Un baule da sposa
Vernon Lee
N°
428. Pannello (cinque piedi per due piedi e tre pollici) già parte anteriore
di un cassone o baule, atto a contenere abiti e gioielli da sposa. Soggetto
"Il Trionfo d'Amore". Scuola umbra del quindicesimo secolo. Sull'angolo
destro una scritta non chiaramente leggibile: Desider... de Civitate Lac...
me... cit. Questo apprezzabile dipinto è sfortunatamente molto danneggiato
a causa dell'umidità e di minerali corrosivi, danno dovuto probabilmente
al contenimento in epoca passata di un tesoro sepolto. Eredità lasciata
nel 1878 dalla vedova del Rev. Lawson Stone, Professore del Trinity College, Cambridge. Per
il giorno dell'Ascensione, Desiderio di Castiglione del Lago aveva terminato il
pannello anteriore del baule da sposa che Messer Troilo Baglioni aveva ordinato
a Ser Piero Bontempi la cui bottega stava in fondo ai gradini di S. Massenzio
in quell'antico quartiere di Perugia (chiamata Augusta dai romani a ricordo perenne
della sua grande gloria) che prende il nome dalla Porta d'avorio costruita da
Teodorico, re dei Goti. Il nominato Desiderio aveva rappresentato sul suo pannello
il Trionfo d'Amore così come l'aveva descritto nel suo poema Messer Francesco
Petrarca d'Arezzo, unico - a parte quel Dante ch'ebbe la visione dell'inferno,
purgatorio e paradiso, - tra i poeti recenti che potesse reggere il confronto
con quei dottissimi che furono Virgilio, Ovidio da Sulmona e Stazio. E nel fare
ciò, detto Desiderio si era comportato nel seguente modo. Inteso a rappresentare
le quattro fasi della passione amorosa, aveva diviso il pannello in quattro parti
o aree. La prima era rappresentata dalla vista di una ridente campagna irrigata
da sinuosi e allegri torrenti dove l'acqua fluiva generosa, e dov'erano piantati
numerosi cespugli di rose rosse e azzurre in mezzo ad olmi, pioppi ed altri attraenti
alberi da frutta. La seconda, invece, appariva un poco montagnosa, ma ricca di
nobili castelli e boschi di quercie e pini adatti alla caccia. Questa parte del
pannello, essendo quella dedicata all'amore glorioso, era circondata tutt'intorno
da fasci d'alloro. La terza area - aspera ac dura regio - era priva di
qualsiasi tipo di vegetazione, eccetto roveti enormi e ingrati cardi, e lì,
appollaiato sulla roccia, si vedeva il pellicano intento a lacerarsi le viscere
per nutrire i propri figli, simbolo della crudeltà dell'amore presso i
veri amanti. Nella quarta, infine, vi era un bosco di mesti cipressi sui quali
stavano appollaiati corvi, civette ed altri uccelli di malaugurio, per dimostrare
come l'amore terreno non conduca che alla morte. Ciascuna di queste aree era poi
circondata da una corona di mirto meravigliosamente disegnata e divisa, con grande
sottigliezza inventiva, in modo da unirsi alla cornice dorata e ricca d'intagli,
anch'essi a forma di mirto, che Ser Pietro, con singolare abilità, aveva
eseguito con le sue proprie mani. Al centro del pannello, proprio come l'aveva
descritto il poeta, Desiderio aveva poi rappresentato Amore, un fanciullo nudo
con le ali di diversi mirabili colori, seduto in trono sopra un carro con stanga
e ruote d'oro rosso e ricoperto d'un velo dorato, fatto con tale sottile ingegno
che tutto l'insieme sembrava davvero avvolto nel fuoco. Sulle spalle, il fanciullo
portava un arco e una faretra piena di terribili frecce, e nella mano stringeva
le redini di quattro corsieri bianchi come la neve, bardati d'oro, dalle cui narici
spiravano soffi di fuoco. Legata attorno agli occhi, una benda sfrangiata in oro
dimostrava come Amore colpisce alla cieca, mentre sulle spalle gli si agitava
una pergamena con queste parole "Saevus Amor hominum deorumque deliciae".
