IL
FURGONE SCARLATTO
John Cheever
Addio,
tedio mortale di dividere un pollo scheletrito in una famiglia
di sette persone e addio a tutti gli altri riti dei villaggi
di collina. Non intendo quelle vere cittadine di collina, come
Assisi, Perugia o Saracinesco, appollaiate su un poggio alto
un centinaio di metri, con mura del grigio deprimente del cartone
e con il lichene che cresce sui tetti storti delle case. Là,
era pianura, in realtà, e le case avevano la struttura
di legno. Era negli Stati Uniti dell'est, e il tipo di posto
era simile a quello in cui vive tanta altra gente. Era la municipalità autonoma
di B., con una popolazione di forse duecento coppie sposate,
tutte con cani e bambini, e molte anche con domestici, e assomigliava
a un paese di collina solo per modo di dire, nel senso che
i sofferenti, i delusi e i poveri non potevano ascendere il
ripido sentiero sociale che costituiva la sua difesa naturale,
e non appena uno dei suoi abitanti veniva contagiato da infelicità o
malumore, subito si rendeva conto che era impossibile continuare
a esistere a una tale altitudine e andava ad abitare in pianura.
La vita lì era serena e agiata come non mai, il villaggio
di B. era riservato esclusivamente alle persone
felici. Le casalinghe baciavano teneramente i loro mariti al
mattino e
appassionatamente al calar della sera. In quasi tutte le case
regnavano l'amore, l'armonia e l'ottimismo. Le scuole erano
eccellenti, le strade pulite e ben levigate, le fognature e
gli altri servizi erano l'ideale, quand'ecco che una sera di
primavera, all'imbrunire, un immenso furgone scarlatto dei
traslochi, con scritte in oro sui due lati, salì lungo
la strada e si fermò davanti alla casa dei Marple, che
era disabitata da tre mesi.
L'oro e lo scarlatto del furgone, rilucenti perfino nel crepuscolo,
avevano il deliberato proposito di nascondere la vera malinconia
del vagabondaggio. "Noi trasportiamo e consegniamo carichi
anche nei luoghi più lontani," diceva la scritta
in oro sui fianchi del furgone, e faceva l'effetto del fischio
lontano di un treno. Martha Folkestone, che abitava alla porta
accanto, osservava da dietro alla finestra i beni mobili dei
suoi nuovi vicini di casa che venivano trasportati attraverso
il portico. "Quello sembra un Chippendale autentico," diceva, "anche
se è difficile a dirsi, con questa luce. Hanno due bambini.
E sembrano brave persone. Oh, come vorrei portar loro qualcosa
per farli sentire a loro agio! Pensi che gradirebbero dei fiori?
Magari potremmo invitarli a bere qualcosa. Pensi che sarebbero
contenti di venire qui a bere qualcosa? Non andresti a invitarli
a bere qualcosa?"
Più tardi, quando i mobili furono tutti in casa, e il
furgone se ne fu andato, Charlie Folkestone attraversò il
prato che divideva le due case e si presentò a Peaches
e a Gee-Gee. Ed ecco come lui li vide. Peaches, come diceva il
suo nome, era proprio come una pesca, bionda e vellutata, con
un abitino corto e una faccia luminosa. Gee-Gee doveva essere
stato un bell'uomo, e forse lo era ancora, anche se i suoi capelli
biondi si stavano facendo radi. Aveva una faccia che sembrava
angelica e minacciosa insieme. Non aveva mai fatto il pugile,
come Charlie venne poi a sapere, ma i suoi occhi erano lievemente
strabici e la sua bella fronte quadrata sembrava conformata da
strati di cicatrici. Si sarebbe detto che aveva un'espressione
pensosa, finché non si capiva che non era un uomo dedito
al pensiero. Era un'espressione concentrata che ricordava quella
di coloro che sono un po' duri d'orecchio o un po' tardi. Accettarono
con molto piacere di venire a bere qualcosa. Sarebbero arrivati
subito, Peaches voleva mettere un po' di rossetto e dare la buonanotte
ai bambini, poi sarebbero arrivati. E quando arrivarono ebbe
inizio una serata che si riprometteva insolitamente piacevole.
