Un pezzo
del muro di Berlino
Sam
Shepard
Degli
anni '80 mio padre non sa proprio niente. Devo fargli delle domande per una ricerca
e lui non sa niente. Dice che non si ricorda nulla delle macchine o dei capelli,
della moda, della musica o di qualsiasi altra cosa. Dice che l'economia tirava
e che era una cosa dei repubblicani, ma a parte quello non gli viene in mente
nient'altro. Dice che la cosa più significativa degli anni '80 è
che ha conosciuto mia madre e che siamo nati io e mia sorella. Due cose. Tutto
qua. Quando gli spiego che non si dovrebbe parlare di questioni personali mi risponde,
che altro c'è? Gli dico che ho bisogno di roba sulla moda e le tendenze,
su cosa succedeva nel paese in quel periodo, ma lui dice che tutto questo non
c'entra niente con la realtà; che la realtà è una "faccenda
interiore" mentre quelle cose là non sono altro che superficialità
e panzane, come il telegiornale. Dice che i telegiornali sono solo panzane e la
ragione per cui piacciono tanto è che le spacciano per oro colato e tutti
ci credono perché gli piace credere alle panzane. La verità è
troppo dura da digerire. Questo è quello che dice lui. Io gli faccio presente
che si tratta di una semplice ricerca sul decennio degli anni '80, non su "realtà"
e "telegiornali", ma lui risponde che non si può trascurare la
faccenda della realtà; che la faccenda della realtà è più
importante del resto, tipo i capelli le macchine la musica e cose del genere.
Dice anche che non si ricorda nemmeno come viveva negli anni '80 e che forse a
quell'epoca non era nemmeno vivo, ma dopo tutto, dice, doveva esserlo visto che
si ricorda di aver incontrato mia madre e che siamo nati io e mia sorella. Lo
ripete. Cazzo, mio padre è fuori. Veramente. Per molto tempo non me ne
sono reso conto, ma è così. Sugli anni '80 ne sa più mia
sorella di mio padre, nonostante abbia solo un anno più di me. Fa la terza
media. Sa un sacco di cose (non chiedetemi perché), tipo che a quei tempi
i pantaloni si portavano assurdamente stretti in fondo e se li ficcavano negli
anfibi e le ragazze si mettevano calze a rete smagliate e guanti bianchi di cotone
per imitare Madonna, che doveva essere la bomba musicale del momento, o Michael
Jackson, che aveva appena cominciato a schiarirsi la pelle, o Bob Seger, che io
credevo fosse famoso solo per quello stupido jingle pubblicitario della Chevrolet
Like a Rock. E come se non bastasse sa un sacco di cose di politica tipo che la
Russia non è più la Russia e che il Muro di Berlino è caduto,
e quando le chiedo come fa a sapere cose del genere, lei risponde perché
c'era. "Sì, certo" dico io e lei insiste: "Sì, posso
provarlo"; corre di sopra nella sua stanza, torna giù con un pezzo
di cemento pitturato grande più o meno come un cheeseburger e lo mette
sul tavolo della cucina davanti a me e papà. "Che cos'è?"
le chiedo e lei dice: "E un pezzo dei Muro di Berlino". "Veramente!"
dice papà tutto infervorato. "È proprio così! Non è
incredibile?" Lo prende e se lo rigira in mano, soppesandolo come se venisse
da un altro pianeta o chissà che. "Quand'è che hai visto il
Muro di Berlino, tesoro?" Mia sorella lo guarda perplessa. "Non te
lo ricordi?" dice mia sorella. "Ci sono andata con la mamma e zia Amy." "Non
me lo ricordo" dice papà. "Quanti anni avevi?" Non si
ricorda niente. Come se stesse perdendo la memoria. Come fa a non ricordarsi una
cosa del genere? Sua figlia che va al Muro di Berlino. Non è così
vecchio da aver perso la memoria, però l'ha persa. "E io dov'ero?"
dice papà. "Sarai rimasto a casa" dice mia sorella. "Probabilmente"
dice lui. Chiedo a mia sorella come ha fatto ad avere un pezzo del Muro di
Berlino e lei risponde che mentre tiravano giù il muro loro erano in giro
in macchina per Berlino e gli operai ne distribuivano pezzi, te li mettevano in
mano dal finestrino dell'auto. Dice che era come una festa. Lei aveva tre anni
e ricorda quelle manone pelose di uomini che si infilavano nel finestrino per
porgere pezzi di pietra e cemento come se fossero dolci e lei non aveva idea del
perché di tutto ciò. Osservo il pezzo di calcestruzzo sul tavolo
della cucina. Un lato è liscio e piatto, dipinto di turchese e viola con
una sottile striscia gialla nel mezzo: si direbbe vernice spray, magari un graffito.