Presso il carro, chi davanti, chi dietro, a piedi e a cavallo, si affollavano
coloro che amore aveva reso famosi. Qui, cavalcando un baio, con aquila ed elmo,
c'era Giulio Cesare, che amò Cleopatra, la regina d'Egitto; là,
Sofonisba e Massinissa in ricche esotiche vesti arabe; Orfeo, in cerca d'Euridice,
con il suo liuto; Fedra, che morì per amore d'Ippolito, suo genero; Marc'Antonio;
Rinaldo da Montalbano, che amò la bella Angelica; e Socrate, Tibullo, Virgilio,
e ancora altri poeti assieme a Messer Petrarca e Messer Giovanni Boccaccio; Tristano
su un cavallo sauro che bevve la pozione amorosa, e accanto a lui, Isotta, vestita
d'abiti d'oro e turbante; e gli amanti di Rimini e moltissimi altri che, benché
descritti dal poeta, sarebbe troppo lungo nominare. Nella parte del pannello
dedicato all'amore felice, tra gli allori, Desiderio aveva dipinto anche se stesso,
con i suoi capelli rossi e un cappuccio verde sulle spalle. Questo perché
doveva sposare, la vigilia di San Giovanni, l'unica figlia del suo padrone Ser
Piero, Maddalena. Inoltre, fra gli amanti infelici, e come egli stesso volle,
dipinse Messer Troilo per il quale stava appunto facendo quel baule. Lo rappresentò
nelle vesti di Troilo, figlio di Priamo, Imperatore di Troia, con corazza e manto
bianco intessuto d'argento ricamato di rose. Teneva ritta la lancia al suo fianco,
sul capo, un berretto scarlatto. Dietro venivano i portatori di falcone e falconiera,
e uomini d'arme con il suo stendardo a quadri verdi e gialli, sul cui farsetto
era ricamato uno scorpione. In cima alla sua lancia sventolava un drappo con la
scritta "Troilus sum servus Amoris". Si rifiutò invece,
Desiderio, di dipingere in quel corteo Monna Maddalena, la figlia di Piero che
stava per diventare sua sposa. Era sconveniente, disse, che fanciulle di bella
modestia prestassero il loro viso ad altre persone, e poi Messer Piero l'aveva
pregato di non stuzzicare Messer Troilo. Per la verità, l'aveva ritratta
spesse volte Monna Maddalena (che era meravigliosamente bella), ma, a onor del
vero, solo nei panni della Vergine, Madre di Dio. Dunque, il pannello era pronto
per il giorno dell'Ascensione, e Ser Piero aveva preparato la cassa, e gli intagli,
e le dorature, grifoni e chimere, e foglie d'acanto e mirti, con l'arme di Messer
Troilo Baglioni. Un lavoro eccellente. Mastro Cavanna di Porta San Pietro aveva
fatto, da abilissimo artigiano qual era, chiavi e serrature per quello stesso
baule. Messer Troilo veniva spesso a cavallo dal suo castello di Fratta a vedere
il lavoro mentre progrediva, e s'intratteneva a lungo nella bottega parlando con
benignità e saggezza davvero insoliti in un giovane della sua età,
infatti aveva solo diciannove anni. La qual cosa era molto gradita a Messer Piero,
mentre non lo era affatto per Desiderio che si dimostrava sovente sgarbato con
lui, e proprio per questo ebbe a litigare spesso con il suo futuro suocero. Bisogna
sapere che Messer Troilo Baglioni, detto Barbacane per distinguerlo dall'altro
Troilo, suo zio, già vescovo di Spello benché fosse un bastardo,
aveva posato gli occhi su Maddalena, figlia di Ser Piero Bontempi. Egli l'aveva
vista per la prima volta in occasione dei festeggiamenti per le nozze di suo cugino,
Grifone Baglioni, figlio del primogenito Ridolfo, con Deianira degli Orsini. In
quella circostanza, Perugia vide nascere cose meravigliose, sia per volere del
magnifico casato dei Baglioni, che per iniziativa degli stessi cittadini. Vi furono
banchetti, giostre, corse di cavalli, balli nella piazza adiacente alla cattedrale,
corride, allegorie, in latino e volgare, allestite con gusto e grande competenza
(fra l'altro si recitò il mito di Perseo che libera Andromeda), archi di
trionfo e altri simili marchingegni in cui si mise in luce l'arte inventiva di
Ser Piero Bontempi, con il quale collaborarono Benedetto Bonfigli, Messer Fiorenzo
di Lorenzo e Piero da Castro Plebis che fu chiamato più tardi a lavorare
nella sua cappella a Roma da Sua Santità Papa Sisto IV. In quell'occasione,
ripeto, messer Troilo Baglioni di Fratta, considerato unanimiter giovane di bell'aspetto
e di maniere squisitamente cortesi, oltre che di grande cultura e coraggio, e
degno in tutto della magnifica famiglia dei Baglioni, posò gli occhi su
Maddalena di Ser Piero e le fece portare dal suo scudiero la coccarda che adornava
la testa di un toro feroce che egli aveva abbattuto singulari vi ac virtute.
Né trascurò altre occasioni, Messer Troilo, per incontrarsi con
la fanciulla, come in chiesa o alla bottega del padre dove si recava a cavallo
dal suo castello di Fratta. Sempre però honestis valde, dato che
Maddalena dimostrava grande riserbo con lui e rifiutava ogni regalo che Messer
Troilo le inviava. D'altro canto, Ser Piero non ostacolò mai le sue innocenti
conversazioni per paura dell'ira che avrebbe potuto suscitare nella magnifica
famiglia dei Baglioni. Ma Desiderio di Città del Lago, che era il fidanzato
di Monna Maddalena, ebbe spesso a che dire con Ser Pietro su questa faccenda,
e un giorno fu lì lì per rompere le costole allo scudiero di Messer
Troilo che accusava d'essere latore di messaggi disonesti. Ora, bisogna dire
che Messer Troilo, il più bello, e benevolo, e magnanimo della sua magnifica
famiglia, era anche il più crudele fra i suoi parenti, e non sopportava
nulla che ostacolasse o dilazionasse i suoi desideri. Giovane di grande bellezza
- aveva soltanto diciannove anni e le sue guance erano ancora lisce, la pelle
vellutata e bianca come quella di una donna - egli possedeva, di conseguenza,
una natura alquanto passionale (si raccontano molte storie a questo proposito,
storie di violenza perpetrata ai danni di fanciulle e spose di Gubbio e Spello,
e altri fatti di uguale efferatezza accaduti nel castello di Fratta, in mezzo
agli Appennini, su alcuni dei quali è meglio non dir nulla). Fu appunto
a causa di questa sua natura passionale, come dicevo, e del suo spirito al contempo
magnanimo e feroce, che Messer Troilo giunse alla determinazione di impossessarsi
di Maddalena di Ser Piero. Detto fatto, la settimana dopo - quando ormai aveva
fatto ritirare il baule da sposa dalla bottega di Ser Piero (pagando per quel
lavoro una bella somma in fiorini) - decise di soddisfare i suoi crudeli desideri.