I Folkestone erano un po' preoccupati per i vicini che sarebbero
arrivati, e ora, nel trovarsi con persone così simpatiche
come Gee-Gee e Peaches, si sentivano davvero euforici. Come ogni
altro, amavano esprimere opinioni sugli altri abitanti del paese,
e Gee-Gee e Peaches, naturalmente, erano interessati. Era l'inizio
di un'amicizia, e quella sera i Folkestone misero da parte, per
una volta, le solite preoccupazioni per l'ora tarda e la sobrietà.
Si fece tardi, mezzanotte passata, e Charlie non si accorse di
tutto il whiskey che era stato versato, né del fatto che
Gee-Gee sembrava quasi ubriaco. Si fece molto silenzioso e si
appartò dalla conversazione, poi d'improvviso interruppe
Martha con una frase strascicata e sgradevole.
"
Dio, ma che gente noiosa." biascicò Gee-Gee.
"
Oh no, Gee-Gee!", esclamò Peaches. "Non fin
dalla prima sera!" "Devi aver bevuto un po' troppo,
Gee-Gee," osservò Charlie.
"
Ma nemmeno per sogno," replicò Gee-Gee. Si chinò e
cominciò a slacciarsi le scarpe. "Non ne ho bevuto
nemmeno la metà" "
Ti prego, Gee-Gee, ti prego." lo
supplicò Peaches.
"
Devo dare una lezione a questa gente, tesoro", ribatté Gee-Gee. "Una
lezione che devono imparare."
E allora si alzò in piedi e, con l'astuzia e la destrezza
degli ubriachi, riuscì a spogliarsi di quasi tutti i vestiti
prima che gli altri riuscissero a fermarlo.
"
Va fuori di qui." gli intimò Charlie.
"
Il piacere è tutto mio, vicino." ribatté Gee-Gee.
Facendosi strada verso la porta inciampò in un portaombrelli
di ferro battuto.
"
Oh, mi dispiace terribilmente," gemeva Peaches. "Non
potete immaginare come mi sento!"
"
Non ti preoccupare, mia cara," la confortò Martha. "Doveva
essere molto stanco, probabilmente, e poi tutti noi abbiamo bevuto
un po' troppo."
"
Oh, no." replicò Peaches. "Succede sempre così,
da tutte le parti. Abbiamo traslocato otto volte, negli ultimi
otto anni, e non c'è mai stato nessuno che venisse a salutarci.
Nemmeno un cane. Oh, se sapessi che bell'uomo era, quando l'ho
conosciuto! Mai visto un uomo così bello, forte e generoso.
Lo chiamavano Gigante Greco, quando era all'università, è per
questo che è soprannominato Gee-Gee. Ha fatto parte due
volte della squadra nazionale americana, ma lui non ha mai giocato
per denaro, lo ha sempre fatto con il cuore! Gli volevano tutti
bene. E ora è finita, ma io continuo a dirmi che una volta
avevo l'amore di un uomo davvero in gamba. Non credo che siano
molte le donne che hanno conosciuto un amore come il suo. Come
vorrei che tornasse indietro, che fosse ancora quello di una
volta! L'altra sera, mentre preparavamo le casse dei piatti nella
vecchia casa, lui si è ubriacato e allora gli ho dato
uno schiaffo in faccia, e gli ho gridato: "Torna indietro!
Torna da me, Gee-Gee!" Ma lui non mi ascoltava, non mi sentiva
nemmeno. Non ascolta più nessuno, nemmeno la voce dei
suoi figli. Ogni giorno mi domando cosa ho fatto, per essere
punita così crudelmente."
"
Come mi dispiace, mia cara!" disse Martha.
"
Nemmeno voi verrete a salutarci, quando ce ne andremo," riprese
Peaches. "Resisteremo non più di un anno, vedrai.
