SPIRITO DI FAMIGLIA
Françoise Plonquim
Proviamo un sentimento di disagio quando un francese utilizza l’inglese per chiedere un’informazione in una strada di Firenze, di Siviglia o di Coimbra, questo per non menzionare Montevideo o Porto Alegre. O quando un parlante di spagnolo o di portoghese agisce nello stesso modo a Parigi. Questa attitudine ignora il rapporto di parentela tra le lingue dell’Europa del Sud (e quindi dell’America Latina) originarie dal latino. Tra le lingue romanze – francese, italiano, spagnolo, catalano, portoghese, rumeno – l’intercomprensione è non soltanto desiderabile, ma anche possibile e facile da acquisire. L’intercomprensione consiste nel fatto di capire le lingue senza parlarle: ciascuno parla o scrive nella propria lingua, e capisce quella degli altri. Questo processo, che non richiede nessuna conoscenza previa del latino, è in grado di collegare un insieme di paesi che appartengono alla stessa famiglia linguistica, e che hanno interessi e culture prossime tra di loro.
Per un parlante di una lingua romanza, le altre lingue della stessa famiglia sono più immediatamente trasparenti delle altre. È lo stesso per i parlanti delle lingue slave – russo, polacco, ceco, sorbo-croata e bulgaro – e per quelli della famiglia delle lingue germaniche – inglese, tedesco e olandese. Questa nozione di “famiglie di lingue” gli scandinavi l’hanno compresa bene e già da molto tempo: un danese, un norvegese e uno svedese si capiscono se ognuno parla sua lingua. L’abitudine di appoggiarsi alle somiglianze (da utilizzare soprattutto quando uno si esprime) e lo studio delle differenze sistematiche (da conoscere, purché esse non disturbino la comprensione) permettono agli scandinavi di comunicarsi facilmente tra di loro, e in questo modo di vivere in una grande comunità. È già da più di un secolo che in ognuno di questi tre grandi paesi si insegna alla scuola le basi della grammatica delle lingue degli altri due.
Durante l’ultimo decennio sono state compiute diverse ricerche interessanti sull’apprendistato e l’intercomprensione delle lingue romanze. All’interno del programma europeo Lingua, due progetti, poi collegati, che sono stati sviluppati da gruppi di studi di altri paesi di lingue latine d’Europa, hanno permesso numerose osservazioni e sperimentazioni: Galatea, sotto la responsabilità di Luoise Dabène (Università Stendhal – Grenoble -III), e Eurom4, sotto la direzione di Claire Blanche-Benveniste (Università di Provence – Aix-Marsiglia). È stato prodotto un importante materiale, che richiederà un’attualizzazione e un posteriore sviluppo. I loro appassionati seguaci continuano il loro lavoro a Roma, a Barcellona e a Reims.
L’università danese d’Aarhus, a partire dell’esperienza scandinava, ha dimostrato che è possibile sperare risultati simili riguardo al gruppo di lingue latine. In Argentina, una forte colonia italiana si dedica all’apprendistato delle lingue del Cono Sud del continente. All’Università della British Columbia (UBC) di Vancouver, il dipartimento di Francese, indebolito, si è ripreso attraverso la proposta dell’iniziazione alle lingue romanze... Il lavoro portato avanti da gruppi di studenti volontari, ma non esperti (Eurom4), dimostra che in soltanto sessanta ore un parlante di una lingua romanza può essere in grado di leggere e di capire dei testi in tre altre lingue (libri, enciclopedie, articoli sulla stampa). Per la maggioranza degli individui, ci vorrà magari un po’ più di tempo per arrivare a una buona padronanza della comprensione del linguaggio orale (conversazioni, film, radio e televisione).
La diffusione di tali metodi nel sistema educativo trova un grosso ostacolo: non trovano accoglienza nella definizione delle politiche ufficiali di insegnamento delle lingue, e quindi nella formazione dei professori. Preparati soltanto ad insegnare una lingua straniera, convinti che la loro missione è trasmetterla ai loro allievi nella loro integrità, i professori non possono fare altro che rassegnarsi a un insegnamento, ai loro occhi riduttivo, di una competenza parziale. Per vincere queste resistenze, e nel contesto di una nuova politica, i metodi formativi dovranno prendere in considerazione non più una lingua, ma una famiglia di lingue. Un professore che padroneggi diverse lingue avrà una visione più adeguata di ciascuna di esse, e la tolleranza avrà buone possibilità di occupare lo spazio dell’esigenza di perfezione: l’intercomprensione fa ricorso ampiamente alle somiglianze tra le lingue più vicine, e allo sforzo per districarle.
Tutti gli esperti sanno che l’acquisto di una lingua straniera nella sua totalità è un’impresa difficilissima e di lungo termine, e che il bilinguismo reale non è altro che un mito, con l’eccezione delle persone che sono state immerse dalla loro infanzia in un universo bilingue, o che abbiano passato una parte della loro vita in un paese nel quale hanno assorbito la lingua. Nella tecnica dell’intercomprensione, quando ogni parte è all’ascolto dell’altra, la produzione in una lingua straniera è inutile. L’elemento più difficile dell’apprendistato, quello che mette in azione i meccanismo più complessi, è così soppresso. Il guadagno in tempo e in impegno è considerevole.
Ripensare l’apprendistato attraverso le famiglie di lingue avrà molteplici vantaggi. Sul piano individuale, un sentimento di uguaglianza e di comfort sarà condiviso: nessuno rinuncia alla sua lingua per adottare quella di un altro. L’attenzione è mobilitata soltanto per capire le frasi che uno ascolta, e in questo modo la fatica è molto ridotta. Ogni parlante può quindi esprimersi in modo preciso e con tutte le sfumature. E a livello politico, tanto europeo quanto internazionale, questo apprendistato metterà in motto la dinamica di multipolarità e di democrazia linguistica che sarà in grado di affrontare la sfida dell’iperpotenza dell’inglese e della lingua unica.
(Articolo tratto da Le Monde Diplomatiche, Gennaio 2005, traduzione dal Francese di Julio Monteiro Martins)
Precedente
Copertina
|