IL PONTE SUL FIUME DORO


João Steudel Areão

 

(- un brano del romanzo -)

 

(…) Poiché Rubens e Benedito erano gli unici ad avere una carabina .30, arma di massima precisione, il comandante ordinò che si mettessero in posizione tale da tenere costantemente sotto tiro le due sentinelle del ponte, ma che sparassero solo in caso estremo.
Il sergente aveva appena finito di dare l’ordine, quando Fritz notò qualcosa nel fiume.
Gridò al compagno che si trovava all’altro capo, puntando l’arma in prossimità di Arno.
Quindi lasciò il suo posto e si diresse verso la riva, sempre inquadrato dal mirino della carabina di Benedito.
– Sembra che non abbia visto Arno perché continua a tenere l’arma a tracolla. Deve aver visto una cosa qualsiasi – commentò Coutinho, seguendolo con il binocolo.
Il soldato tedesco, camminando sui sassi per non bagnare gli stivali, avanzava nel fiume.
Si abbassò e afferrò un fagotto.
Era lo zaino che Arno aveva perso la notte precedente.
I partecipanti alla spedizione brasiliana, vicini alla riva opposta, tenevano il fiato sospeso perché, nel fiume, meno di cinque metri separavano i due nemici.
Arno, con la canna della mitragliatrice portatile sotto il mento, era tutto aspettativa. Al primo movimento sospetto che il tedesco avesse fatto, avrebbe premuto il grilletto.
Il crucco si accingeva ormai a ritornare a riva, quando percepì la presenza del brasiliano.
Simulando calma e assoluta padronanza di nervi, il tedesco gettò da parte lo zaino e si sedette.
Si girò verso il camerata e gli gridò:
– Frank…è uno zaino! Deve averlo perso qualche soldato. Guardo cosa c’è dentro. Dopo te lo faccio vedere.
Con molta cautela, per evitare il minimo movimento brusco, Arno modificò la posizione dell’arma in modo da tenerla puntata sul tedesco.
Fritz tolse il fucile che portava sulle spalle e lo depose di lato. Controllava in maniera dissimulata l’uomo che si trovava disteso nel fiume. Poteva essere morto, ma da molto aveva imparato che in guerra si ha una sola possibilità di sbagliare, perché il più piccolo errore, la minima leggerezza avrebbe voluto dire morte certa. Per questo era preferibile sparare su un cadavere che venire raggiunto dai suoi stessi proiettili.
Con un gesto brusco Fritz afferrò l’arma ma, prima che potesse azionare il grilletto, una raffica di mitragliatrice echeggiò nella valle, rompendo il silenzio della mattina primaverile.
In una frazione di secondo Rubens eliminò il soldato che si trovava alla testa di ponte.
Con un balzo Arno si alzò e corse verso la riva rifugiandosi in una depressione del terreno.
– In strada, gente! Dietro quella pietra – gridò il sergente.
I quattro uomini saltarono dallo scoglio, attraversarono la strada e si postarono nel luogo indicato. I restanti soldati tedeschi, che componevano la guarnigione del ponte, come udirono i colpi, accorsero senza peraltro comprendere ciò che stava succedendo.
Ricevuti da una scarica di tiri, indietreggiarono cercando protezione.
– Sono solo otto. Quattro per parte. Avrebbe potuto andare molto peggio– commentò il sergente.
Una raffica di mitragliatrice sforacchiò la roccia facendo rimbalzare le schegge dappertutto, proprio vicino ai brasiliani.
Solo allora il sergente notò che all’altro capo del ponte c’era una mitragliatrice pesante protetta da sacchi di sabbia. Questo veniva a peggiorare maledettamente la situazione perché, se avessero tentato di uscire da lì, sarebbero stati fatalmente raggiunti. La scelta del luogo per dare riparo ai soldati non avrebbe potuto essere più infelice.
Arno, nascosto nel terreno irregolare della riva del fiume, si mise lo zaino in spalla. Sembrava contento di sentirne nuovamente il peso.
Strisciando fra le pietre, tentava di avvicinarsi alla mitragliatrice che flagellava incessantemente i suoi compagni, lasciandoli completamente bloccati. Non gli fu difficile verificare l’impossibilità di prendere i tedeschi dalla retroguardia, dato che la mitragliatrice si trovava in una rientranza della scarpata.
Avrebbe potuto attaccarla solo di fronte o dal fianco sinistro, anche così con poca probabilità di successo.
