GEOMETRIE DI LIBERTÀ


Alberto Masala

 

– Questo libro comprende due interviste ad Alberto Masala sul tema dell’arte e dell’etica nell’azione culturale, realizzate in tempi diversi da Luca Panzavolta e Antonio Barocci –

 

(...) Dove sono i limiti? Nella capacità di costruzione del pensiero, nella sua strutturazione applicativa, nella sua forma di rappresentazione? Ti ho sentito parlare di geometrie di libertà. Cosa significa?

Le geometrie... Mi piace toccare questo argomento perché trovo che sia esemplificativo di come agisce il sistema di controllo sociale che per eternarsi, per auto-replicarsi, ha elaborato forme pedagogiche chiuse.
Le geometrie che vengono tramandate in modo subliminale sono il primo passo verso una concezione chiusa dei sistemi sociali, non creativa, pesantemente strutturata. Sono la rappresentazione primitiva della struttura imposta perché educano a visioni predeterminate in schemi. Comunicano forme chiuse di pensiero, controllate, definite, da cui non si deve uscire. Non ti insegnano mai forme aperte: sarebbero destabilizzanti, sovversive. Non ti dicono mai che chi veramente capisce la geometria è il fumo, l'acqua...

Come sei arrivato a queste deduzioni? Attraverso quali percorsi l'hai capito?

Una volta ebbi la fortuna di inciampare in una visione: guidando la macchina di notte, sull'asfalto grigio, vidi una scatola in mezzo alla strada. Mentre cercavo di evitarla o di frenare, la scatola si mosse. Avevo visto il vuoto tra le zampe di un cane. Avevo intuito le geometrie della visione: il vuoto e il pieno. Erano finalmente quelle strutture fisiche di cui avevo bisogno per organizzare la pratica della visione in modo autonomo, irriproducibile: per uscire dagli schemi. Erano le forme della libertà, le geometrie in continua evoluzione, aperte, in movimento.
Più avanti, parlando con il professor G. S. (un personaggio dei miei scritti, ma che esisteva realmente in un manicomio), osservavo le foglie di un albero mentre il vento le scuoteva leggermente. Erano vuoti e pieni, geometrie in dolce discussione con la natura. Gli chiesi che cosa ne pensasse, che spazio ci fosse tra loro. Mi rispose semplicemente: "lo spazio di un raggio di sole".

Come arriva l'intuizione?

Secondo me è una combinazione di tre elementi: coscienza, fortuna e sguardo.
Potenzialmente tutti incontriamo le stesse cose. La coscienza è quell' atteggiamento che ti consente di analizzare, la fortuna è la condizione che ti fa "inciampare" nelle cose, lo sguardo è la capacità di vederle. Se ci si allena a coltivare questi tre elementi si ha coscienza della propria fortuna e del proprio sguardo. Tutto questo ti consente di rielaborare, dall'interno, l'intuizione. È una spirale che si evolve senza interruzione.
Averne coscienza significa allenarsi sempre ad incontrare il caso in un superamento continuo di sé stessi.

Tu parli spesso del problema del tempo...

Il tempo non è dentro di noi: in noi è innata solo l'intuizione dello spazio. Un bambino ha bisogno di conoscere lo spazio, di lanciare i suoi giochi per avere l'esperienza. L'unico TEMPO che trova SPAZIO dentro di noi è il tempo naturale. L'altro è un concetto indotto. In un bambino le scansioni temporali sono dettate da bisogni vitali, da ritmi naturali. Il tempo è come una struttura geometrica che l'impianto di controllo utilizza per esplicarsi, per attuarsi.
Come dice Burroughs, il concetto di tempo nasce dalla paura della morte. Un individuo che viene tenuto nella paura sente amplificato il suo tempo.
Nei sistemi complessi, come quello statuale, la scienza del controllo sociale ha bisogno di meccanismi per autoriprodursi. Il primo che mette in atto è la tecnica di trasmissione dello schema, la pedagogia, con cui tramanda una concezione dell'uomo funzionale in condizioni di esistenza innaturale nei confronti di sé e degli altri. In ogni epoca hanno trovato tecniche più o meno coercitive e violente, manifeste o subliminali.
Per raffinare il controllo sono state elaborate due scienze che diventano necessarie dove fallisce la pedagogia: sociologia e psicologia. La sociologia studia i comportamenti sociali e trae delle analisi per organizzare la struttura, la psicologia agisce nel momento in cui l'uomo si trova fuori tempo (tempo indotto). Ambedue hanno il compito di reintegrarlo nel sistema chiuso.
La seconda fase dell'uso di queste scienze si traduce per la sociologia in impianto delle leggi e per la psicologia in psichiatria.
Gli strumenti coercitivi di questi due sistemi sono il carcere e il manicomio (o Trattamento Sanitario Obbligatorio), due istituzioni totali che restringono estremamente lo spazio per amplificare enormemente il tempo.
In sintesi: il tempo è una convenzione, come una macchina. E vorrebbero convincerti che sei tu a sceglierne i manovratori.
Simbolo del tempo è la morte... la fine... la scadenza ultima e totale...

Si ha paura della morte....

L'uomo ha paura della morte perché è la raffigurazione ultima della diversità e la demonizza proprio come demonizza il diverso, che fa paura ma può anche affascinare. E inventa gli dei, inventa i sistemi di potere per trasferire altrove i suoi problemi e allontanarsi dal concetto di socialità e di coscienza di sé.
Lucrezio, da Epicuro, diceva che finché l'uomo ha avuto addosso il peso degli dei ha strisciato come una serpe. Solo quando ha acquistato dignità, ha potuto alzare la testa ed abolire gli dei.
La struttura di controllo nasce quindi da questa paura e dalle sue rappresentazioni estese fra le quali il tempo è la più perfezionata.
Come dicevo prima, il controllo si autoriproduce mediante la pedagogia e sceglie le persone che dovranno replicarlo: se la pedagogia su di te ha avuto buoni risultati sarai un prescelto. Il nazismo per esempio è stato un tentativo di controllo di massa tangibile che educava l'uomo ad una superiorità.
Il sistema statuale contemporaneo (primo fra tutti quello degli U.S.A.) opera in modo più raffinato, ma analogamente smascherabile.
È un impianto nevrotico che ogni tanto schizza...
Molto più sottili e diffusi sono invece i sistemi, siano statuali o no, che producono un'estetica, oltre che un'etica. Ma nell'uomo c'è anche un senso innato di liberazione.
È stato quindi l'uomo stesso a darsi ogni regime per distanziarsi dalla sua paura, e costruendo sistemi di potere vuole dominare, prevarica, uccide, non si riconosce più in una specie, perde la sua identità, perde l'equilibrio. Così non si limita a schiacciare i suoi simili, ma calpesta anche il suo ambiente e gli altri esseri. Non ha più armonia... Distrugge... (...)


(Brano tratto dal libro Geometrie di Libertà, Editrice Zona, Arezzo, 2003)


Alberto Masala – scrittore, traduttor, artista – sardo, vive a Bologna. Autore di numerose pubblicazioni (tra le quali Mediterranea, il Maestrale, 1999 – Proveniamo da estremi, Erosha/ETL, 2002 – Taliban, ETL 2002), è stato tradotto negli Stati Uniti e in Francia, e appare in diverse antologie (Italia, Germania, Ungheria, Spagna, Albania, Bosnia). Ha tradotto, fra gli altri, Judith Malina, Serge Pey e Jack Kerouac. Agisce prevalentemente in un contesto internazionale, in rapporto con artisti di diverse provenienze. È fondatore di minores, movimento poetico per la dignità delle culture.



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