Certa gente fa delle feste di addio così belle, ma nella
nostra ultima casa anche l'uomo della spazzatura era contento
di vederci andare via". E con una grazia e una rassegnazione
che trascendevano la serata rovinata, Peaches cominciò a
raccogliere gli abiti che suo marito aveva buttato sul tappeto. "Ogni
volta che traslochiamo, spero che il cambiamento gli faccia bene," continuò. "Quando
siamo venuti qui, questa sera, sembrava tutto così carino
e tranquillo, ho pensato, che magari sarebbe cambiato. Be', non è il
caso che ci invitiate un'altra volta. Sapete già come
va a finire"
Qualche
giorno dopo, forse una settimana, Charlie vide Gee-Gee sulla
banchina della stazione e osservò che il suo vicino
di casa, quando era sobrio, sembrava una persona davvero per
bene. Il villaggio di B. non era un posto facile in cui inserirsi,
ma Gee-Gee sembrava essersi già conquistato la simpatia
e il rispetto dei vicini di casa. E mentre lo guardava lì sotto
il sole, tra gli altri viaggiatori, Charlie prevedeva già che
sarebbe stato invitato a tutti i ricevimenti. Gee-Gee salutò Charlie
cordialmente, senza mostrare alcun segno di quella volgarità di
cui aveva dato prova qualche sera prima. Era veramente impossibile
credere che quell'uomo bello e affascinante fosse stato così volgare.
Alla luce del mattino, circondato dai suoi nuovi amici, Gee-Gee
sembrava smentire ogni ricordo, sembrava quasi capace di far
sentire a Charlie tutta la colpa dell'accaduto.
I preparativi per l'iniziazione sociale della nuova coppia furono
insolitamente rapidi ed elaborati, ed ebbero inizio con una cena
in casa dei Waterman. Charlie era già da loro quando arrivarono
Gee-Gee e Peaches, e fecero un ingresso trionfale. Mano nella
mano, belli e raggianti, sembrarono loro, al momento dell'ingresso,
a dare il tono della serata. C'era molta gente, e Charlie quasi
non riuscì a vederli finché non furono tutti a
tavola. Prese posto accanto a Peaches, mentre Gee-Gee era all'altro
capo della tavola. Erano a metà dessert, quando la voce
strascicata e sgradevole di Gee-Gee risuonò come un segnale
ormai convenuto sopra alla conversazione dei convitati.
“
Che stramaledetto mucchio di gente barbosa!”, biascicò. “Che
ne direste di dare un po' di animo alla conversazione, eh?” Poi
balzò in piedi in mezzo alla tavola e si mise a cantare
una canzonetta oscena, accennando qualche passo di giga. Le donne
strillavano. Piatti rovesciati e in frantumi, abiti rovinati,
mentre Peaches continuava a supplicare il suo capriccioso marito.
L'effetto di questa scandalosa esibizione fu quello di far svuotare
la sala da pranzo. Rimasero soltanto Gee-Gee e Charlie.
"
Vieni giù di lì, Gee-Gee," gli disse Charlie.
"
Voglio dare una lezione a questa gente," replicò Gee-Gee. "Voglio
dare una bella lezione a tutti quanti"
"
Non dai nessuna lezione a nessuno, ma fai vedere soltanto che
sei ubriaco fradicio."
Devono imparare," insisté Gee-Gee. "Voglio insegnarglielo
io, come si fa" Poi saltò giù dal tavolo,
rompendo qualche altro piatto, e barcollando si trascinò in
cucina, dove abbracciò la cuoca, poi uscì nella
notte.
Si
sarebbe potuto pensare che questo avvertimento fosse sufficiente
per la comunità mondana del villaggio, ma nel caso di
Gee-Gee essi erano disposti ad arrivare a insoliti limiti di
tolleranza. La gente lo trovava simpatico, e poi c'era sempre
la possibilità che prima o poi potesse anche comportarsi
bene. Alla luce del mattino compariva sempre la sua figura
attraente a sconcertare i suoi critici, anche se cominciava
a sembrare sempre più un'esca che lui usava per introdursi
nelle case e fare a pezzi piatti e stoviglie. Non era il perdono
che lui cercava, e se sembrava che non fosse riuscito a offendere
la sensibilità della padrona di casa, allora rincarava
la dose e improvvisava nuove provocazioni. Nessuno aveva mai
visto una cosa simile. Gee-Gee si spogliò in casa dei
Bilker. In quella dei Levy fece volare fino al soffitto con
un calcio una ciotola di formaggio fuso. Improvvisò danze
scozzesi in mutande, appiccò fuoco a cestini dei rifiuti,
fece acrobazie appeso al lampadario dei Townsend, il famoso
lampadario dei Townsend. Nell'arco di sei settimane non c'era
più una sola casa, a B., disposta a riceverlo.
I Folkestone continuavano a vederlo, naturalmente, lo vedevano
alla sera in giardino e gli parlavano al di sopra della siepe.
