IL MOTO DEL PENDOLO
Katherine Mansfield
La
padrona di casa bussò alla porta.
«
Avanti» disse Viola.
«
C'è una lettera per lei,» disse la donna «una
lettera urgente.» Teneva la busta verde con una cocca
del grembiule sbiadito.
«
Grazie.» Viola, inginocchiata sul pavimento, allungò una
mano senza smettere di attizzare la stufetta polverosa. «C'è risposta?»
«
No, il fattorino se n'è andato.»
«
Ah, va bene.» Non guardò in viso la padrona di
casa: si vergognava di non averle pagato l'affitto, chiedendosi
amareggiata, senza speranza, se la donna avrebbe ricominciato
a strepitare.
«
Per quei soldi che mi deve...» disse la padrona di casa.
"
Oh, Signore, ci risiamo!" pensò Viola, voltando
la schiena alla donna e facendo una smorfia alla stufa.
«
O pagare, o andare!» La padrona aveva alzato la voce,
cominciò a gridare: «Sono una signora, io, sono
una donna rispettabile, glielo farò vedere. Non voglio
parassiti in casa, che s'infilano in un nascondiglio e si mangiano
tutto. O i soldi, o lei se ne va prima di domani a mezzogiorno!»
Più che vederlo, Viola sentì il gesto della donna.
Alzò un braccio in un moto stupido e vano, come se un
sudicio piccione le fosse volato sulla faccia. "Sporca
bestiaccia! Uh! E la puzza che ha addosso... sembra formaggio
rancido e biancheria bagnata."
«
Benissimo» rispose seccamente. «O pago, o domani
me ne vado. Intesi, ma non gridi.»
Era straordinario, sempre, ancor prima che quella donna le
si avvicinasse, le tremavano le gambe; bastava il rumore di
quei passi pesanti sulle scale a farla star male, ma una volta
che l'aveva di fronte si sentiva straordinariamente calma e
indifferente, e non riusciva a capire perché si preoccupasse
tanto per i soldi, né perché sgattaiolasse fuori
di casa in punta di piedi, non osando nemmeno chiudersi la
porta alle spalle, per paura che la donna la sentisse e le
gridasse dietro qualcosa di orribile; né perché passasse
le notti a camminare avanti e indietro per la stanza, fermandosi
bruscamente davanti allo specchio per dire alla tragica figura
che vi si rifletteva: «Denaro, denaro, denaro!».
Quand'era sola, la sua povertà le si rizzava davanti
come una montagna gigantesca, da incubo, alla quale era incatenata
per i piedi, in preda a una sofferenza che le veniva dall'immensità di
quella cosa; ma se arrivava il momento di agire per uno scopo
definito, che non lasciava tempo per le fantasie, quella montagna
minacciosa rimpiccioliva fino a diventare un fatto meschino,
da sorvolare il più rapidamente possibile, con rabbia
e con disprezzo.
La padrona di casa uscì di furia dalla stanza, sbattendo
l'uscio, che vibrò e scricchiolò come se avesse
ascoltato la conversazione e desse tutta la sua simpatia alla
vecchia megera.
Accovacciata sui calcagni, Viola aprì la lettera. Era
di Casimiro: "Sarò da te questo pomeriggio alle
tre. Devo ripartire di nuovo questa sera. Tutte le novità a
voce. Spero che tu sia felice per me. Casimiro".
"
Uhm! Come sei caro!" sogghignò tra sé. "Quanta
condiscendenza. Troppo buono, davvero!" Balzò in
piedi, appallottolando la lettera. "E come fai a sapere
che io me ne starò qui ad aspettare il comodo tuo fino
alle tre del pomeriggio?" Ma sapeva che sarebbe rimasta;
la sua collera era sincera soltanto a metà. Era ansiosa
di rivedere Casimiro, perché era sicura che questa volta
sarebbe riuscita a fargli capire la situazione... "Perché,
al punto in cui sono, è intollerabile!" mormorò.
Erano le dieci di una mattina grigia, stranamente illuminata
da pallide schiarite di sole. Frugata da quei raggi improvvisi,
la stanza le appariva sporca e in disordine. Abbassò la
persiana, ma ne filtrava un riflesso biancastro che riusciva
altrettanto insopportabile. La sola cosa viva nella stanza
era un vaso di giacinti che le aveva regalato la figlia della
padrona di casa; stava sul tavolo, esalando un profumo malsano
dai petali carnosi; aveva persino dei grossi boccioli prossimi
ad aprirsi e le foglie brillavano come fossero oleose.