Da dove si trovava, poteva vedere i compagni accovacciati dietro il blocco di pietra, che li proteggeva dai proiettili sparati dai tedeschi.
Ricorrendo alla mimica, domandò ai compagni di sparare sulla postazione nemica. Voleva, con ciò, sviare l’attenzione dei crucchi verso l’altra sponda. Questo gli avrebbe dato l’opportunità di avvicinarsi al massimo senza che la sua presenza venisse percepita.
Il sergente Coutinho comprese i suoi gesti. Ordinò di aprire il fuoco contro la mitragliatrice.
Arno scorse l’altro gruppo di tedeschi trincerati dalla stessa parte in cui si trovavano i suoi compagni.
Il suo primo pensiero fu quello di eliminarli. Però, se l’avesse fatto, avrebbe denunciato la sua presenza. Per ciò rinunciò all’idea. La mitragliatrice pesante era molto più importante, considerata la sua potenza di fuoco e la localizzazione.
Proseguì fin dove gli fu possibile mantenersi fuori dalla vista dei crucchi. Attraverso uno spiraglio delle rocce calcolò la distanza: quaranta metri al massimo.
Sapeva che non aveva nessuna possibilità di raggiungerli con una granata perché sentiva i muscoli rattrappiti per essere rimasto molte ore nell’acqua quasi gelida. Aveva deciso di recuperare lo zaino ma, per contro, aveva messo il gruppo in una situazione critica. Si sentiva in dovere di tentare il tutto per tutto per salvarli. E, pur di riuscirvi, non avrebbe esitato a mettere a repentaglio la propria vita.
Fu mentre pensava così che prese una decisione.
Vedendo che i suoi compagni continuavano a sparare contro la postazione nemica, tolse la sicura dalla bomba che teneva in mano.
Con un balzo felino si alzò e si gettò di corsa verso la mitragliatrice. Dopo aver percorso circa venti metri, fece il lancio. Il proiettile si trovava ancora in aria quando venne raggiunto da una raffica. Dopo, la tremenda esplosione che lacerò i corpi dei soldati tedeschi che si ritenevano protetti dai sacchi di sabbia.
Nell’udire l’esplosione, i crucchi, che si trovavano sull’altra sponda, pensarono che si trattasse di una cassetta di munizioni.
Notando che Arno era stato ferito mentre avanzava per lanciare la granata, i suoi compagni abbassarono il capo.
Se non fosse stato per una nuova raffica sparata dall’altro gruppo, essi sarebbero rimasti a testa bassa più a lungo.
Nonostante le forze ridotte del cinquanta per cento, i tedeschi continuavano a essere padroni della situazione perché, oltre ad avere la possibilità di retrocedere, sapevano che in qualsiasi momento sarebbero potuti arrivare dei rinforzi.
Dense nuvole cominciarono a oscurare il cielo coprendo la sommità della montagna.
E i pracinhas* brasiliani continuavano a rimanere bloccati. Se avessero tentato di raggiungere la falda della montagna, sarebbero stati eliminati nell’attraversare la strada; scendere alla riva del fiume avrebbe pure significato la fine di tutto, considerata la posizione privilegiata in cui si trovava il nemico.
I tedeschi cessarono il fuoco.
Approfittando della tregua, il sergente Coutinho assestò il binocolo in direzione di Arno. Il sorriso gli affiorò alle labbra.
– È vivo! È vivo!– commentò con indicibile soddisfazione. E completò: – Chi, come lui, è scampato alla morte a Monte Castello, deve scamparla anche qui.
Il Capo Orlando, presentandosi per riprendere lo zaino, si offrì di portare aiuto al ferito.
– Posso tentare, sergente. Se Lei permette…
– Non se ne parla neppure, Orlando. Non arriveresti a fare cinque metri. Penso che ci rimangano solo due alternative: la prima…è quella di arrenderci. La seconda…
Il sergente interruppe la frase. Guardò i compagni. Avevano il volto contratto sotto la spessa barba. Lo sguardo duro, la fronte corrugata e le labbra serrate. Non c’era nessuna espressione di odio in quegli uomini, ma di angoscia per il fatto che il compagno aveva necessità di aiuto immediato.
Il silenzio si prolungava ormai da oltre un minuto, quando il capo Orlando lo ruppe:
– Lei non ci ha detto qual è la seconda alternativa, sergente.
– La seconda, gente, solo se succede un miracolo, perché al contrario…
Di nuovo la frase rimase incompleta.
