Ultimo viene il corvo
Italo Calvino
La corrente
era una rete di increspature leggere e trasparenti, con in mezzo l'acqua che andava.
Ogni tanto c'era come un battere d'ali d'argento a fior d'acqua: il lampeggiare
del dorso di una trota che riaffondava subito a zig-zag. - C'è pieno
di trote, - disse uno degli uomini. - Se buttiamo dentro una bomba vengono
tutte a galla a pancia all'aria, - disse l'altro; si levò una bomba dalla
cintura e cominciò a svitare il fondello. Allora s'avanzò il
ragazzo che li stava a guardare, un ragazzotto montanaro, con la faccia a mela.
- Mi dài, - disse e prese il fucile a uno di quegli uomini. - Cosa vuole
questo ? - disse l'uomo e voleva togliergli il fucile. Ma il ragazzo puntava l'arma
sull'acqua come cercando un bersaglio. "Se spari in acqua spaventi i pesci
e nient'altro", voleva dire l'uomo ma non finì neanche. Era affiorata
una trota, con un guizzo, e il ragazzo le aveva sparato una botta addosso, come
l'aspettasse proprio lì. Ora la trota galleggiava con la pancia bianca.
- Cribbio, - dissero gli uomini. Il ragazzo ricaricò l'arma e la girò
intorno. L'aria era tersa e tesa: si distinguevano gli aghi sui pini dell'altra
riva e la rete d'acqua della corrente. Una increspatura saettò alla superficie:
un'altra trota. Sparò: ora galleggiava morta. Gli uomini guardavano un
po' la trota un po' lui. - Questo spara bene, - dissero. Il ragazzo muoveva
ancora la bocca del fucile in aria. Era strano, a pensarci, essere circondati
così d'aria, separati da metri d'aria dalle altre cose. Se puntava il fucile
invece, l'aria era una linea diritta ed invisibile, tesa dalla bocca del fucile
alla cosa, al falchetto che si muoveva nel cielo con le ali che sembravano ferme.
A schiacciare il grilletto l'aria restava come prima trasparente e vuota, ma lassú
all'altro capo della linea il falchetto chiudeva le ali e cadeva come una pietra.
Dall'otturatore aperto usciva un buon odore di polvere. Si fece dare altre
cartucce. Erano in tanti ormai a guardarlo, dietro di lui in riva al fiumicello.
Le pigne in cima agli alberi dell'altra riva perché si vedevano e non si
potevano toccare? Perché quella distanza vuota tra lui e le cose? Perché
le pigne che erano una cosa con lui, nei suoi occhi, erano invece là, distanti?
Però se puntava il fucile la distanza vuota si capiva che era un trucco;
lui toccava il grilletto e nello stesso momento la pigna cascava, troncata al
picciòlo. Era un senso di vuoto come una carezza: quel vuoto della canna
del fucile che continuava attraverso l'aria e si riempiva con lo sparo, fin laggiú
alla pigna, allo scoiattolo, alla pietra bianca, al fiore di papavero. - Questo
non ne sbaglia una, - dicevano gli uomini e nessuno aveva il coraggio di ridere. -
Tu vieni con noi, - disse il capo. - E voi mi date il fucile, - rispose il
ragazzo. - Ben. Si sa. Andò con loro. Parti con un tascapane pieno
di mele e due forme di cacio. Il paese era una macchia d'ardesia, paglia e sterco
vaccino in fondo alla valle. Andare via era bello perché a ogni svolta
si vedevano cose nuove, alberi con pigne, uccelli che volavano dai rami, licheni
sulle pietre, tutte cose nel raggio delle distanze finte, delle distanze che lo
sparo riempiva inghiottendo l'aria in mezzo. Non si poteva sparare però,