Viola si accostò al portacatino, versò un po'
d'acqua nella bacinella smaltata e si bagnò il viso
e il collo; poi si immerse la faccia nell'acqua e apri gli
occhi, scuotendo la testa da una parte all'altra... era eccitante.
Lo fece tre volte. "Credo che riuscirei ad affogare, se
stessi sotto abbastanza" pensò. "Chi sa quanto
tempo ci vuole per perdere i sensi! Si legge spesso di donne
affogate in un secchio. Chi sa se dalle orecchie entra un po'
d'aria... se il catino dovrebbe essere profondo come un secchio?" Provò:
appoggiandosi al portacatino con entrambe le mani, immerse
lentamente la testa nell'acqua, quando di nuovo qualcuno bussò alla
porta. Non era la padrona, questa volta; doveva essere Casimiro.
Col viso e i capelli sgocciolanti, il corpetto della sottoveste
sbottonato, corse ad aprire.
Uno sconosciuto stava appoggiato allo stipite. Vedendola, spalancò gli
occhi e sorrise, divertito. «Mi scusi, Frãulein
Schãfer abita qui?»
«
No, mai sentita nominare.» Quel sorriso era così contagioso,
che venne voglia di sorridere anche lei, e l'acqua le aveva
dato la sensazione d'essere tutta fresca e rosea. Lo sconosciuto
sembrò sbalordito. «Non abita qui?» esclamò. «È uscita,
vuoi dire!»
«
No, non abita qui» ripeté Viola.
«
Mi scusi un momento.» Si staccò dallo stipite,
e mosse un passo, per averla di fronte. Si sbottonò il
soprabito ed estrasse un pezzetto di carta dalla tasca interna,
lisciandolo con le dita guantate prima di porgerglielo.
«
Sì, l'indirizzo è questo, esatto, ma sarà sbagliato
il numero. Ci sono molte pensioni in questa strada, sa, e grandi.»
Qualche goccia d'acqua le cadde dai capelli sulla carta. Ella
scoppiò a ridere. «Oh, devo essere orribile...
un momento!» Corse al portacatino e prese un asciugamano.
La porta era sempre aperta... Dopo tutto, non c'era altro da
dire. Perché mai gli aveva chiesto di aspettare un momento?
Si strinse l'asciugamano attorno alle spalle e ritornò alla
porta, improvvisamente seria. «Mi dispiace, è un
nome che non conosco» disse con voce brusca.
E lo sconosciuto: «Dispiace anche a me. E molto tempo
che abita qui?».
«
Ma sì, da molto.» Cominciò, adagio, a chiudere
la porta.
«
Be', buongiorno, e grazie. Spero di non averla disturbata.»
«
Buongiorno.»
Lo sentì percorrere il corridoio e poi fermarsi, forse
accendeva una sigaretta. Si... un debole aroma di sigaretta
fine si insinuò nella stanza. Ella fiutò l'aria,
sorridendo di nuovo. Be', era stato un intermezzo affascinante!
Sembrava così incredibilmente felice, quel tipo; con
quegli abiti pesanti e i grossi guanti abbottonati, i capelli
spazzolati con cura, e quel sorriso... "Un cuor contento" ecco
la parola; un ragazzo ben nutrito, col mondo a sua disposizione.
Gente come quella faceva bene agli altri, ci si sentiva "rimessi
a nuovo" solamente a vederli. Sani, erano, sani e solidi,
e si poteva essere certi che mai avevano ceduto a impulsi irragionevoli
dal giorno in cui erano nati, né mai vi avrebbero ceduto
sino alla morte. E la vita aveva fatto lega con loro, se li
teneva sulle ginocchia, e aveva ragione, anche. In quel momento,
notò la lettera di Casimiro, appallottolata sul pavimento,
e il sorriso svanì. Fissando la lettera cominciò a
farsi le trecce, mentre una collera sorda si insinuava in lei:
le sembrava d'intrecciarla assieme ai capelli, su fino al cervello,
e di legarsela, ben stretta, sulla testa. Certo, era stato
quello l'errore, fin dal principio. E dove stava? Oh, nell'insopportabile
serietà di Casimiro. Se fosse stata felice, quando l'aveva
incontrato per la prima volta, non lo avrebbe nemmeno guardato;
ma allora erano entrambi come due pazienti nella stessa corsia
d'ospedale, che trovano conforto l'uno nella malattia dell'altra...
bell'inizio per un episodio d'amore! La sfortuna li aveva mandati
a picchiare con la testa l'uno contro l'altra; si erano guardati,
intontiti dall'urto, e avevano simpatizzato... "Vorrei
poter venire fuori da tutta questa storia per giudicarla, allora
troverei una via d'uscita. Certo ero innamorata per davvero
di Casimiro. Oh, sii sincera, per una volta." Si buttò sul
letto e nascose il viso nel cuscino. "Non ero innamorata.
