Sono proibiti tutti i ragionamenti
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Brano tratto dal romanzo Fontamara -
Ignazio Silone
(...) "Per andare a Roma adesso ci vuole il passaporto" gridò
Berardo. "Ogni giorno ne inventano un'altra." "Perché?"
domandò Baldissera. "Non è più dell'Italia?" Il
suo racconto fu molto confuso. "Stavo alla stazione" disse. "Avevo
già fatto il biglietto. È entrata una pattuglia di carabinieri e
han cominciato a domandare le carte a tutti, a chiedere le ragioni del viaggio.
Io ho subito detto la verità e cioè che volevo andare a Cammarese
per lavorare. Han risposto: "Bene, hai la tessera?". Che tessera? "Senza
tessera non si lavora." Ma che tessera? Impossibile di avere una spiegazione
chiara. Mi han fatto restituire il prezzo del biglietto e mi han messo fuori della
stazione. Allora mi è venuta l'idea di andare a piedi fino alla stazione
seguente e di prendere il treno di là. Appena fatto il biglietto, ecco
due carabinieri. Dove vado? Dico, a Cammarese, per lavorare. Mi han domandato:
"Fuori la tessera". E io, che tessera? Che c'entra la tessera? "Senza
tessera non si può lavorare", dicono "così è nel
nuovo regolamento dell'emigrazione interna." Ho cercato di convincerli che
io non andavo a Cammarese per l'emigrazione interna, ma soltanto per lavorare.
Però è stato tutto inutile. "Noi abbiamo degli ordini"
hanno detto i carabinieri. "Senza tessera non possiamo permettere di salire
in treno a nessun operaio che si trasferisca in altra regione per lavorare."" "Mi
hanno fatto restituire il prezzo del biglietto e mi han messo fuori della stazione.
Ma quella storia della tessera non mi andava giù. Sono entrato in una osteria
e ho attaccato discorso con quelli che c'erano. "La tessera? Come, non sai
che cos'è la tessera?" mi ha detto un carrettiere. "Durante la
guerra non si parlava che di tessera." Ed eccomi nuovamente qui, dopo aver
perduto la giornata." Il più colpito dal racconto di Berardo fu
il generale Baldissera che cercò fra le sue cartacce e tirò fuori
un foglio stampato. "Anche qui si parla di tessera" disse assai allarmato. Infatti
si parlava di tessera. La federazione dell'artigianato invitava perentoriamente
il generale Baldissera a fornirsi della tessera di scarparo. "Alcune settimane
fa, anche Elvira ricevette una lettera simile" aggiunse Marietta. "Non
c'è più libertà di lavoro. Le hanno scritto che se vuole
continuare a esercitare l'arte della tintoria, deve pagare una tassa e fornirsi
di tessera." Questa coincidenza delle lettere arrivate a Fontamara e degli
incidenti toccati a Berardo mi indussero ad avanzare il dubbio che probabilmente
doveva trattarsi di una burla: "Cosa c'entra il Governo con l'arte dello
scarparo e del tintore?" dissi. "Cosa c'entra il Governo coi cafoni
che vanno in cerca di lavoro da una provincia all'altra? I governanti hanno altro
da pensare" dissi. "Questi sono affari privati. Solo in tempo di guerra
si ammettono prepotenze simili. Ma adesso non siamo in guerra." "Cosa
ne sai tu?" mi interruppe il generale Baldissera. "Cosa ne sai tu se
siamo in pace o in guerra?" Questa domanda ci impressionò tutti. "Se
il Governo impone la tessera, vuol dire che siamo in guerra" continuò
in tono lugubre il generale. "Contro chi la guerra?" chiese Berardo.