Charlie era molto dispiaciuto nel vedere una persona caduta così precipitosamente
in disgrazia, e avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarlo. Martha
e lui ne parlavano con Peaches, ma lei ormai non aveva più speranza.
Semplicemente non capiva che cosa fosse successo al suo Adone,
e più in là la sua intelligenza non arrivava. Di
quando in quando, qualche ingenuo abitante dei paesi vicini o
qualche nuovo arrivato si lasciava sedurre da Gee-Gee e lo invitava
a cena. E l'esibizione era sempre la stessa, i piatti andavano
sempre in frantumi. I Folkestone erano i loro vicini di casa,
questo era l'antico vincolo che li legava, e Charlie pensava
che forse avrebbe potuto redimerlo, quel ragazzaccio. Quando
Gee-Gee e Peaches litigavano, lei talvolta telefonava a Charlie
per chiedere la sua protezione. E andò in casa loro anche
una sera d'estate, dopo che lei gli aveva telefonato. La lite
era finita, Peaches stava leggendo un libro a fumetti in soggiorno
e Gee-Gee era seduto al tavolo della sala da pranzo, con un bicchiere
in mano. Charlie si fermò in piedi accanto all'amico.
"
Senti Gee-Gee."
"
Dimmi"
"
Che ne diresti di smettere di bere?"
"
Mai."
"
Smetteresti di bere se smettessi anche io?"
"
Nemmeno"
"
E se ti facessi vedere da uno psichiatra?"
"
Perché mai? Mi conosco bene, io. Devo soltanto farla finita."
"
Non verresti da uno psichiatra se ti accompagnassi?"
"
No"
"
Perché non vuoi fare niente per aiutarti?"
"
Devo dare una lezione a tutti quanti..." Poi rovesciò indietro
la testa e singhiozzò: "Oh, Cristo..."
Charlie si voltò. In quel momento sembrò che Gee-Gee
avesse udito, in qualche oscuro meandro dentro di sé,
il suono lontano di un corno che profetizzava l'ora della sua
morte. Sembrava che ci fosse qualche implacabile logica nel suo
ragionamento da ubriaco. Folkestone si sentì sollevare
lo spirito. Pensava di avere capito quello che l'ubriaco voleva
dire, forse l'aveva sempre intuito. Era qualcosa che teneva in
piedi la loro amicizia. Gee-Gee era il difensore degli storpi,
dei malati, dei poveri, di coloro che, non per colpa loro, conducono
un'esistenza di stenti e sofferenze. Alla gente felice, dabbene
e ricca egli aveva questo da dire, che nonostante i loro affetti,
i loro agi, i loro privilegi, non le sarebbero stati risparmiati
i morsi della collera e del desiderio e i tormenti della morte,
aveva voluto soltanto dire che si preparassero al momento della
mazzata, quando questo fosse arrivato. Ma non era possibile far
accettare questa verità senza bisogno di mettersi a danzare
una giga nel salotto delle case altrui? Egli parlava dall'alto
di una sua visione delle sofferenze umane, ma era necessario
soffrire a propria volta per poter comprendere questo messaggio?
A quanto pareva, sì.
"
Senti Gee-Gee," disse Charlie.
"
Sì?"
"
Che cosa vuoi insegnare a loro?"
"
Non lo capiresti mai. Sei troppo maledettamente noioso."
Non
rimasero nemmeno un anno. In novembre qualcuno fece loro un'offerta
passabile per la casa e la vendettero. Ritornò il furgone
scarlatto con le scritte in oro, ed essi varcarono i confini
dello stato, per andare nella cittadina di Y., dove avevano
acquistato un'altra casa. I Folkestone furono lieti di vederli
partire. Una giovane coppia ben educata giunse al loro posto,
e tutto ritornò come prima. Raramente si ricordavano
di loro, ma poi, l'inverno seguente, Charlie venne a sapere
attraverso amici comuni che Gee-Gee si era fratturato un'anca
giocando a football, un giorno o due prima di Natale. Per qualche
motivo, il fatto gli era rimasto impresso, e una domenica pomeriggio,
non avendo niente di meglio da fare, si fece dare il numero
di telefono di Gee-Gee dall'ufficio informazioni e chiamò il
suo vecchio vicino di casa per annunciargli che gli avrebbe
fatto visita per bere qualcosa insieme. Gee-Gee lanciò un
urlo d'entusiasmo e gli diede tutte le indicazioni necessarie
per arrivare a casa sua.