Il sergente, sempre con il binocolo puntato, vide Arno strisciare lentamente in direzione della postazione nemica. Se fosse riuscito a raggiungerla forse sarebbe riuscito a ribaltare completamente la situazione, perché avrebbe messo i tedeschi superstiti fra due fuochi.
Comprimendo il ventre con la mano sinistra e afferrandosi con la destra ai sassi, il soldato si trascinava penosamente lasciando dietro di sé una scia di sangue.
– Il miracolo…il miracolo potrebbe accadere – commentò il sergente.
Per un istante il nemico venne completamente dimenticato perché i compagni di Arno cominciarono a fare il tifo per l’amico affinché riuscisse a raggiungere l’interno della posizione semidistrutta dalla granata che aveva lanciato prima di essere ferito.
Finalmente, dopo sforzi inauditi, il soldato riuscì ad arrivare ai sacchi di sabbia. Si fermò per riposare. Tolse il casco e passò una mano sul capo per ravviare i capelli arruffati.
Solo allora il sergente poté vedere l’espressione di dolore impressa sul volto del suo subalterno.
Commentò, senza smettere di osservarlo:
– Sembra che stia molto male. Non so perché si ostina a tenere lo zaino in spalla. Bagnato com’è dev’essere un bel peso. Il soldato ferito si appoggiò ai sacchi di sabbia. Si sollevò molto lentamente fino a rimanere in ginocchio, sempre comprimendo la pancia con la mano sinistra.
Solo per pura casualità Arno non era ancora stato visto dai tedeschi, perché se uno di loro avesse guardato verso la riva, necessariamente l’avrebbe visto bocconi sulla protezione armata intorno alla mitragliatrice.
– Sparate a caso, ragazzi. Dobbiamo distrarre i crucchi finché Arno riesce a mettersi in salvo – ordinò il sergente raccomandando poi di non sciupare troppe munizioni.
Obbedendo all’ordine del comandante, il capo Orlando allungò le braccia e diresse l’arma verso i tedeschi trincerati sulla riva del fiume. Quindi azionò il grilletto in una breve raffica.
La risposta fu immediata e violenta, obbligandolo a ritrarsi. Le pallottole rimbalzavano sulla roccia e proseguivano sibilando sul fiume.
La sparatoria si fece intensa, con i crucchi che incrociavano il fuoco sulla strada, certi che i brasiliani avrebbero tentato di guadagnare la montagna.
Con un ultimo e disperato sforzo, Arno riuscì a oltrepassare i sacchi di sabbia, sparendo dietro gli stessi.
Vedendo il compagno in salvo, il sergente Coutinho ordinò di cessare il fuoco.
Solo i tedeschi continuarono a sparare nell’intento di impedire al gruppo brasiliano di poter guadagnare nuove posizioni.
Il comandante tornò a consultare l’orologio. Erano le otto e mezza. Guardò in alto. Le nuvole, sempre più dense, preannunciavano pioggia. Ciò avrebbe aumentato le preoccupazioni perché i tedeschi avrebbero potuto approfittare delle condizioni atmosferiche a loro favorevoli per trasferire, durante il giorno, delle forze meccanizzate, sapendosi al riparo da incursioni dell’aviazione alleata, molto attiva in quella zona, sempre che il tempo lo permettesse.
Pertanto in qualsiasi momento sarebbero potuti giungere dei rinforzi alle truppe tedesche di retroguardia al gruppo.
Certamente lo stesso dovevano star pensando i soldati incaricati della guardia del ponte. Per loro la situazione, nonostante le perdite subite, era ragionevolmente tranquilla potendo, nel caso l’avessero voluto, ritirarsi in un altro luogo e attendere gli eventi.
E mentre il sergente Coutinho progettava un’azione in grado di liberarli dalla trappola in cui si erano cacciati, Arno, nonostante fosse gravemente ferito, cercava di collocare in posizione di tiro la mitragliatrice tedesca con il cavalletto messo fuori uso al momento dell’esplosione della granata.
Si sentiva in dovere di aiutare i suoi camerati perché sapeva che era stato per colpa sua se gli avvenimenti erano precipitati. Se non avesse perso lo zaino e, dopo, non fosse sceso al fiume per cercarlo, la presenza del gruppo brasiliano in quella zona non sarebbe stata avvertita.
Si sedette accanto alla mitragliatrice. Tolse lo zaino che portava sulle spalle. L’aprì. Nel vedere i detonatori, sorrise.
Lentamente, lavorando solo con una mano, essendo l’altra impegnata a comprimere il ventre, Arno cercava di smontare il cavalletto dell’arma, che era tutto contorto.