glielo dissero: erano posti da passarci in silenzio e le cartucce servivano per
la guerra. Ma a un certo punto un leprotto spaventato dai passi traversò
il sentiero in mezzo al loro urlare e armeggiare. Stava già per scomparire
nei cespugli quando lo fermò una botta del ragazzo. - Buon colpo, - disse
anche il capo, - però qui non siamo a caccia. Vedessi anche un fagiano
non devi piú sparare. Non era passata un'ora che nella fila si sentirono
altri spari. - È il ragazzo di nuovo! - s'infuriò il capo e andò
a raggiungerlo. Lui rideva, con la sua faccia bianca e rossa, a mela. - Pernici,
- disse, mostrandole. Se n'era alzato un volo da una siepe. - Pernici o grilli,
te l'avevo detto. Dammi il fucile. E se mi fai imbestialire ancora torni al paese. Il
ragazzo fece un po' il broncio; a camminare disarmato non c'era gusto, ma finché
era con loro poteva sperare di riavere il fucile. La notte dormirono in una
baita da pastori. Il ragazzo si svegliò appena il cielo schiariva, mentre
gli altri dormivano. Prese il loro fucile piú bello, riempi il tascapane
di caricatori e usci. C'era un'aria timida e tersa, da mattina presto. Poco discosto
dal casolare c'era un gelso. Era l'ora in cui arrivavano le ghiandaie. Eccone
una: sparò, corse a raccoglierla e la mise nel tascapane. Senza muoversi
dal punto dove l'aveva raccolta cercò un altro bersaglio: un ghiro! Spaventato
dallo sparo, correva a rintanarsi in cima ad un castagno. Morto era un grosso
topo con la coda grigia che perdeva ciuffi di pelo a toccarla. Da sotto il castagno
vide, in un prato piú basso, un fungo, rosso coi punti bianchi, velenoso.
Lo sbriciolò con una fucilata, poi andò a vedere se proprio l'aveva
preso. Era un bel gioco andare così da un bersaglio all'altro: forse si
poteva fare il giro del mondo. Vide una grossa lumaca su una pietra, mirò
il guscio e raggiunto il luogo non vide che la pietra scheggiata, e un po' di
bava iridata. Cosi s'era allontanato dalla baita, giú per prati sconosciuti. Dalla
pietra vide una lucertola su un muro, dal muro una pozzanghera e una rana, dalla
pozzanghera un cartello sulla strada, bersaglio facile. Dal cartello si vedeva
la strada che faceva zig-zag e sotto: sotto c'erano degli uomini in divisa che
avanzavano ad armi spianate. All'apparire del ragazzo col fucile che sorrideva
con quella faccia bianca e rossa, a mela, gridarono e gli puntarono le armi addosso.
Ma il ragazzo aveva già visto dei bottoni d'oro sul petto di uno di quelli
e fatto fuoco mirando a un bottone. Senti l'urlo dell'uomo e gli spari a raffiche
o isolati che gli fischiavano sopra la testa: era già steso a terra dietro
un mucchio di pietrame sul ciglio della strada, in angolo morto. Poteva anche
muoversi, perché il mucchio era lungo, far capolino da una parte inaspettata,
vedere i lampi alla bocca delle armi dei soldati, il grigio e il lustro delle
loro divise, tirare a un gallone, a una mostrina. Poi a terra e lesto a strisciare
da un'altra parte a far fuoco. Dopo un po' senti raffiche alle sue spalle, ma
che lo sopravanzavano e colpivano i soldati: erano i compagni che venivano di
rinforzo coi mitragliatori. - Se il ragazzo non ci svegliava coi suoi spari, -
dicevano. Il ragazzo, coperto dal tiro dei compagni, poteva mirare meglio.