"È possibile che siamo in guerra senza che se ne sappia nulla?" "Cosa
ne sai tu?" riprese il generale. "Cosa ne vuoi sapere tu, cafone ignorante
e senza terra? La guerra sono i cafoni che la combattono, ma sono le autorità
che la dichiarano. Quando scoppiò l'ultima guerra, a Fontamara sapeva qualcuno
contro chi fosse? Pilato s'incaponiva a dire che fosse contro Menelik, Simpliciano
affermava che fosse contro i Turchi. Solo molto più tardi si seppe ch'era
soltanto contro Trento e Trieste. Ma ci sono state guerre che nessuno ha mai capito
contro chi fossero. Una guerra è una cosa talmente complicata che un cafone
non può mai capirla. Un cafone vede una piccolissima parte della guerra,
per esempio la tessera, e questa lo impressiona. "Il cittadino" vede
una parte molto più larga, le caserme, le fabbriche d'armi. Il re vede
un intero paese. Solo Dio vede tutto." "Le guerre e le epidemie"
disse il vecchio Zompa, "sono invenzioni dei Governi per diminuire il numero
dei cafoni. Si vede che adesso siamo di nuovo in troppi." "Ma, insomma,
tu la tessera la prenderai?" chiesi a Baldissera, per farla finita. "Prenderla?
La prenderò" egli rispose. "Ma pagarla, puoi star sicuro, non
la pagherò." Nonostante il diverso modo di esprimerci, si può
dire, dunque, che in fondo eravamo pienamente d'accordo. Quella sera molte
altre cose furono dette sulla guerra e non ci fu famiglia in cui non se ne parlasse. Ognuno
faceva all'altro le domande: "Ma contro chi, la guerra?". E nessuno
sapeva rispondere. Seduto davanti alla cantina di Marietta, il generale Baldissera
dava spiegazioni con pazienza, a tutti quelli che si recavano a chiedere informazioni
da lui. Lui era felice di questo. "Contro chi la guerra? Nemmeno io lo
so; nel foglio non è spiegato; il foglio dice solo che bisogna pagare la
tessera", egli diceva ad ognuno. "Pagare, sempre pagare", commentavano
i cafoni. La confusione che era già negli spiriti aumentò il
giorno dopo con l'arrivo inaspettato di Innocenzo La Legge. Perché Innocenzo
si azzardasse a tornare nuovamente a Fontamara, dalla quale una legittima paura
lo teneva lontano da vari mesi, doveva ben esserci un grave motivo; di sua spontanea
volontà certamente non sarebbe venuto. Quando egli arrivò all'altezza
della cantina e vide accorrere verso di lui gente da tutte le parti, ebbe un momento
di panico. Marietta fece a tempo a porgergli uno sgabello, prima che cadesse per
terra. "Scusate, scusate", cominciò a dire con un fil di voce.
"Non abbiate paura. Perché avete paura? Sono io che vi faccio paura?" "Parla",
gli impose Berardo con voce poco incoraggiante. "Ecco, intendiamoci",
riprese Innocenzo "intendiamoci, non si tratta di tasse, vi giuro su tutti
i santi che non si tratta di pagare. Se si tratta di tasse, che Dio mi tolga
la vista." Vi fu una piccola pausa, giusto il tempo per permettere a Dio
di esaminare il caso. Innocenzo conservò la vista. "Continua"
gli comandò Berardo. "Ecco, voi ricordate che una sera venne qui
un graduato della milizia? Un certo cavaliere Pelino? Lo ricordate? Bene. benissimo,
questo mi fa un gran piacere. Dunque, il cav. Pelino ha fatto un rapporto alle
autorità superiori in cui afferma di aver constatato che Fontamara è
un covo di nemici dell'attuale Governo. Non vi spaventate, non c'è nulla
di male. Il cav. Pelino ha riferito, parola per parola, certi discorsi fatti qui,
in sua presenza, contro l'attuale Governo e contro la Chiesa. Senza dubbio, egli
ha mal capito i vostri discorsi, senza dubbio. Ma le autorità superiori
hanno deciso di prendere certi provvedimenti verso Fontamara. Niente di grave,
vi assicuro, niente da pagare, niente. Si tratta di sciocchezze, alle quali in
città si dà grande importanza, ma un cafone, una persona seria nemmeno
vi bada." Innocenzo non sapeva quali fossero tutti i provvedimenti decisi
contro Fontamara. Egli era il cursore del comune e conosceva quindi solo le decisioni
del comune, che aveva l'incarico di comunicare; il resto non lo sapeva, né
lo incuriosiva. La prima decisione riguardava il ristabilimento forzoso nella
frazione di Fontamara dell'antica legge del coprifuoco; un'ora dopo l'avemaria
nessun cafone doveva trovarsi fuori casa e doveva restare in casa fino all'alba. "E
le paghe restano uguali?" domandò Berardo incuriosito. "Cosa
c'entrano le paghe?" rispose Innocenzo. "Come, cosa c'entrano? Se
non possiamo uscire di casa prima dell'alba" spiegò Berardo "vuol
dire che arriveremo a Fucino, sul luogo di lavoro, un po' prima di mezzogiorno.