E, per realizzare il suo piano, pensò di approfittare dei festeggiamenti
per la Natività di San Giovanni, quando i cittadini erano soliti andare
nei loro giardini e vigneti a verificare i progressi delle loro colture, e a mangiare
e bere con i loro amici in onesti conversari. Il menzionato Ser Piero, uomo
ricco e prospero per via d'un frutteto che possedeva nella valle del Tevere vicino
a San Giovanni, stava intrattenendo proprio lì i suoi amici tranquillo
e disarmato, essendo quello il giorno della vigilia delle nozze di sua figlia.
In quel mentre, una giovane serva mora, prezzolata da Messer Troilo, propose a
Monna Maddalena e ad altre fanciulle che erano con lei, di andare a rinfrescarsi,
dopo tanto raccogliere fiori, e giocare al cerchio, fare indovinelli e simili
altri giochi da ragazze, bagnandosi nel Tevere che scorreva in fondo al campo.
L'innocente fanciulla, piena d'entusiasmo, acconsentì. E così, tutte
insieme, scesero nell'acqua spavaldamente, dato che era estate e il fiume era
basso e facile da guadare. Quando, state a sentire, dall'altra sponda arrivò
al gran galoppo un drappello di cavalieri armati e mascherati che agguantarono
la sbalordita Maddalena e la trascinarono via. La poverina, come un'altra Proserpina,
lanciava inutili grida d'aiuto verso le sue compagne, le quali, stupite e vergognose
d'essere viste senz'abiti, risposero con altre grida, ma, ancora una volta, invano.
I cavalieri, intanto, fuggirono attraverso Bastia e scomparvero alla vista molto
prima che Ser Piero e i suoi amici potessero arrivare in soccorso. Così
avvenne che, per la passione amorosa di Messer Troilo, Monna Maddalena fu crudelmente
sottratta al padre e allo sposo. Ser Piero cadde a terra svenuto per il dolore,
e rimase come morto per diversi giorni. Quando rinvenne, pianse e maledì
la sua sorte crudele e non volle più prendere cibo né dormire, e
rifiutò persino di radersi. Ma, poiché era vecchio e giudizioso,
e poiché era padre di altri figli, riuscì infine a vincere il suo
dolore. Sapeva bene quanto fosse inutile opporsi o combattere, dal momento che
non era altro che un artigiano, con la magnifica famiglia dei Baglioni, Signori
di Perugia da molti anni, tanto ricchi e potenti quanto magnanimi e implacabili.
Perciò, quando cominciò a spargersi la voce che, dopo tutto, Monna
Maddalena poteva essere fuggita con un amante di sua volontà, e che non
c'erano prove per sostenere che i cavalieri mascherati fossero gente di Messer
Troilo (anche se quelli di Bastia affermavano di aver visto su di loro i colori
di Fratta, il verde e il giallo, e, inoltre, il suddetto Troilo non s'era più
fatto vedere in città da molti mesi), il vecchio, un po' per prudenza e
un po' per paura, non confutò mai queste chiacchiere. Ma Desiderio di Castiglione
del Lago, quando le udì, picchiò il vecchio sulla bocca fino a farlo
sanguinare. Ora accadde che, circa un anno dopo la scomparsa di Monna Maddalena
(in quel periodo c'era stata la peste in città, ed erano avvenuti molti
miracoli ad opera di una santa suora del convento di Sant'Anna dove si era digiunato
per settanta giorni, mentre Messer Ascanio Baglioni aveva formato una compagnia
a cavallo per appoggiare la Signoria di Firenze nella guerra contro i senesi),
quando ormai non si parlava più della faccenda, accadde, come si diceva,
che certi uomini armati e mascherati, ma vestiti dei colori di Messer Troilo e
con il noto scorpione sul farsetto, giunsero a cavallo da Fratta, portando un
baule ricoperto d'un drappo nero che depositarono, notte tempo, davanti alla porta
di Ser Piero Bontempi. All'alba, mentre stava per recarsi alla bottega, Ser Piero
se lo trovò davanti e, riconosciuto che era quello che egli stesso aveva
fatto per Messer Troilo, detto Barbacane, con il pannello raffigurante il Trionfo
d'Amore e tutti i suoi ingegnosi intagli e dorature, fu colto da un tremito che
gli percorse tutte le ossa e si recò subito a chiamare Desiderio e assieme
a lui, senza dir niente a nessuno, trasportò il baule in una stanza segreta
della casa. La chiave, fine opera del fabbro Cavanna, penzolava vicino alla serratura
tenuta da una cordicella di seta verde alla quale era legata una pergamena con
queste parole "A Messer Desiderio, regalo di nozze da parte di Troilo Baglioni
di Fratta". Senza dubbio, un'allusione ferox atque cruenta facetia,