Era un viaggio lungo, e a metà strada Charlie si domandò perché mai
l'avesse iniziato. Il villaggio di Y. era di parecchi gradini
sociali inferiore a B. la casa si trovava in una lottizzazione
che l'architetto non si era limitato a fare brutto, ma l'aveva
anche progettato in modo tale, con le finestre disposte in rettilineo,
da assomigliare a una colonia penale. Le strade avevano il nome
delle università, Princeton Street, Yale Street, Rutgers
Street, e così via. Solo poche case erano state vendute,
e quella di Gee-Gee era circondata da case disabitate. Charlie
suonò il campanello e udì Gee-Gee che gli gridava
di entrare. La casa era tutta in disordine, e mentre Charlie
si toglieva il cappotto, vide arrivare lentamente attraverso
l'anticamera Gee-Gee sopra a un carretto dei bambini, che spingeva
con una stampella. L'anca e la gamba destra erano chiuse in una
massiccia ingessatura.
"
Dov'è Peaches?", si informò Charlie.
"
Ho voluto io che se ne andassero. Li ho costretti io ad andare.
Non ho bisogno di niente, me la cavo benissimo con questo carretto.
Quando ho fame, mi preparo un panino imbottito. Ho voluto io
che se andassero, li ho mandati via io. Peaches aveva bisogno
di una vacanza, e io sto bene da solo. Su, vieni in soggiorno
e preparami qualcosa da bere. Non riesco a tirar fuori i cubetti
del ghiaccio, questa è quasi l'unica cosa che non riesco
a fare. Posso farmi la barba, andare a letto e tutto il resto,
ma non riesco a tirare fuori i cubetti del ghiaccio."
Charlie prese un po' di ghiaccio. Era contento di avere qualcosa
da fare. La vista di Gee-Gee sopra a quel carretto gli aveva
fatto impressione, e tutt'intorno sentiva un silenzio terrificante.
Dalla finestra della cucina vedeva un tetto dopo l'altro di brutte
case deserte. Aveva la sensazione che qualche orribile melodramma
si stesse avvicinando all'epilogo. Ma Gee-Gee, nel soggiorno,
aveva la sua aria più affascinante, e il suo sorriso e
la sua voce conferivano a quel pomeriggio un momentaneo equilibrio.
Charlie domandò a Gee-Gee se non poteva far venire un'infermiera
ad assisterlo, o qualcun altro che gli stesse vicino; almeno,
perché non noleggiava una carrozzella a rotelle? Gee-Gee
liquidò con una risata tutti quei suggerimenti. No, stava
benone così. Peaches gli aveva scritto da Nassau che se
la stavano passando meravigliosamente.
Charlie era sicuro che era stato davvero Gee-Gee a convincerli
a partire. Ed era questo particolare, più di tutto il
resto, a rendere orribile la situazione. Certo, a Peaches sarebbe
piaciuto andare a Nassau, com'era naturale, ma non avrebbe mai
insistito. Era troppo innocente, Peaches, per accarezzare invidiosamente
questi sogni di viaggi. Era stato Gee-Gee a insistere perché partisse,
e doveva averle descritto quel viaggio in modo così allettante
che lei, in tutta la sua innocenza, non aveva potuto resistere
alla tentazione. Gee-Gee desiderava davvero essere lasciato solo,
ubriaco e incapace di muoversi, in quella casa solitaria? Aveva
bisogno di sentirsi trascurato? Sembrava proprio così.
Il disordine della casa accanto all'immagine della moglie e dei
figli che correvano e correvano su qualche spiaggia corallina
dovevano essergli sembrati una brillante idea, una specie di
trionfo.
Gee-Gee si accese una sigaretta, poi se ne dimenticò e
tentò di accenderne un'altra, annaspando così goffamente
con i fiammiferi da far pensare a Charlie che facilmente avrebbe
potuto morire carbonizzato. Issandosi dal carretto fino alla
sedia, per poco non cadde, e se fosse caduto quando era solo,
sarebbe morto probabilmente di fame e di sete disteso lì su
quel tappeto. Ma potevano anche essere un'astuzia da ubriaco
quei suoi movimenti goffi, quel suo giocare con il fuoco. Fece
un sorrisetto furbesco nel vedere l'espressione del volto di
Charlie. "Non ti preoccupare per me," gli disse. "Me
la caverò benissimo. Ho il mio angelo custode"
"È
quello che pensano tutti."