Se soltanto per un paio d'ore di lavoro ci daranno lo stesso salario di prima,
viva la legge del coprifuoco." "E l'irrigazione?" domandò
Pilato. "Come si fa a regolare l'irrigazione notturna se tutti restiamo in
casa?" Innocenzo La Legge rimase interdetto. "Voi non mi avete capito",
disse "oppure, scusate, fingete di non aver capito, per torturarmi. Chi vi
ha detto che voi dovete cambiare le vostre abitudini? Voi restate cafoni e farete
i vostri lavori quando volete. Ma l'Impresario è podestà e voi non
potete impedirgli di fare il podestà. Ed io che cosa sono, io? Cursore
del comune, e non dovreste impedirmi di fare il cursore. L'Impresario, come podestà,
decide, per mettersi al riparo dalle proteste e dai reclami delle altre autorità,
che voi durante la notte dovete stare in casa. Io, come cursore, vi porto il suo
ordine. Voi, cafoni, fate naturalmente quel che vi pare." "E la legge?"
si mise a urlare il generale Baldissera. "La legge dove va a finire in questo
modo? La legge è o non è la legge?" "Scusa", gli
chiese Innocenzo "tu, la sera, a che ora vai a dormire?" "Appena
si fa buio" rispose il vecchio scarparo miope. "E la mattina a che ora
ti alzi?" "Alle dieci, perché il lavoro è scarso e
la debolezza è grande." "Ebbene", sentenziò il
cursore "io ti nomino custode ed esecutore della legge." Tutti ci
mettemmo a ridere, ma Baldissera rimase cupo, e siccome era già quasi buio,
se ne andò a dormire. Innocenzo fu felicissimo per l'insperato successo
di ilarità e divenne più spigliato. Accese una sigaretta e cominciò
a fumare. Ma fumava in un modo mai visto: invece di fare uscire il fumo dalla
bocca, lo tratteneva e poi lo soffiava dalle narici, ma non da entrambe, come
anche noi sappiamo, sebbene, alternativamente, prima dall'una e poi dall'altra. Approfittò
del momento di ammirazione in cui ci sorprese, per comunicarci la seconda decisione
del podestà riguardante Fontamara. In tutti i locali pubblici doveva essere
affisso un cartello che dicesse: IN QUESTO LOCALE È PROIBITO PARLARE DI
POLITICA. Di locale pubblico a Fontamara c'era solo la cantina di Marietta. Innocenzo
consegnò alla cantiniera un ordine scritto del podestà col quale
le si comunicava che lei sarebbe stata ritenuta responsabile se nella sua cantina
si fossero fatte discussioni politiche. "Ma a Fontamara nessuno sa neppure
che cosa sia la politica" osservò giustamente Marietta. "Nel
mio locale nessuno ha mai parlato di politica." "Di che si parla,
dunque, se il cav. Pelino tornò al capoluogo tutto infuriato?" chiese
Innocenzo sorridendo. "Si ragiona un po' di tutto" riprese a dire
Marietta. "Si ragiona dei prezzi, delle paghe, delle tasse, delle leggi;
oggi si ragionava della tessera, della guerra, dell'emigrazione." "E
di questo non si dovrebbe più parlare, secondo l'ordine del podestà"
chiari Innocenzo. "Non è ordine speciale per Fontamara, ma in tutta
Italia è stato diramato quest'ordine. Nei locali pubblici "Dunque,
non bisogna più ragionare" concluse Berardo. "Ecco, bravo,
Berardo ha capito perfettamente" esclamò Innocenzo soddisfatto. "Non
bisogna più ragionare: questo è il senso della decisione del podestà.
Bisogna farla finita coi ragionamenti. E poi; siamo sinceri, a che servono i ragionamenti?