al Trionfo d'Amore, nello spirito di Messer Francesco Petrarca, dipinto sulla
parte anteriore del baule. Sollevato il coperchio, trovarono subito un panno rosso,
come quelli usati per i muli, etiam, un pezzo di lino comune, e sotto,
un copriletto di seta verde che, una volta sollevato, consentì loro di
vedere (heu! infandum patri sceleratumque Bonus) il corpo di Monna Maddalena,
nudo come Dio l'aveva fatto, con due pugnalate nel collo, i lunghi capelli d'oro
avvolti in fili di perle, ma spruzzati di sangue. Maddalena, morta, era stata
ficcata dentro il baule. Sul suo petto reggeva un bimbo appena nato, anch'egli,
come lei, morto. A quella vista, Ser Piero si gettò a terra, scoppiò
in lacrime e pronunciò terribili bestemmie. Ma Desiderio di Castiglione
del Lago non disse nulla. Chiamò invece un fratello di Ser Piero, prete
priore di San Severo, e con il suo aiuto, trasportò il baule nel giardino.
Il quale, sotto le mura cittadine dalla parte di Porta Eburnea, era situato in
una bella posizione ed era pieno di fiori e di alberi utili per i loro frutti
e per l'ombra che procuravano. Inoltre, questo giardino era ricco d'erbe come
il timo, l'origano, il finocchio e altre ancora che le giudiziose massaie desiderano
nella loro cucina. Ed era tutto irrigato, questo giardino, per mezzo di canali
di pietra, costruiti ingegnosamente da Ser Piero, i quali erano alimentati da
una fonte dove una sirena spruzzava acqua dai seni, anche questo un fine congegno
dello stesso Piero costruito tanto bene nella pietra dura di Monte Catria che
avrebbe fatto onore a Fidia o a Prassitele. In questo luogo, Desiderio di Castiglione
del Lago scavò una fossa profonda proprio sotto un mandorlo, e poi, con
molta cura, ricoprì i bordi con pietre e lastre di marmo per ridurre l'azione
dell'umidità, quindi chiese al sacerdote, fratello di Ser Piero, che l'aveva
aiutato, di andare a prendere le vesti sacre, i libri, e tutto il necessario per
consacrare il terreno. Cosa che il prete si affrettò a compiere, essendo
egli un sant'uomo, e addoloratissimo per la sorte della nipote. Intanto, con l'aiuto
di Ser Piero, Desiderio, con infinita tenerezza, estrasse dal baule da sposa il
corpo di Monna Maddalena, lo lavò con acque profumate e lo vestì
con un lino finissimo e con abiti da sposa, tutto questo versando amare lacrime
sul triste stato della povera fanciulla, e lanciando maledizioni contro la crudeltà
del suo violatore. Dopo averla abbracciata teneramente, i due la calarono di nuovo
nella cassa con il dipinto del Trionfo d'Amore, posandola su drappi pregiati di
damasco e broccato, con le mani giunte e il capo decorosamente posato su un cuscino
di stoffa color argento. Attorno alle tempie, Desiderio le pose una corona di
rose che egli stesso aveva intrecciato, cosicché pareva proprio una santa,
o quella fanciulla di nome Julia, figlia di Cesare Augusto, che fu ritrovata sepolta
in Via Appia e che, appena esposta all'aria, andò subito in polvere. Una
cosa davvero meravigliosa. Dopo di che, riempirono il baule con quanti più
fiori riuscirono a trovare, ed anche con erbe dagli aromi dolci, e foglie d'alloro,
polvere di giglio fiorentino, incenso, ambra grigia, e un tipo di gomma che i
siriani chiamano fizelis e gli ebrei, barach, con la quale, dicono,
fu preservato intatto dalla decomposizione il corpo di Re Davide, gomma che il
fratello di Ser Piero, esperto in alchimia e astrologia, aveva acquistato da certi
mori. Poi, dopo molti pianti e molti ahimè, coprirono il viso di Maddalena
con un velo ricco di ricami e dell'altro broccato, e, chiusa la cassa, la calarono
nella fossa assieme a una gran quantità di paglia, fieno e sabbia. Ricopersero
poi il tutto e spianarono il tumulo, e Desiderio, per contrassegnare il posto,
sotto il mandorlo, piantò un ciuffo di finocchio. Ma non prima d'aver abbracciato
la fanciulla innumerevoli volte, e aver mangiato una manciata della terra che
ricopriva la tomba profferendo molte imprecazioni, orribili a riferirsi, all'indirizzo
di Messer Troilo. Infine, mentre Desiderio serviva da chierico, il prete, fratello
di Ser Piero, celebrò il rito funebre, terminato il quale se ne andarono
tutti, afflitti e addolorati. Quanto al corpo del bimbo rinvenuto nel baule da
sposa, lo precipitarono in un luogo vicino a Sant'Ercolano dove si gettavano i