"
Sì, ma io l'ho davvero."
Fuori cominciava a nevicare. Il cielo invernale era plumbeo,
e ben presto sarebbe stato buio. Charlie disse che doveva andare. "Mettiti
a sedere," gli disse Gee-Gee. "Mettiti a sedere e bevi
ancora qualcosa." Fu la coscienza a trattenere lì Charlie
ancora qualche minuto. Come poteva abbandonare in quel modo un
amico, o almeno un vicino di casa, che era in pericolo di vita?
Ma non aveva scelta, la famiglia lo aspettava e doveva andare. "Non
ti preoccupare per me," ripeté Gee-Gee mentre Charlie
si infilava il cappotto. "Ho il mio angelo custode."
Era più tardi di quanto Charlie immaginasse. La neve era
molto fitta, adesso, e aveva davanti a sé due ore di viaggio
lungo tortuose strade secondarie. C'era una lieve salita prima
di uscire da Y., e la neve fresca era così scivolosa che
l'auto non riuscì quasi a farcela. Davanti a lui c'erano
altre colline più ripide. Soltanto uno dei tergicristalli
funzionava, e ben presto la neve coprì quasi tutto il
parabrezza, lasciandogli soltanto una piccola visuale davanti
a sé. La neve turbinava vorticosamente davanti ai fari,
e in una strettoia della strada l'auto sbandò oltre il
bordo, così che Charlie dovette far girare il motore a
vuoto per una decina di minuti prima di ritornare sull'asfalto.
Era un tratto di strada deserto, chilometri e chilometri senza
una casa, e sarebbe stata un'impresa camminare nella neve con
i suoi mocassini. L'auto slittava e sbandava su ogni collinetta,
e ogni volta che arrivava in cima sembrava che quella fosse l'ultima
concessione alla fortuna.
Dopo due ore che guidava, era ancora molto lontano da casa. La
neve era così alta adesso, che la guida dell'auto sembrava
simile alla navigazione in un mare tempestoso. Impiegò tre
ore per arrivare a casa, ed era esausto quando infilò finalmente
l'auto nel buio e nella quiete del suo garage, esausto e infinitamente
sollevato. Martha aveva già cenato con i bambini, e doveva
ora andare in casa dei Lissom per discutere di certe questioni
della commissione scolastica. Charlie l'avvertì che era
un'impresa guidare l'auto, e trattandosi di un tragitto breve,
Martha decise di andare a piedi. Charlie accese il fuoco e si
versò da bere, poi i bambini si sedettero con lui a tavola
mentre lui cenava. La domenica sera, dopo cena, i Folkestone
suonavano, o tentavano di suonare in trio: Charlie al clarinetto,
sua figlia al piano e il figlio maggiore al flauto, con il più piccolo
che si intrufolava in mezzo a loro. E quella domenica sera suonarono
alcuni semplici arrangiamenti di musica del Settecento, nella
più piacevole delle atmosfere familiari, complimentandosi
a vicenda quando riuscivano a superare qualche passo difficile
e prodigando nella musica ciò che c'era di meglio nel
loro rapporto. Stavano eseguendo una sonata di Vivaldi quando
squillò il telefono. Charlie capì immediatamente
chi era.
"
Charlie, Charlie," gemette Gee-Gee. "Cristo, Charlie,
sono nelle rogne. Subito dopo che sei partito tu, sono caduto
da quel maledetto carretto. Due ore ci ho messo per arrivare
al telefono. Devi tornare qui, Charlie. Non c'è nessun
altro, sei il mio unico amico. Devi tornare qui, Charlie. Charlie?
Mi senti?"
Fu forse la strana espressione del viso di Charlie che fece strillare
il bambino piccolo. La ragazza lo prese in braccio, e come l'altro
ragazzo, rimase a fissare suo padre. Sembrava che avessero capito
tutta la situazione, in tutti i suoi particolari, e lo guardavano
serenamente, come se aspettassero da lui una decisione che non
aveva niente a che fare con la prosecuzione di una piacevole
serata in una casa immersa nella neve, una decisione, però,
che avrebbe avuto profonde conseguenze sulla conoscenza che avevano
di lui e infine sulla loro stessa felicità. I loro sguardi,
pensò Charlie, erano limpidi e supplichevoli, e qualsiasi
cosa avesse fatto sarebbe stata definitiva.