L'altra parte è rotta e irregolare e si vede di che cosa è fatto
il cemento: piccoli sassi lisci che sembrano usciti da qualche remoto angolo di
un bosco e ghiaietta appuntita affogata in questa malta dall'aspetto gessoso che
non somiglia affatto a quella americana e poi dei pezzettini luccicanti. Se ci
passi un dito sopra suona più come vetro che come pietra. Mia sorella si
offre di lasciarmi portare il pezzo del Muro di Berlino a scuola per mostrarlo
alla classe, che mi pare un'offerta molto generosa da par-te sua. Poi mio padre
prende il pesante frammento del Muro di Berlino e lo mette in un sacchetto da
freezer e quando gli chiedo perché, lui risponde che così non si
perde. Dice che è molto importante che non si perda o non venga rubato
perché è un vero pezzo di storia moderna. Ma che gliene frega? Non
sa nemmeno se all'epoca era vivo o no, e ora dice che questo pezzo di cemento
è vivo. E proprio uno squinternato. Tira fuori un grosso rotolo di nastro
isolante color argento e ne strappa un pezzo con i denti. Lo appiccica sul sacchetto
da freezer e poi prende un pennarello nero e ci scrive sopra "PEZZO DEL MURO
DI BERLINO" come una specie di etichetta da museo o roba del genere. "Ecco,"
dice, "così dovrebbe andar bene." È completamente suonato. Mia
sorella nel frattempo sta facendo i compiti ma continua a venirsene fuori con
cose degli anni '80 che mi snocciola senza smettere di lavorare come se la sua
testa fosse capace di dividersi a metà e fare due cose contemporaneamente.
Secondo me è una veramente in gamba. "C'era un vulcano in eruzione
dalle parti di Washington" dice. "Cominciò a eruttare e andò
avanti a intermittenza per tutto l'anno. E stato negli anni '80, vero papà?"
Non so proprio perché glielo chiede. Non se ne ricorderà mai. "Non
so" dice mio padre spazzando via delle formiche nere dal tavolo con una spugna
bagnata. Non cerca di schiacciarle, le butta sul pavimento e lascia che se ne
vadano via. "Perché non le uccidi?" gli chiedo. "Mi
piacciono le formiche" risponde lui. "Mi ricordano l'estate e i posti
caldi. Quand'ero bambino c'erano sempre formiche." Lo dice come se parlasse
di cuccioli o di criceti. "E poi hanno scoperto l'Aids!" esclama
mia sorella. "E stato allora che hanno scoperto il virus dell'Aids, negli
anni '80." Ormai è lanciata. Non capisco come funzioni la sua testa.
Per me è un mistero; sembra che le cose le scorrano davanti su un monitor
o roba del genere. Aids? Come ha fatto a venirle in mente? "E Marvin Gaye
ucciso dal padre con un colpo di pistola, no?" dice. Improvvisamente mio
padre si blocca in mezzo alla cucina come se gli fosse caduta in testa una tavola. "Giusto"
dice mio padre. "Questo me lo ricordo." "Veramente?" dico
io, e lo fisso, fermo lì in piedi con la spugna in mano che sgocciola sul
pavimento e lo sguardo inebetito che non vede né me né mia sorella
né niente, come se mentalmente stesse cercando di mettere a fuoco l'immagine
di Marvin Gaye, in qualche foto di quei telegiornali del tempo che lui odia tanto,
con il buco in testa e il sangue dappertutto. "Me lo ricordo benissimo"
dice. "Ero in California. 1984... l'estate o la primavera del 1984 e faceva
un gran caldo. Marvin Gaye fu ucciso dal padre che era un pastore, no? Mi sembra
di sì. Un uomo di chiesa che sparò a suo figlio in testa per qualcosa...
una storia di donne, mi pare. C'entrava una donna, no?" Si gira verso mia
sorella, che non capisce nemmeno che le sta facendo una domanda e va avanti a
sgobbare sui suoi compiti con la testa china sul libro. "Non c'era di mezzo
una donna?" le chiede di nuovo. Mia sorella finalmente alza lo sguardo e
capisce che sta parlando a lei. Lo fissa ma si vede che sta riflettendo su qualche
problema di matematica. "Non lo so, papà" dice e torna ad
abbassare gli occhi sui suoi libri. Lui guarda me, come per chiedere il mio parere.
Io non so che dirgli. E come faccio a saperlo? All'epoca dei fatti non ero ancora
nato. Gira nuovamente lo sguardo per la cucina, verso le finestre buie. "Beh,
strano che me lo ricordi" dice buttando la spugna nel lavandino, poi esce
nella veranda; rimane lì per un bel pezzo con lo sguardo perso sul prato
e l'acero. Uccellini primaverili cinguettano vicino allo stagno giù dalla
collina. Prendo il sacchetto del freezer con dentro il pezzo del Muro di Berlino
e lo alzo contro luce. È solo un pezzo di cemento. "Non perderlo"
mi dice mia sorella senza alzare gli occhi. "E come faccio a perderlo?"
dico io. "C'è l'etichetta."
(Tratto dalla
raccolta di racconti Il grande sogno, Feltrinelli editori, Milano, 2005)
Sam Shepard
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