rifiuti e le carogne degli animali, e questo perché quello era il bastardo
di Ser Troilo, et infamiae scelerisque partum. Ora, appena si seppe
di questa triste faccenda, ed anche delle imprecazioni di Desiderio contro Messer
Troilo, Ser Piero, che era un vecchio giudizioso, temendo l'ira del magnifico
Orazio Baglioni, zio di Troilo e signore della città, indusse Desiderio
a lasciare segretamente Perugia. Fu così che Desiderio di Castiglione
del Lago andò a Roma dove fece delle autentiche meraviglie, tra le quali
certi affreschi nella chiesa di San Cosma e Damiano che gli furono commissionati
dal Cardinale di Ostia. E poi a Napoli, dove entrò al servizio del Duca
di Calabria di cui seguì le armate costruendo fortezze, e creando macchine
e modelli per i cannoni, e altre cose utili e ingegnose. Così seguitò
per sette anni, finché non gli giunse all'orecchio che Ser Piero era morto
a Perugia per un'indigestione di anguille, e Messer Troilo era in città
che metteva assieme una compagnia a cavallo con suo cugino Astorre Baglioni per
il Duca di Urbino. Questo accadeva prima che comparisse la peste, ed anche prima
della terribile venuta in Umbria degli spagnoli e dei mori convertiti agli ordini
di Cesare Borgia, Vicarius Sanctae Ecclesiae, seu Flagellum Dei et novus Attila.
Desiderio allora tornò segretamente a Perugia. Con i capelli tinti di nero
e la barba lunga alla maniera degli orientali, depositò il suo mulo presso
una piccola locanda dicendo di essere un greco proveniente da Ancona. Dopo di
che andò dal prete, priore di San Severo e fratello di Ser Piero, e lì
si fece riconoscere. Il prete, benché vecchio, fu molto contento di vederlo
e di udire i suoi propositi. E Desiderio confessò al prete tutti i suoi
peccati ottenendo l'assoluzione, e ricevette il Corpo di Cristo con grande fervore
e compunzione, e il prete mise la sua spada sull'altare vicino al messale, poiché
celebrava la messa, e la benedì. Desiderio si inginocchiò allora
e fece voto di non toccare più cibo, salvo il Corpo di Cristo, finché
non avesse potuto assaggiare il sangue di Messer Troilo. Cercò e spiò
tre giorni e tre notti la sua preda, ma Messer Troilo non usciva quasi mai senza
la scorta dei suoi uomini, poiché erano troppi gli onesti cittadini che
egli aveva offeso a causa della sua passione amorosa. E venne a sapere che i suoi
stessi parenti lo temevano e si sarebbero volentieri sbarazzati di lui, tenuto
conto della sua ferocia e della sua ambizione, e che desideravano unirsi al Feudo
di Fratta, oltre il confine del magnifico Casato dei Baglioni, famosi nelle armi. Ma
un giorno, verso l'imbrunire, Desiderio vide Messer Troilo mentre scendeva da
un vicolo in quel di Sant'Ercolano, solo, che si recava da una di quelle, certa
Flavia Bella, donna bellissima infatti. Allora Desiderio gettò di traverso
delle scale a pioli che aveva trovato in una vicina casa in costruzione, e dei
sacchi e poi si nascose sotto un arco a cavallo del vicolo, ripidissimo e stretto.
Messer Troilo se ne scendeva a piedi, fischiettando e curandosi le unghie con
un paio di forbicine. Portava delle calze di seta grigie e un farsetto di stoffa
rossa e broccato color oro pieghettato sui fianchi, ricamato con delle perline
e chiuso con lacci d'oro. Sul capo, un cappello scarlatto con molte piume, e sotto
il braccio sinistro, spada e mantello. Messer Troilo aveva allora ventisei anni,
ma sembrava più giovane senza barba com'era, e con quel viso che faceva
pensare a Giacinto, o a Ganimede che Giove volle presso di sé come coppiere
per la sua bellezza. Alto, era di spirito magnanimo e ferocissimo. E mentre camminava
alla volta di Flavia, fischiettava. Quando arrivò vicino al mucchio
di scale e sacchi che gli sbarrava la strada, Desiderio balzò su di lui
cercando di infilzarlo con la sua spada. Ma, benché ferito, Messer Troilo
lottò a lungo senza però riuscire ad afferrare la sua arma che si
era impigliata nel mantello e, prima che riuscisse a farlo, Desiderio gli era
già sopra e gli trafiggeva il petto tre volte esclamando: "Questo,
da parte di Maddalena, in cambio del suo baule da sposa!" Messer Troilo
allora, vedendo il sangue uscire dal suo petto, e rendendosi conto che era giunta
la sua ora, disse semplicemente: "Quale Maddalena? Ah sì, ora ricordo.