"
Mi senti Charlie? Mi senti?", continuava a domandare Gee-Gee. "Ci
ho messo due maledette ore a trascinarmi fino al telefono. Mi
devi aiutare, nessun altro verrebbe qui."
Charlie riappese. Gee-Gee doveva aver ascoltato il suo respiro
e gli strilli del bambino, ma Charlie non aveva detto nulla.
Non diede nessuna spiegazione ai suoi figli, e loro non ne chiesero.
Avevano capito. Sua figlia tornò al pianoforte, e quando
il telefono squillò di nuovo e lui non rispose, nessuno
fece domande. Sembrarono felici e sollevati quando il telefono
cessò di squillare, e suonarono Vivaldi fino alle nove
di sera, quando lui li mandò a letto.
Si versò da bere per allentare la sensazione che fosse
avvenuta qualche esplosione emotiva, che qualche atto di violenza
avesse squassato l'aria. Non sapeva bene che cosa aveva fatto
e nemmeno come mettere a tacere la sua coscienza. Ne avrebbe
parlato con Martha, al suo ritorno, pensò, sarebbe stato
un passo verso la comprensione. Ma quando lei ritornò,
Charlie non le disse nulla, temendo che se lei avesse applicato
la sua intelligenza al problema, lui avrebbe avuto soltanto la
conferma della sua colpa. "Ma perché non mi hai telefonato
a casa dei Lissom?", gli avrebbe forse domandato. "Avrei
potuto tornare a casa e tu saresti potuto andare." Martha
era una donna troppo sensibile per accettare passivamente, come
faceva lui, il pensiero di un amico, un vicino di casa in condizioni
disperate senza alcun aiuto. Martha andò di sopra, e lui
si versò da bere. Se avesse telefonato a casa dei Lissom,
e se lei fosse ritornata a badare ai bambini, lasciandolo libero
di andare in aiuto di Gee-Gee, lui sarebbe stato capace di ritornare
fin là sotto quella neve? Avrebbe potuto mettere le catene,
ma dove erano, poi, le catene? Erano nell'auto o in cantina?
Non lo sapeva, non le aveva ancora usate, quell'anno. Ma forse
le strade erano già state spazzate, forse la tempesta
di neve era cessata. Quest'ultima, inquietante possibilità lo
fece sentire male. Forse che il cielo lo aveva tradito? Accese
la lampada all'esterno ed esitante, con riluttanza, andò verso
la finestra.
La neve candida emetteva un allettante scintillio, e il fascio
di luce splendeva nell'aria pulita e serena. Doveva aver cessato
di nevicare qualche minuto dopo il suo arrivo a casa. Ma come
avrebbe potuto saperlo? Come avrebbe potuto prendere in considerazione
i capricci del tempo? E poi, quello sguardo che gli avevano rivolto
i bambini, così severo, così chiaro come dichiarazione
che il suo posto era tra loro, e non al soccorso degli ubriachi
che avevano rinunciato all'ultima occasione di essere presi sul
serio?
E poi ritornò l'immagine di Gee-Gee, opprimente nel suo
squallore, e Charlie ricordò Peaches nell'atrio della
casa dei Waterman che gridava: "Torna indietro! Torna indietro!" Quella
che lei chiamava era la giovinezza, che Charlie non aveva mai
conosciuto, ma era facile immaginare quello che doveva essere
stato Gee-Gee: bello, spiritoso, generoso e forte; e perché tutto
quanto era andato in malora? Torna indietro! Torna indietro!
Peaches sembrava chiamare la dolcezza di un giorno d'estate,
con le rose in fiore e le porte e finestre tutte aperte sul giardino.
