Il signor Di Stefano, vecchio medico in pensione, abitava sul
nostro stesso pianerottolo, proprio alla porta accanto. Le mura del palazzo in
cui viviamo sono piuttosto sottili e quando la sera tardi si addormentava davanti
alla televisione non bastavano i pugni dati alla parete, mi toccava uscire, bussare
al suo campanello e aspettare ogni volta un quarto d'ora prima che mi sentisse.
Ma non mi sono mai arrabbiata con il signor Di Stefano. Una sera venne ad aprirmi
con indosso il pigiama e una vestaglia macchiata di sugo e i capelli ritti in
testa, mi disse "Anna mi devi scusare perché non ci mettiamo d'accordo?". Per
farla breve mi consegnò una copia del suo mazzo di chiavi autorizzandomi ad entrare
direttamente in casa sua per spegnere la televisione mentre lui continuava a riposare
sulla poltrona, a patto che stessi attenta a non svegliarlo perché, come mi aveva
spiegato, da un po' di tempo riusciva a dormire solo poche ore per notte e allora
sarebbe stato un vero peccato fargli perdere quel poco di sonno che arrivava a
rubare alla vecchiaia. Il signor Di Stefano era fatto così, diceva 'sono diventato
vecchio in un giorno' e chi lo ascoltava credeva parlasse del giorno in cui era
morta la signora Erminia, sua moglie, una donna gentile e di buon cuore che non
mi aveva mai rifiutato il favore di badare per un'oretta alla bambina quando ne
avevo bisogno. Io però sapevo che non era a quel terribile mattino che il
signor Di Stefano si riferiva né alle giornate successive, quando le piccole incombenze
pratiche come il funerale da organizzare, amici e parenti da accogliere e tutto
il resto gli avevano distratto la coscienza dal dolore che già nasceva ma preferiva
restarsene in agguato chissà dove. Qualche mese dopo lo vidi uscire dall'ascensore
con una poltrona color verde muffa, piena di graffi sui braccioli e un brandello
di spugna che penzolava da uno strappo sullo schienale. Lo aiutai a portarla in
casa, la sistemammo a un metro dalla televisione, gli chiesi "Dottò, dove l'avete
trovata questa specie di trappola?" "Al mercatino delle pulci." "Ma
non potevate comprarne una nuova?" "Nuove non ce n'erano, soltanto usate…
e questa mi sembrava la meno sciupata." "L'ex proprietario doveva avere un
gatto." osservai indicando le feroci unghiate sui braccioli. Il signor Di
Stefano accese il video e si accomodò soddisfatto sulla poltrona, con il telecomando
in mano puntato come un'arma cominciò a esaminare i vari canali. "Non avrete
per caso intenzione di starvene tutto il tempo così?" gli domandai perplessa.
"Annarè, nella mia vita ho fatto tanto, adesso voglio vedere che fanno gli
altri." mi rispose con un mezzo sorrisetto sulle labbra. E così fece. Di
tanto in tanto il figlio, medico anche lui, veniva a misurargli la pressione e
poi bussava a casa nostra per un caffè, qualche amico di rado si presentava per
fargli un poco di compagnia, consegnandogli parole sempre uguali, del tipo 'devi
uscire, ti fa male startene sempre chiuso, stai diventando pallido come un fantasma,
perché non ti vai a fare una passeggiatina…" Io gli preparavo da mangiare
a pranzo e a cena, se avevo tempo davo una riordinata nella stanza, scambiavamo
quattro chiacchiere sulla mia soap-opera preferita di cui lui era diventato espertissimo,
ne sapeva più di me che per un motivo o per un altro qualche puntata pure me la
perdevo. Neanche una volta mi permisi di criticare il suo nuovo stile di
vita, consigliandogli di provare a mettere il naso fuori di casa e sapevo che
di me apprezzava soprattutto questo. Il signor Di Stefano morì circa un anno
dopo, lo trovammo io e il tecnico della televisione che doveva riparargli un guasto
al tubo catodico, il tecnico si scusò insistentemente con me per il ritardo, con
gli occhi lucidi mi raccontava di come il mattino precedente un imprevisto non
gli aveva consentito di rispondere subito alla chiamata. Che brutti pensieri
mi venivano in casa del signor Di Stefano, al ritorno avvertivo la necessità di
risciacquarmi ben bene la faccia nel lavandino del bagno e di fumarmi una bella
sigaretta, con la tavola già apparecchiata che attendeva insieme a me il ritorno
da scuola della mia bambina, Chiara. Mia figlia frequenta la seconda elementare,
oggi le hanno insegnato che amore si scrive con una sola emme, io la guardo il
pomeriggio mentre fa i compiti sul tavolo della cucina, riempie quaderni interi
con le stesse frasi ricopiate decine di volte per imparare senza errori, le sta
spuntando una bella calligrafia e difficilmente si sporca le mani con l'inchiostro,
non fa le orecchie alle pagine, è molto ordinata, quando ha concluso rimette tutto
a posto nello zainetto con una attenzione eccessiva per la sua età. La maestra
dice che è una bambina molto matura. La maestra è una stupida, non esistono bambini
maturi, la compostezza di mia figlia è una dedica al padre che lavora di notte
e dorme di giorno, il pomeriggio in casa stiamo in silenzio per permettergli di
riposare, mia figlia ha semplicemente compreso che ordine e silenzio e una serata
che finisce bene sono la stessa cosa. Un giorno dovrò anche spiegarle che
l'ammore con le due emme esiste, non si tratta soltanto di un errore di ortografia,
le ricorderò di quella volta che abbiamo preso la metropolitana per andare a trovare
i nonni e abbiamo sbagliato corsa, sui cartelli delle fermate c'erano nomi nuovi
che lei non riusciva a leggere bene come quelli consueti che faceva finta di sillabare
davanti agli altri passeggeri ma in realtà conosceva a memoria e ad un tratto
il treno ha puntato in alto ed ha scalato la terra, ci siamo ritrovate di nuovo
alla luce del sole, la stazione di un paesino in collina, appena fuori città,
la nostra città che per la prima volta ci appariva identica alle cartoline comprate
a pacchi dai turisti, il presepe di case vecchie e diroccate che scendono a braccetto
fino al mare malignando fitto fitto a bassa voce sulla dabbenaggine dei palazzoni
di vetro del centro direzionale, i lunghi assili del porto, il volo in circolo
dei gabbiani, batuffoloni di ovatta dimenticati nel cielo stanco di smistare preghiere
e bestemmie e sogni che si dissolvono appena in tempo, come è giusto che sia,
giusto un attimo prima di guastarti la vita. Chiara è intelligente, sono sicura
che capirà, anche oggi che è soltanto una bambina spaventata che gira per casa
ripetendo alla bambola i nomi delle cose mi basta guardarla negli occhi, per sapere
che capirà.
|