E sempre stata una maledetta indomabile sgualdrina", e spirò. E
Desiderio si chinò sul suo petto e bevve avidamente il sangue che ne sgorgava,
e fu la prima cosa di cui si cibò da quando aveva preso il Corpo di Cristo,
proprio come aveva giurato. Fatto questo, si recò furtivamente alla
fontana che si trovava sotto il vòlto di Santa Prassede, dove di giorno
le donne andavano a lavare i panni, e cercò di pulirsi del sangue di cui
si era imbrattato. Poi, andò a prendere il mulo e lo nascose in una macchia
d'alberi vicino al giardino di Ser Piero, dove entrò, la stessa notte,
aprendo la porta con le chiavi che gli aveva dato il prete. Lì, con la
vanga e il piccone che si era portato dietro, recuperò il baule da sposa
con il corpo di Monna Maddalena, il quale, per effetto delle erbe sepoltevi assieme
e di quella gomma portentosa, si era asciugato a dovere diventando così
molto più leggero. Il luogo della sepoltura l'aveva trovato per merito
di quel ciuffo di finocchio piantato sotto il mandorlo che, essendo primavera,
era tutto in fiore. Caricò quindi il baule, ormai marcio e ammuffito, sul
mulo che spinse davanti a sé fino a Castiglione del Lago dove si nascose.
Quando incontrava sulla sua strada dei cavalieri che gli chiedevano che cosa trasportasse
in quella cassa (poiché lo prendevano per un ladro), egli rispondeva che
là dentro portava la sua innamorata, e così quelli ridevano e lo
lasciavano passare. In questo modo Desiderio arrivò sano e salvo in terra
d'Arezzo, un'antica città della Toscana, e lì si fermò. Quando
si rinvenne il corpo di Messer Troilo, tutti rimasero sbalorditi. I suoi parenti
andarono su tutte le furie, ma Messer Orazio e Messer Ridolfo, gli zii di Troilo,
dissero: "Dopo tutto, è un bene, poiché, in verità,
il suo coraggio e la sua ferocia erano troppo grandi e, se fosse vissuto, avrebbe
potuto fare del male a tutti noi". Tuttavia disposero per un Magnifico funerale.
E, mentre giaceva morto nella strada, vennero in molti ad ammirare la sua grande
bellezza, specie i pittori, e certi studiosi lo paragonarono a Marte, dio della
guerra, tanto appariva possente e feroce anche da morto. E fu portato a spalle
alla tomba da otto uomini in arme, mentre lo seguivano dodici fanciulle e dodici
giovani vestiti di bianco che spargevano fiori, e ci furono e molto splendore
e molti lamenti, come si conveniva alla grande potenza del magnifico Casato dei
Baglioni. Quanto a Desiderio di Castiglione del Lago, egli rimase ad Arezzo
sino alla fine dei suoi giorni, tenendo sempre con sé il corpo di Monna
Maddalena in quel baule da sposa con il Trionfo d'Amore, perché riteneva
ch'ella fosse morta odore magnae sanctitatis.
(Tratto dalla raccolta
Ombre italiane, Guanda editori, Parma, 1988. Traduzione di Arnaldo Ederle.)
Vernon Lee
Su
Vernon Lee:
Musica udita dalla stanza accanto
Mario Praz
Nella mia adolescenza anch'io ebbi un vagheggiato mondo dei Guermantes o giardino
dei Finzi-Contini. A Firenze, oltre l'Affrico, c'era una plaga privilegiata per
illustri soggiorni: a Poggio Gherardo aveva forse sostato per qualche giorno la
brigata del Decamerone, alla Capponcina s'era creato la sua prima casa bella d'Annunzio.