C'era tutto questo nella sua voce: come l'illusione di una casa
abbandonata e illuminata dagli ultimi raggi del sole, una casa
grande, che sta cadendo a pezzi, una casa abitata da spettri
per i bambini e una continua preoccupazione per polizia e vigili
del fuoco, ma nel vederla con le finestre illuminate dal sole,
si ha la sensazione che siano tutti ritornati. La cuoca è in
cucina, sta preparando la pasta per i dolci. L'odore del pollo
sale su per le scale di servizio. Le stanze sul davanti sono
pronte a ricevere i ragazzi e i loro molti amici. Un fuoco di
carbone sta bruciando nel camino. E poi, quando la luce si spegne
sulle finestre, la vera bruttezza di quel posto appare torva
nella penombra con ancora maggiore evidenza, così come,
quando le ultime note di quell'estate di tanto tempo fa hanno
lasciato la voce di Peaches, è apparso, ormai definitivo,
lo sgomento della disperazione sul suo viso innocente. Torna
indietro! Torna indietro! Charlie si versò ancora un po'
di whiskey, e mentre portava il bicchiere alle labbra udì il
vento che cambiava e vide, alla luce ancora accesa dell'esterno,
la neve che ricominciava a turbinare, come per vendetta, con
l'intensità di una tormenta. La strada era impraticabile,
non avrebbe potuto farlo, il viaggio. E quel mutamento del tempo
gli diede la dolce sensazione dell'assoluzione, e stette a guardare
la neve con un sorriso di riconoscenza, tuttavia rimase alzato
fino alle tre del mattino in compagnia della bottiglia.
Il mattino dopo aveva gli occhi arrossati e tremava, e alle undici
uscì di soppiatto dall'ufficio per andare a bere due aperitivi.
Ne bevve altri due prima di colazione, un altro alle quattro
e due in treno, e tornò a casa barcollante per cena. I
particolari clinici dell'alcolismo sono ben noti a tutti, ma
qui ci interessa soltanto il lato umano, e Martha alla fine si
sentì in dovere di parlargli. E gli parlò con tutta
la gentilezza possibile.
"
Stai bevendo un po' troppo, caro," gli disse. "Sono
tre settimane che bevi un po' troppo."
"
Se io bevo," replicò lui, "sono fattacci miei.
Tu bada agli affari tuoi che io faccio i miei."
Diventò sempre peggio, e alla fine Martha decise che doveva
fare qualcosa. Andò allora a chiedere consiglio al rettore
della sua parrocchia, uno scapolo di bell'aspetto che praticava
anche la psicologia, oltre alla liturgia. Il rettore l'ascoltò con
comprensione. "Sono passata dal rettorato, questo pomeriggio," disse
Martha quando ritornò a casa, quella sera "e ho
parlato con padre Hemming. Vorrebbe sapere perché non
vai mai in chiesa, e dice che vorrebbe parlarti. E' davvero un
bell'uomo," soggiunse, nel tentativo di farlo sembrare un
discorso preparato, "e mi domando perché non si è mai
sposato." Charlie, ubriaco come sempre, andò al telefono
e chiamò il rettore. "Senta padre," gli disse, "mia
moglie mi ha detto che lei le fa compagnia tutti i pomeriggi.
Be' non mi garba proprio. Tenga giù le mani da mia moglie,
ha capito? Quello schifoso abito nero che indossa a me non fa
né caldo né freddo. Tenga giù le mani da
mia moglie altrimenti le spacco quel suo bel musino."
E alla fine Charlie perse il lavoro, e dovette lasciare la casa
con la famiglia, ed ebbero inizio allora i loro vagabondaggi,
come quelli di Gee-Gee e di Peaches, sul furgone scarlatto dei
traslochi con le scritte in oro.
E
cosa ne fu di Gee-Gee, che cosa gli successe? Quel suo angelo
custode ubriaco, con i capelli scarmigliati e le corde della
lira tutte rotte, sembrava vegliare ancora su di lui, lì dove
era caduto. Dopo aver chiamato Charlie, quella notte, telefonò ai
pompieri, e otto minuti dopo questi arrivarono all'appartamento,
con le campane e le sirene spiegate. Lo misero a letto, gli
prepararono qualcosa da bere, e uno di loro, che non aveva
nient'altro da fare, rimase con lui finché Peaches e
i bambini ritornarono a casa; e poi riprese la sua solita
vita disordinata, per la quale sembrava molto meglio preparato
del
suo vicino di casa. Ma poi, alla fine dell'anno, dovettero
traslocare ancora, e, come i Folkestone, scomparvero dai villaggi
sulle colline.
(Tratto
dalla raccolta Ballata, Fandango libri, Roma, 2000, Traduzione
di Marco Papi.)
John
Cheever
.
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