Ad un tratto un proiettile gli sfiorò una guancia. Si voltò: un
soldato aveva raggiunto la strada sopra di lui. Si buttò in una cunetta,
al riparo, ma intanto aveva fatto fuoco e colpito non il soldato ma di striscio
il fucile, alla cassa. Senti che il soldato non riusciva a ricaricare il fucile,
e lo buttava in terra. Allora il ragazzo sbucò e sparò sul soldato
che se la dava a gambe: gli fece saltare una spallina. L'insegui. Il soldato
ora spariva nel bosco ora riappariva a tiro. Gli bruciò il cocuzzolo dell'elmo,
poi un passante della cintura. Intanto inseguendosi erano arrivati in una valletta
sconosciuta, dove non si sentiva piú il rumore della battaglia. A un certo
punto il soldato non trovò piú bosco davanti a sé, ma una
radura, con intorno dirupi fitti di cespugli. Ma il ragazzo stava già per
uscire dal bosco: in mezzo alla radura c'era una grossa pietra; il soldato fece
appena in tempo a rimpiattarcisi dietro, rannicchiato con la testa tra i ginocchi. Là
per ora si sentiva al sicuro: aveva delle bombe a mano con sé e il ragazzo
non poteva avvicinarglisi ma solo fargli la guardia a tiro di fucile, che non
scappasse. Certo, se avesse potuto con un salto raggiungere i cespugli, sarebbe
stato sicuro, scivolando per il pendio fitto. Ma c'era quel tratto nudo da traversare:
fin quando sarebbe rimasto lí il ragazzo ? E non avrebbe mai smesso di
tenere l'arma puntata? Il soldato decise di fare una prova: mise l'elmo sulla
punta della baionetta e gli fece far capolino fuori dalla pietra. Uno sparo, e
l'elmo rotolò per terra, sforacchiato. Il soldato non si perse d'animo;
certo mirare li intorno alla pietra era facile, ma se lui si muoveva rapidamente
sarebbe stato impossibile prenderlo. In quella un uccello traversò il cielo
veloce, forse un galletto di marzo. Uno sparo e cadde. Il soldato si asciugò
il sudore dal collo. Passò un altro uccello, una tordella: cadde anche
quello. Il soldato inghiottiva saliva. Doveva essere un posto di passo, quello:
continuavano a volare uccelli, tutti diversi e quel ragazzo a sparare e farli
cadere. Al soldato venne un'idea: "Se lui sta attento agli uccelli non sta
attento a me. Appena tira io mi butto". Ma forse prima era meglio fare una
prova. Raccattò l'elmo e lo tenne pronto in cima alla baionetta. Passarono
due uccelli insieme, stavolta: beccaccini. Al soldato rincresceva sprecare un'occasione
così bella per la prova, ma non si azzardava ancora. Il ragazzo tirò
a un beccaccino, allora il soldato sporse l'elmo, senti lo sparo e vide l'elmo
saltare per aria. Ora il soldato sentiva un sapore di piombo in bocca; s'accorse
appena che anche l'altro uccello cadeva a un nuovo sparo. Pure non doveva fare
gesti precipitosi: era sicuro dietro quel masso, con le sue bombe a mano. E perché
non provava a raggiungere il ragazzo con una bomba, pur stando nascosto? Si sdraiò
schiena a terra, allungò il braccio dietro a sé, badando a non scoprirsi,
radunò le forze e lanciò la bomba. Un bel tiro; sarebbe andata lontano;
però a metà della parabola una fucilata la fece esplodere in aria.
Il soldato si buttò faccia a terra perché non gli arrivassero schegge. Quando
rialzò il capo era venuto il corvo. C'era nel cielo sopra di lui un uccello
nero che volava a giri lenti, un corvo forse. Adesso certo il ragazzo gli avrebbe
sparato. Ma lo sparo tardava a farsi sentire. Forse il corvo era troppo alto?
Eppure ne aveva colpito di piú alti e veloci. Alla fine una fucilata: adesso
il corvo sarebbe caduto, no, continuava a girare lento, impassibile. Cadde una
pigna, invece, da un pino lí vicino. Si metteva a tirare alle pigne, adesso?
A una a una colpiva le pigne che cascavano con una botta secca. A ogni sparo
il soldato guardava il corvo: cadeva? No, l'uccello nero girava sempre piú
basso sopra di lui. Possibile che il ragazzo non lo vedesse? Forse il corvo non
esisteva, era una sua allucinazione. Forse chi sta per morire vede passare tutti
gli uccelli: quando vede il corvo vuol dire che è l'ora. Pure, bisognava
avvertire il ragazzo che continuava a sparare alle pigne. Allora il soldato si
alzò in piedi e indicando l'uccello nero col dito, - Là c'è
il corvo! - gridò, nella sua lingua. Il proiettile lo prese giusto in mezzo
a un'aquila ad ali spiegate che aveva ricamata sulla giubba. Il corvo s'abbassava
lentamente, a giri.
(Tratto dall'antologia Racconti della Resistenza, a cura di Gabriele
Pedullà, Einaudi editrice, Torino, 2005)
Italo Calvino
Precedente Successivo
Copertina
|