I nomi delle ville di quell'angolo di paradiso, i Tatti, il Salviatino, Montalto,
per me, vissuto in quartieri ben più modesti, per non dire plebei, della
città rappresentavano quel che di più alto potevo immaginare nei
piaceri della natura e dello spirito. Nella mia ingenuità immaginavo felici
i fortunati abitatori di quell'incantevole plaga, e passando in bicicletta talvolta
per le sue stradine su cui i circostanti giardini diffondevano un'aura di sacrale
reverenza, provavo quasi il senso di una trasgressione. La mia prima ammissione
a codesto mondo incantato avvenne nel marzo 1920 e fu alla più appartata
di quelle ville, in realtà più che una villa una casa colonica sapientemente
adattata sì da combinare il sapore della rusticità con le raffinatezze
della cultura: il Palmerino, sotto Maiano. Ho raccontato altrove di quest'incontro
con Vernon Lee, la scrittrice inglese allora più che sessantenne che nell'ultima
parte dell'Ottocento aveva stupito la società dell'Occidente coi suoi saggi
brillanti e sensitivi, "miniere d'idee", particolarmente l'ambiente
intellettuale italiano, in cui era riuscita a farsi conoscere presto, fino dal
1875 (era nata nel 1856) allorché la "Rivista Europea" diretta
da Angelo De Gubernatis pubblicò di lei tre saggi sul romanzo inglese,
il primo d'introduzione generale e il secondo e il terzo su due romanziere contemporanee,
la Signora Jenkin e la Signora Kavenagh, alle quali oggi, inutile aggiungere,
nessuno riconosce cittadinanza letteraria. Se non fu felice nella sua presentazione
di contemporanei, Vernon Lee azzeccò giusto rievocando un periodo del nostro
passato di cui nessuno prima aveva centrato così bene lo spirito, e fu
grazie al Viaggio musicale di Charles Burney che la scrittrice, coordinando allo
spirito della musica le varie manifestazioni dell'arte e della letteratura italiana
del Settecento, diede quel libro prodigioso per una giovane poco più che
ventenne che sono gli Studies of the Eighteenth Century in Italy (1880)
che nella sua carriera occupano un posto simile a quello degli Studies in the
History of the Renaissance (1873) nella carriera di Walter Pater. Fu il
suo unico, vero, grande successo; e se in seguito pubblicò un numero cospicuo
di saggi estetici e sociologici, e anche qualche racconto e un romanzo, tutta
questa produzione, come osservo più oltre, rimase marginale all'epoca sua,
sicché di solito non le è neanche riconosciuto il merito d'aver
per prima diffuso e comunicato al Berenson quel criterio dell'Einfühlung
o empatia che, originariamente introdotto da un professore tedesco, il Lipps nella
sua Raumdsthetik del 1897, ha avuto tanta fortuna negli studi storico-artistici. A
cercare le ragioni dello stupefacente successo iniziale di questa scrittrice,
seguito da un lungo periodo di successo di stima, e infine dalla pressoché
completa ecclissi, ci aiuta lo studio di Peter Gunn, Vernon Lee, Violet Paget
1856-1935 (Oxford University Press, 1964) che è la prima opera che
getti luce sulla famiglia, la vita, l'ambiente della scrittrice e la cronologia
dei suoi movimenti (una data almeno trovo inesatta, quella del trasferimento della
sua residenza dalla villa del Palmerino alla casa più piccola della stessa
tenuta, che il Gunn colloca al 1922 mentre non dovette avvenire che nel 1924). Dei
vastissimi suoi interessi, quello che più incontrò il gusto del
pubblico fu l'interpretazione di luoghi e di atmosfere, il genius loci,
e di questa parzialità dei lettori si doleva la scrittrice, come ogni altro
artista che veda apprezzato più ciò che egli considera una sua opera
minore che la sua opera maggiore, come insegnano i casi del Petrarca e di Ingres.
Ma anche questa sua specialità ebbe di meno in meno presa sul pubblico
con l'andare degli anni. Osserva il Gunn sui saggi raccolti in Limbo, Genius
Loci, The Enchanted Woods, The Spirit of Rome, The Sentimental Traveller, The
Tower of Mirrors, The Golden Keys, Hortus Vitae, Laurus Nobilis, tutti volumi
usciti tra la fine del secolo scorso e il principio di questo, con titoli che
risentono del gusto ruskiniano:Questi piccoli saggi personali su vari temi
sono nella tradizione di Hazlitt e di Charles Lamb. Si rivolgono a gente colta,
che ha viaggiato, e che può disporre a suo agio del suo tempo: e da questo
periodo non ci sentiamo mai così distaccati come quando ci rendiamo conto
che pochi di noi oggi hanno il tempo libero o il tipo di gusto colto e sofisticato
che ci permetterebbero di cogliere il particolare sapore di quei saggi... Nel
maggio 1925 Aldous Huxley, lui stesso forse uno degli ultimi saggisti nel senso
tradizionale, le scrisse esprimendole il suo apprezzamento per questi suoi libri
l'impressioni di viaggio, e concludendo: "Per molti di noi, immagino, le
Natural Pieties di Wordsworth son la cosa più degna e soddisfacente.
Della teoria e della pratica di codeste "devozioni naturali" i vostri
libri sono un'esposizione quanto mai delicata e bella". Forse c'era
troppo spirito rapito fuor dei sensi in quei saggi, che pure rappresentavano il
contatto più intimo che la scrittrice avesse col mondo esteriore. Della
sua stupefacente cerebralità e del suo conseguente isolamento Peter Gunn
ci dà discretamente la chiave, senza la mano pesante d'uno psicanalista:
eppure tanto basta per farci comprendere che la vita di Vernon Lee, che poteva
apparire così appagata e felice al giovane di Firenze che nel 1920 era
stato ammesso al sancta sanctorum d'oltre Affrico, era tutt'altro che una
vita felice. Ricordiamo certi versi d'una contemporanea di Vernon Lee, Renée
Vivien (La Vénus des aveugles, 1903), dove si parla dell'"opprobre
des noces", delle "maternités lourdes" che "ont la
difformité des outres et des gourdes ", del "troupeau stupide
des familles". Non diversamente si esprimeva Vernon Lee, ma in prosa, e con
un'intonazione che Miss Cooper Willis, l'ultima delle sue amiche e sua esecutrice
testamentaria, diceva valer la pena di fare un viaggio apposta per sentirla: "Dalle
avventure matrimoniali delle mie amiche io torco gli occhi e dico: Ecco qualcosa
di primordiale!". La sua deliberata fin de non recevoir nei confronti
del lato fisico dell'uomo doveva collocarla al polo opposto di D.H. Lawrence,
col quale, per una circostanza occasionale, mancò d'incontrarsi, e sarebbe
stato un ben curioso incontro o piuttosto scontro, polemici com'erano entrambi.
