DAI CONFINI AL CENTRO DELLA GALASSIA

Bernard Cassen



Il lavoro del linguista olandese Abram de Swaan, ripreso e concluso dal francese Louis-Jean Calvet, propone un modello di funzionamento del sistema linguistico mondiale detto “gravitazionale” o “galattico”, nel quale il centro è occupato dall’Inglese. Questo sistema non è caduto dal cielo: è il risultato storico della logica del potere, delle guerre, delle invasioni, delle migrazioni, delle dominazioni coloniali, ecc.

Attualmente esso rispecchia anche i rapporti di forza economici e, soprattutto, ideologici: la conquista degli spiriti è, da questo punto di vista, altrettanto determinante quanto quella dei territori.
Alla base, circa 6000 lingue, delle quali il 90% sono parlate da meno del 5% della popolazione mondiale, e che noi chiamaremo periferiche. Ne abbiamo contate 500 che sono utilizzate da meno di 100 persone. All’interno di uno stesso Stato possiamo trovarne anche molte centinaia, e il primato appartiene alla Papua-Nuova Guinea (850), seguita dalla Indonesia (670), dalla Nigeria (410) e dall’India (380). Per non restare completamente isolata una comunità linguistica periferica può connettersi orizzontalmente con la sua vicina attraverso dei parlanti bilingui, ma si tratta di un caso raro: in generale i membri di questi gruppi si comunicano attraverso un intermediario di una lingua di livello immediatamente superiore – come il quechua nel Sudamerica; il wolof, il lingala e il bambara in Africa – che noi denomineremo lingua centrale.
Le lingue centrali attorno alle quali gravitano tra una o due unità e molte decine di lingue periferiche, sarebbero un centinaio. Queste sono le lingue ufficiali o nazionali, quelle dell’amministrazione, della giustizia, della scrittura in generale, e anche quelle della comunicazione elettronica. Tutte le lingue europee sono centrali riguardo alle lingue regionali e “minoritarie” di un determinato territorio nazionale: l’olandese rispetto al frisone, il finlandese rispetto al saami, il danese rispetto al feringio, l’inglese riguardo allo scozzese, il gallese, il gallico e l’irlandese, il francese riguardo l’alsaziano, il basco, il bretone, il corso e l’occitano.
Alcune di queste lingue, tutte centrali all’interno di uno stato, sono tuttavia più centrali di altre, perché sono allo stesso tempo localizzate al centro di costellazioni che raggruppano altre lingue centrali “straniere”: sono le lingue dette supercentrali. Abram de Swaan ne ha identificate dodici: il tedesco, l’arabo, il cinese, l’inglese, lo spagnolo, il francese, l’hindi, il giapponese, il malese, il portoghese, il russo e il swahili. Louis-Jean Calvet considera invece che il tedesco e il giapponese, per il fatto che non hanno un numero significante di altre lingue orbitanti attorno a loro, non avrebbero un ruolo supercentrale, anche se il numero dei loro utenti oltrepassa i cento milioni in entrambi i casi. Le lingue supercentrali sono quelle della comunicazione in uno spazio regionale o internazionale, esso stesso eredità dalla colonizzazione (inglese, spagnola, francese, portoghese).
Ma quando un cinese o un russo si incontrano – a meno che tutti e due siano stati colleghi e abbiano lavorato insieme a Cuba, ciò che permetterà loro di dialogare in spagnolo – ci sono scarse possibilità che uno di loro parli o capisca la lingua dell’altro, e allora loro utilizzaranno probabilmente, se la conoscono, la lingua di connessione delle lingue supercentrali: l’inglese, cioè la lingua ipercentrale. Verifichiamo così che, dalla più piccola lingua amerindia o africana all’inglese ci sono molteplici catene di interlocutori (bilingue o multilingue) spinte verso l’alto attraverso successivi gradini, che garantiscono in questo modo la comunicabilità dalla periferia al centro.


(Articolo tratto da Le Monde Diplomatiche, Gennaio 2005, traduzione dal Francese di Julio Monteiro Martins)



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