Se uno ha fame, può nutrirsi di ragionamenti? Bisogna farla finita con
questa cosa inutile." La soddisfazione d'Innocenzo fu grande nel constatare
che Berardo gli dava ragione e perciò accettò la sua proposta di
rendere più chiaro il cartello che doveva essere appeso al muro e che egli
stesso scarabocchiò in nostra presenza, su un largo foglio di carta bianca,
nel tenore seguente:
PER ORDINE DEL PODESTÀ SONO PROIBITI TUTTI I
RAGIONAMENTI. Berardo provvide ad affiggere il cartello, in alto, sulla
facciata della cantina. La sua condiscendenza ci sbalordiva assai. Come se il
suo atteggiamento non fosse già abbastanza chiaro, Berardo aggiunse: "Adesso,
guai a chi tocca quel cartello." Innocenzo gli strinse la mano e voleva
abbracciarlo. Ma le spiegazioni che Berardo subito aggiunse, moderarono il
suo entusiasmo. "Quello che il podestà ordina da oggi, io l'ho
sempre ripetuto" disse Berardo. "Coi padroni non si ragiona, questa
è la mia regola. Tutti i guai dei cafoni vengono dai ragionamenti. Il cafone
è un asino che ragiona. Perciò la nostra vita è cento volte
peggiore di quella degli asini veri, che non ragionano (o, almeno, fingono di
non ragionare). L'asino irragionevole porta 70, 90, 100 chili di peso; oltre non
ne porta. L'asino irragionevole ha bisogno di una certa quantità di paglia.
Tu non puoi ottenere da lui quello che ottieni dalla vacca, o dalla capra, o dal
cavallo. Nessun ragionamento lo convince. Nessun discorso lo muove. Lui non ti
capisce (o finge di non capire). Ma il cafone invece, ragiona. Il cafone può
essere persuaso. Può essere persuaso a digiunare. Può essere persuaso
a dare la vita per il suo padrone. Può essere persuaso ad andare in guerra.
Può essere persuaso che nell'altro mondo c'è l'inferno benché
lui non l'abbia mai visto. Vedete le conseguenze. Guardatevi intorno e vedete
le conseguenze. Per noi, quello che Berardo diceva, non era una novità.
Ma Innocenzo La Legge era atterrito. "Un essere irragionevole non ammette
il digiuno. Dice: se mangio lavoro, se non mangio non lavoro" continuò
Berardo. "O meglio neppure lo dice, perché allora ragionerebbe, ma
per naturalezza così agisce. Pensa dunque un po' se gli ottomila uomini
che coltivano il Fucino, invece di essere asini ragionevoli, cioè addomesticabili,
cioè convincibili, cioè esposti al timore del carabiniere, del prete,
del giudice, fossero inve ce veri somari, completamente privi di ragione. Il principe
potrebbe andare per elemosina. Tu sei venuto qui, o Innocenzo, e tra poco, nella
via buia, farai ritorno al capoluogo. Che cosa può impedire a noi di accopparti?
Rispondi." Innocenzo avrebbe voluto balbettare qualche cosa, ma non poté;
era livido come uno straccio. "Ce lo può impedire" continuò
Berardo "il ragionamento delle possibili conseguenze dell'assassinio. Ma
tu, Innocenzo, di tua mano, hai scritto su quel cartello che, da oggi, per ordine
del podestà, sono proibiti i ragionamenti. Tu hai rotto il filo al quale
era legata la tua incolumità." "Ecco", riuscì
a balbettare Innocenzo "ecco, tu dici di essere contro i ragionamenti, ma
invece, scusa, a me sembra, scusa, dico per dire, a me sembra che tu ragioni fin
troppo. Tutto il tuo discorso non è che un ragionamento. Io non ho mai
sentito un asino, cioè un cafone irragionevole, parlare in quel modo." "Se
i ragionamenti sono a vantaggio solo dei padroni e delle autorità",
io domandai a Berardo "perché il podestà ha deciso di proibire
tutti i ragionamenti?" Berardo rimase un po' in silenzio. Poi rispose: "È
tardi, domani mi devo alzare alle tre per andare a Fucino. Buona notte." E
se ne andò a casa. (...)
(Brano tratto dal romanzo "Fontamara", Arnoldo Mondadori editore, Milano,
1949.)
Ignazio Silone
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