Il sergente Coutinho, sempre più preoccupato, tornò a consultare l’orologio.
In una crisi di nervi, cominciò a prendere a pugni il blocco di pietra che serviva di protezione al gruppo. Sapeva che non potevano rimanere lì ancora a lungo.
Aveva sempre cercato di dare il massimo di copertura e di protezione ai soldati che uscivano con lui di pattuglia o per missioni di altro genere.
Ora, comunque, bisognava rischiare. Finì col prendere una decisione pericolosa, ma era l’unica praticabile:
– Togliete gli zaini e riempite le tasche di munizioni.
Ora ognuno prenda una granata. Le tireremo tutti insieme. Subito dopo l’esplosione prenderemo nuove posizioni.
Io e Benito andremo in riva al fiume, mentre il capo Orlando e Rubens dovranno cercare riparo in quella rientranza della scarpata. Lo spostamento dovrà essere rapido perché potremo contare solo su due o tre secondi prima che i tedeschi si riprendano dalla sorpresa. Il lancio verrà fatto al numero tre. Cercate che le bombe vengano lanciate tutte nello stesso momento.
Le quattro granate descrissero delle parabole nel cielo e andarono a esplodere proprio davanti al punto in cui i tedeschi si trovavano trincerati.
A due a due, i brasiliani cercarono di raggiungere i luoghi indicati precedentemente.
Il sergente Coutinho non era ancora riuscito a mettersi al sicuro quando i crucchi, ripresisi dalla sorpresa, aprirono il fuoco colpendolo a una gamba.
Benedito, vedendo il comandante a terra ed esposto al fuoco nemico, gridò ai compagni che gli dessero copertura.
Rubens e Orlando lo appoggiarono immediatamente, facendo in modo che i crucchi si ritirassero.
– Stia dov’è, sergente, non tenti di alzarsi. Verrò ad aiutarla.
Coutinho si incollò al suolo. Udiva i proiettili passargli a pochi centimetri dalla testa. La ferita subita alla gamba l’aveva lasciato senza forze. Sentiva il corpo intorpidito e accaldato come se si trovasse davanti alla bocca di una fornace.
Benedito, vigile, attendeva un’opportunità per tentare di aiutare il compagno ferito.
Fu in quell’istante che Arno riuscì a collocare la mitragliatrice in posizione di tiro.
Nonostante la situazione veramente critica in cui si trovava e gli orrori a cui aveva assistito in combattimenti precedenti, il suo indice destro si ostinava a non fare azionare il grilletto della possente arma.
Gli sembrava un crimine sparare su quegli uomini alle spalle, senza che avessero la minima possibilità di difendersi.
Comunque non c’era tempo da perdere. Lui sapeva pure che i rinforzi tedeschi potevano arrivare in qualsiasi momento.
– Che Dio mi perdoni – balbettò.
Dopo premette il grilletto. La pesante mitragliatrice sputò fuoco. I quattro tedeschi vennero eliminati in una frazione di secondo.
Il miracolo si era avverato!


* Nome dato ai soldati della Forza di Spedizione Brasiliana nella II Guerra Mondiale.


(Brano tratto dal romanzo A Ponte do Rio Doro, Edições Bibliex, Rio de Janeiro, 1990. Traduzione di Mirella Abriani)



 


        
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