Ne vuoi? - gli chiedo, indicando
il vermouth. - Perché no risponde. E allora chiedo un secondo bicchiere
alla cameriera. Non ci resta che bere dico, scherzando, al ragazzo, mentre
il bicchiere arriva. Non so se ha capito cosa mai intendessi dire. Non so se coglie
le sfumature dell'italiano. So che mentre gli metto ghiaccio nel bicchiere e gli
verso Pautasso fino all'orlo lui si passa una mano sugli occhi, si stiracchia,
sbadiglia. E quando ha finito si guarda alle spalle, controlla che la cameriera
sia a distanza di sicurezza, abbassa la voce, e dice: - Voleva scopare, Diana.
Minchia! Io questa sera non ho voglia. La rompicoglioni! - poi fa una pausa. Controlla
di nuovo la cameriera: al baretto siamo i soli clienti. Lei, dietro al bancone,
sfoglia una rivista. Ride, Serge. Dice, sottovoce: - Tua moglie si, me la sarei
scopata... Rido anch'io. Marcella è fatta così. Non sa misurare
le cose. Non sa valutare il tempo giusto e il luogo giusto... Io guardo. Chissà
se mi capisce. Faccio un gesto vago nell'aria, provo a spiegare: - I partigiani,
ecco: ma cosa gliene frega a lei di litigare sulla Resistenza nel momento in cui... Mi
interrompo, abbasso la voce anch'io e mi chino verso Serge: Nel momento in
cui tutto è pronto e stiamo per cominciare, perché deve mettersi
a litigare con Diana su 'sti cazzo di partigiani? Serge mi guarda interrogativo. Cazzo
di...? - chiede. Provo a pensare alla traduzione in francese. Ma niente, non
mi viene, che ne so io? - Dai, i partigiani! dico, allargando le braccia. E
poi, vergognandomi della mia stessa ovvietà: - Dai, Serge, quelli che
hanno fatto la Resistenza, no? Lui ha preso un lungo sorso dal bicchiere. Manda
giù, si schiarisce la voce. Unisce le punte delle dita delle mani, le agita
avanti e indietro in un gesto interrogativo che deve aver visto fare sul lavoro,
al mercato, da Diana, chi lo sa. E chiede, scuotendo la testa come un perfetto
italiano esasperato: - Ma cosa minchia è, questa Resistenza? Minchia
lo dice benissimo. Resistenza, invece - mi sorprendo a pensare - lo pronuncia
come un Aznavour particolarmente ispirato. Ed è mentre gli racconto tutto
e gli spiego perché Marcella ci tenga così tanto - la memoria! Il
messaggio! Il bisogno di un'Italia che ancora crede in sé e nei valori!
- è mentre spiego questo che il ragazzo si serve liberamente di Pautasso
Bianco e il suo sguardo va fuori fuoco, finché non mi ascolta più.
Finché mi interrompe a caso, mentre sono arrivato al distinguo tra violenza
buona e violenza cattiva, e mi dice: Ci hai pensato? Allora, per quel contratto?
(Tratto
dalla raccolta di racconti Afro-beats. Edizioni dell'arco, Milano, 2006)
Piersandro
Pallavicini (Vigevano, 1962) ha pubblicato i romanzi Il Mostro di
Vigevano (Pequod, 1999), Madre Nostra che sarai nei cieli (Feltrinelli,
2002), Atomico Dandy (Feltrinelli, 2005). Scrive di narrativa italiana
e migrante su "Pulp Libri" e sul supplemento "Tuttolibri" di La Stampa. Per Ediarco
ha curato le antologie L'Africa secondo noi (2003) e Questa è l'Africa
(2005).
Precedente Successivo
NUOVI
LIBRI
Pagina
precedente |