Avevo bisogno di qualcuno che si curasse di me, e mi mantenesse
finché il mio lavoro non cominciava a rendere, e mi
tenesse lontana da ogni fastidio. Che cosa sarebbe accaduto,
se non l'avessi incontrato? Avrei consumato la mia magra sostanza,
e poi... Sì, è stato questo a decidermi, il pensiero
di quel `poi'. Lui era la sola soluzione. E credevo in lui
allora. Pensavo che bastava che un giorno il suo lavoro venisse
apprezzato per vederlo guazzare nell'oro. Pensavo che forse
saremmo stati poveri per un mese... ma lui diceva che se soltanto
avesse potuto avere me, lo stimolo... Buffo, se non fosse così maledettamente
tragico! È accaduto proprio il contrario; non gli hanno
pubblicato niente per mesi e mesi, e nemmeno a me, ma io, allora,
non lo speravo nemmeno. Sì, la verità è che
sono dura e amara, e che non ho né fede né amore
per gli uomini che non hanno successo. Finisco sempre col disprezzarli,
come disprezzo Casimiro. Suppongo dipenda dall'orgoglio primordiale
della femmina, alla quale piace pensare che l'uomo cui si è data
sia davvero un grande capo. Ma restare a marcire in questa
casa disgustosa, mentre Casimiro batte il paese nella speranza
di trovar aperta la porta di un editore... è umiliante!
Mi ha cambiato il carattere: non ero nata per la povertà,
io fiorisco soltanto in mezzo a gente divertente, a gente che
non è mai preoccupata".
La figura dello sconosciuto le sorse davanti, e non si lasciò scacciare. "Quello
era l'uomo per me, un uomo senza pensieri, che mi avrebbe dato
tutto quanto desidero e vicino al quale avrei sempre sentito
d'essere viva e a contatto con il mondo. Io non ho mai desiderato
lottare: ci son stata costretta. Veramente, c'è una
fonte di felicità in me, che sta asciugandosi, a poco
a poco, in questa odiosa esistenza. Ne morirò, se continua
così", si mosse, nel letto, e spalancò le
braccia. "Voglio amore, passione, avventura... mi struggo
per questo. Perché devo rimaner qui a marcire?" «Io
marcisco!» gridò, consolandosi al suono della
sua voce spezzata. "Ma se dico tutto questo a Casimiro,
quando verrà nel pomeriggio, e lui mi risponde: `Vai',
come certo farà, e questa è un'altra cosa che
detesto in lui, vederlo così remissivo; che cosa faccio...
dove vado?" Non v'era un luogo per lei dove andare. "Io
non voglio lavorare, né farmi da sola la mia strada.
Io voglio il lusso e tutti i comodi che si possono avere in
grembo alla ricchezza. C'è soltanto una cosa per cui
sono adatta, ed è la carriera di una grande cortigiana." Ma
non sapeva da che parte si dovesse cominciare. Le faceva paura
l'idea di girare per le strade; aveva sentito parlare delle
cose orrende che capitano a quelle donne: uomini con malattie,
o uomini che non pagavano... e poi, l'idea di un estraneo ogni
notte... no, non era nemmeno il caso di pensarci. "Se
avessi i vestiti che ci vogliono, me ne andrei in un buon albergo,
ma veramente buono, dove potrei trovare un uomo ricco... come
lo sconosciuto di questa mattina. Quello sarebbe l'ideale.
Oh, se soltanto avessi il suo indirizzo! Sono sicura che riuscirei
ad affascinarlo. Lo farei ridere tutto il giorno, lo convincerei
a darmi tutto il denaro che voglio." Solo a pensarlo si
sentì diventare tutta tenera e tiepida. Cominciò a
sognare una casa meravigliosa, e armadi pieni di vestiti e
di profumi. Si vide salire in carrozza e lanciare allo sconosciuto
sguardi misteriosi e voluttuosi; provò quello sguardo,
stesa sul letto... e mai nessun cruccio, soltanto così,
inebriata di felicità. Quella era la vita per lei. Ebbene,
la cosa da fare era lasciare che Casimiro continuasse la sua
inutile caccia, quella sera, e mentre lui era via... Come?