Disse però di lui: "Egli vede più di quanto un essere umano
dovrebbe vedere; forse è per questo che odia tanto l'umanità". Aveva
bisogno di contiguità emotiva, ma visse nell'illusione che le sue amiche
fossero necessità solo intellettuali, e dall'intimità completa si
ritraeva come una mimosa pudica. Forse espresse la parte più profonda della
sua anima in quel dramma Ariadne in Mantua dove si parla d'un amore che
trascende il rapporto dei sessi e di una crudele solitudine quando uno non può
pretendere comprensione e conforto, non dir più: "Io soffro, aiutami!
", perché la creatura a cui lo si vorrebbe dire è proprio quella
che ti fa male e ti respinge. Si possono ricercare negli antecedenti familiari
e ambientali le ragioni della sua peculiare sensibilità e della sua repressione;
a suo dire discendeva da ubriachi proprietari di piantagioni della Giamaica; la
madre, una razionalista di tipo settecentesco, affascinante per le sue contraddizioni
(rideva delle genealogie della Bibbia ma credeva seriamente di discendere dai
re di Francia), disprezzava il marito, un precettore d'origine francese che s'interessava
solo della pesca e viveva a carico della moglie, e fin dall'infanzia Violet Paget
(il suo vero nome, Vernon Lee, essendo il suo pseudonimo letterario adottato per
l'ambiguità di quel Vernon che poteva essere sia femminile che maschile)
aveva visto per gli occhi della madre. Il fratellastro poi, Eugene Lee-Hamilton,
poeta che oggi si cerca di rivalutare, era un invalido, geloso e al tempo stesso
orgoglioso del genio della sorella, e doveva presentarle un ben triste campione
di virilità. E quanto all'ambiente, segnava la transizione tra l'èra
vittoriana con le sue repressioni e il suo riserbo, e l'inizio dell'èra
moderna, quando la curiosità di speculazione e di esperimento in tutti
i campi finì per orientarsi sulle orme di Freud. Vernon Lee era ossessionata
dall'impurità del mondo, e di questa ossessione son testimoni il suo studio
sull'Italia dei drammaturghi elisabettiani, e i suoi racconti fantastici dove
ricorre di frequente e sempre con stigmi demoniaci la figura d'una donna nuda.
Fosse nata o maturata più tardi, Vernon Lee forse non avrebbe visto in
Freud la sua bestia nera. Ma maturò presto: da una lettera di bambina sgrammaticata
alla sua prima composizione letteraria che ebbe l'onore della stampa non passarono
che quattro anni. Era matura a quattordici anni, e alla sua prodigiosa maturazione
molto contribuì un soggiorno a Roma nel 1868. A trentasette il suo periodo
mirabile era passato; non che si fosse cristallizzata, ma passato era il momento
dell'incontro col pubblico. La storia delle sue amicizie femminili è
una storia tragica. Di solito dopo un intenso periodo d'illusoria comunione spirituale
le donne la lasciavano, sovente per subire "l'opprobre des noces", per
unirsi al "troupeau stupide des familles". Così Mary Robinson,
colei dal cui libro di poesie, An Italian Garden, d'Annunzio trasse ispirazione
per "La passeggiata" del Poema paradisiaco: alla notizia del
suo fidanzamento col lessicografo Darmsteter, Vernon Lee ebbe un tale colpo che,
se dobbiam credere a Peter Gunn, il suo sistema nervoso ne fu scosso pel resto
della vita. Così Madame Bulteau, così Kit Anstruther-Thomson, che
a un certo momento non riuscì più a tollerare la sua cerebralità. Perché
Vernon Lee era un "meraviglioso cervello in vesti femminili". Una delle
amiche, Mrs. Forbes-Mosse, racconta che al primo incontro con Vernon Lee si sentì
come la Vergine dinanzi all'angelo dell'annunciazione. Gli angeli non hanno sesso,
e ad ogni modo non appartengono a questo mondo. Per questo Vernon Lee, nonostante
la sua brillante conversazione, la sua aggressività polemica, la sua vastità
d'interessi, poteva farsi ammirare, ma non amare, avere intimità con le
cose della natura, della cultura e dell'arte, ma non con gli uomini che sentivano
che quella di lei piuttosto che arte era un brillante artefatto. Sentiva profondamente
la musica (la musica classica, non la musica emozionale di Wagner), ma aveva bisogno
di udirla da un'altra stanza: "Certe sonate di Haydn mia madre le sonava
sera dopo sera nella stanza accanto. Questa preferenza per il traudire, per la
stanza vicina, può essere nata in me da un assurdo timore delle mie proprie
emozioni: mi sentivo più sicura nella stanza accanto, o meglio ancora,
fuori della finestra". Tale anche il suo atteggiamento verso la vita. Conobbe
un'immensa quantità di gente nel mondo, ma visse sempre "nella stanza
accanto".
Mario Praz
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