Le italiane


Curzio Maltese


(...) Se non mettono al mondo figli, le italiane, è perché non ce la fanno. Quasi tutte ne vorrebbero almeno due, ma si fermano a uno. È il "bambino negato", come scrive Paul Ginsborg nella sua magnifica Storia dell'Italia presente, pesa come un macigno. Le donne dai venti ai quarant'anni sono il motore del cambiamento sociale, il settore più vitale, l'unico che ha compiuto - o almeno ha cercato di compiere - la rivoluzione rispetto al passato. Per questo hanno pagato un prezzo salato.
Che cos'è la solitudine di una madre di trent'anni nelle periferie delle grandi città? Ogni mattina la sveglia suona presto e annuncia un'altra giornata da titani: portare i figli a scuola, attraversare la città per andare al lavoro, fare la spesa cercando di risparmiare nel discount fuori mano, la cena da preparare, i vecchi da assistere e nessun aiuto. Non un momento di bellezza da vivere. Al contrario, la dannazione di doversi spendere tutto il giorno in una continua offerta di sé, fino allo svuotamento, al sonno come unico rifugio. Qui dovrebbe cominciare un'autentica politica riformista. Con la questione di come si possa migliorare la vita di questa singola persona che si chiama Maria, Teresa e Luciana, che abita a Sacromonte, in via Padova, a Mirafiori. Allora la politica sarebbe un'arte meravigliosa. Ma nelle decine di congressi di partito cui ho assistito non ho mai sentito una relazione sulla signora Luciana. Soltanto retorica sulla famiglia all'italiana, questo "capolavoro sociale" celebrato dagli stranieri di passaggio: un peso che grava sulle spalle delle donne.
La grande madre latina, cattolica e reazionaria, imbattibile nell'arte del sacrificio personale, è stata la peggiore delle droghe di massa, la principale causa di quell'infantilismo perenne che segna il carattere nazionale. Le ultime due generazioni di donne hanno provato a rivoltarsi contro un modello orrendo, hanno interrotto per fortuna la trasmissione dei codici, hanno rinunciato al culto del cibo e provato a far uscire parole dalle bocche dei figli invece di tappargliele con gli spaghetti di mammà. E si sono ritrovate sole. Sole davanti allo stato che inneggia alla famiglia e non fa nulla per sostenerla. Se non elargire l'una tantum elettorale di un bonus per i neonati. Con i mariti che rimangono figli di mamma e reagiscono alla morte del patriarcato con la delega alle donne anche della funzione paterna. Buoni al massimo ad affacciarsi timidamente alla stanza del pargolo con un sorriso da fratellone maggiore, ma solo per richiuderla in fretta appena parte il lancio dei giocattoli. Sole con il senso di colpa perché i figli non stanno abbastanza a casa, fra scuola, gite, corsi, visite ad amici e parenti. Quando sarebbe più sano per loro se trascorressero fuori il doppio del tempo, come usa altrove, per allenarsi un bel giorno a partire.
Sono sole nel chiedere diritti garantiti in tutta Europa, come il permesso di paternità ai mariti o l'estensione della maternità alle lavoratrici autonome e precarie, la netta maggioranza. Sole davanti alla televisione dove trionfa la pubblicità più conservatrice, con queste mammine che tornano dal lavoro, fresche, sorridenti e truccate, puliscono la propria casa e pure quella della suocera, imbandiscono la cenetta e concludono la serata a stirare cantando in una nube di appretto-con-il-manico.
Il movimento per la vita può fare questo per aumentare le nascite: occuparsi della solitudine femminile. È più complicato che proibire la pillola del giorno dopo (perfino in Portogallo si trova al supermercato) ma più efficace.
Sulla famiglia, anzi sul suo centro, il corpo della donna, la chiesa combatte la sua guerra preventiva. Il controllo sul corpo delle donne significa controllo sulla famiglia e sulla struttura sociale. Non esiste di conseguenza nessun altro che si occupi di sesso come la chiesa romana, forse neppure la Playboy Inc. A volte con soluzioni surrealiste. Ho partecipato a un dibattito del festival dell'Unità che avrebbe ammaliato Luis Buñuel. Il tema era: chiesa e diritti civili. L'interlocutore, un membro della direzione Ds, magnificava le aperture dei vescovi. "Quali? Mi può fare un esempio, uno solo?" L'esempio era su tutti i giornali. La conferenza dei vescovi aveva appena stabilito che "un gay può diventare santo purché casto". Una rivoluzione, non c'è che dire. Che cosa vuoi obiettare? Così ho provato a lanciarmi nelle ipotesi future: "E un santo che vuol diventare gay come deve regolarsi? Se la pratica è vietata, un gay beato può almeno uscire con camicie floreali e appendere in sagrestia il poster di Brad Pitt? Resta inteso che i santi etero possono spassarsela allegramente? Perché non una parola sulle sante lesbiche?". Il pubblico rideva, mentre il dirigente partiva con la solita tirata sui torti storici dell'anticlericalismo. Viscerale, si capisce.
Le nuove generazioni di donne hanno rovesciato anche il tradizionale conservatorismo femminile. Votano per il 60 per cento a sinistra, più dei coetanei maschi. L'esatto contrario di quanto è sempre accaduto e vale ancora per le ultrasessantenni. Tanto amore non è ricambiato. Di fronte all'offensiva della Cei, la vigorosa reazione dei Ds è stata la confessione da credente di Piero Fassino, nel clima spirituale del programma radiofonico di Barbara Palombelli. Il giorno dopo Fausto Bertinotti, per non essere da meno, ha parlato di Dio con i frati francescani. In compenso la sinistra si batte per le quota rosa, che sanno tanto di Wwf. Senza peraltro cominciare ad applicarle in proprio: il numero di parlamentari donne dell'Unione non è molto più consistente rispetto a quello della destra. Nella media generale l'Italia, con l'11 per cento, è in leggero ritardo sulle nazioni vicine. Non d'Europa, del Maghreb.





(Brano tratto dal saggio Come ti sei ridotto - Modesta proposta di sopravvivenza al declino della nazione, Feltrinelli editrice, Milano, 2006)



Curzio Maltese, 46 anni, nato a Milano, cresciuto a Sesto San Giovanni, l'ex.Stalingrado d'Italia. Da ragazzo, dopo un periodo tra fabbrica e radio "libere", scopre una decisa preferenza per il giornalismo. Cronista a "La Notte", poi alla "Gazzetta dello Sport", dal 1986 inviato a "La Stampa" e dal 1995 editorialista a "la Repubblica". Ha scritto di cronaca giudiziaria, sport, pubblicità, spettacolo, politica. Poi ha capito che erano diventati una cosa sola.



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