C'era anche – prego ricordare – l'affitto da pagare
prima delle dodici, domattina, e lei non aveva nemmeno quanto
bastava per pagarsi la cena. Al pensiero del cibo sentì un
doloroso stiracchiamento allo stomaco, come se dentro ci fosse
una mano che glielo strizzasse fino a lasciarlo secco. Aveva
fame, una fame terribile — tutta colpa di Casimiro — e
quell'uomo si nutriva di quanto c'era di meglio sulla terra
fin da quando era nato. Aveva l'aspetto di chi può ordinare
un pranzo magnifico. Oh, perché non aveva giocato meglio
le sue carte? Le era stato inviato dalla provvidenza, e lei
lo aveva trattato male. "Se l'occasione si ripetesse,
sarei salva, ormai." E invece dell'uomo qualunque che
le aveva parlato sulla soglia, la sua mente dava vita a una
immagine brillante, sorridente, che l'avrebbe trattata come
una regina. "C'è soltanto una cosa che non potrei
sopportare, che fosse grossolano, o volgare. Be', ma non lo
era; si vedeva che era un uomo di mondo, e il modo come si è scusato...
Ho abbastanza fiducia nelle mie possibilità e nella
mia bellezza per sapere che sarei capace di farmi trattare
da un uomo esattamente come voglio esser trattata."
Le fluttuò nella mente il dolce aroma di quel fumo di
sigaretta, e allora ricordò che non aveva sentito scender
nessuno dalla scala di pietra. Possibile che lo sconosciuto
fosse ancora lì? L'idea era troppo assurda. La vita
non gioca tiri simili... eppure, ella era conscia della sua
vicinanza. Si alzò pian piano, per non far rumore, tolse
dal gancio dietro la porta una lunga vestaglia bianca, l'abbottonò,
con un sorriso furbesco. Non sapeva che cosa stava per accadere.
Pensò soltanto: "Oh, che divertimento!" e
che stavano giocando a un giuoco delizioso, quell'uomo ignoto
e lei. Premette con cautela la maniglia della porta, mordendosi
le labbra, indispettita, allo scatto che fece la serratura
rientrando. Sicuro, eccolo là... appoggiato alla balaustra
della scala. L'uomo si volse di botto, mentre lei usciva dal
corridoio.
«
Uhm,» disse con voce incerta, stringendosi addosso la
vestaglia «devo scendere a prendere un po' di legna.
Brr, che freddo!»
«
Legna non ce n'è» la informò lo sconosciuto.
Ella diede un piccolo grido di stupore, poi scosse il capo.
«
Lei, di nuovo!» esclamò con aria di scherno, conscia
al tempo stesso del suo sguardo allegro e dell'odore fresco
e forte del suo corpo sano.
«
La padrona ha gridato che di legna non ne era rimasta più.
L'ho vista uscire adesso per andare a comperarla.»
"
Storie... storie" aveva voglia di dire. Egli le si fece
vicino, si chinò e le bisbigliò all'orecchio:
«
Non mi chiede di venir a finire la sigaretta in camera sua?»
Ella annuì: «Entri pure, se vuole».
In quel momento trascorso insieme nel corridoio era accaduto
un miracolo. La sua stanza aveva subito una metamorfosi, era
piena di una morbida luce, adesso, e del profumo dei giacinti.
Persino i mobili sembravano diversi, suggestivi. D'un tratto,
susseguendosi rapide come baleni, le tornarono alla memoria
le riunioni infantili durante le quali aveva giocato alle sciarade
e una delle parti usciva dalla stanza e poi vi ritornava per
rappresentare una parola... proprio come stava facendo ora.
Lo sconosciuto si accostò alla stufa e sedette nella
sua poltrona. Ella non desiderava che parlasse e che le venisse
vicino; le bastava vederlo lì, nella stanza, così sicuro
e felice. Che bisogno aveva avuto della vicinanza di una persona
così, che non sapeva nulla di lei, e non faceva domande,
ma si lasciava vivere, semplicemente! Viola corse al tavolo
e mise le braccia attorno al vaso dei giacinti.
«
Belli! Belli!» esclamò, tuffando il viso nei fiori
e fiutandone avidamente il profumo. Di sopra le foglie guardò l'uomo
e rise.
«
Lei è una strana bambina» disse lui pigramente. «Perché?
Perché amo i fiori?»
«
Preferirei che amasse qualcos'altro» rispose lo sconosciuto
con lentezza. Ella colse un piccolo petalo rosa e lo guardò,
sorridendo.
«
Mi permetta di mandarle dei fiori» disse lo sconosciuto. «Gliene
manderò tanti da riempire la stanza, se le fanno piacere.»
La sua voce le diede un lieve sgomento. «Oh, no... grazie,
questi mi bastano.»
«
No, che non le bastano» ribatté lui in tono provocante.
"
Che stupida osservazione!" pensò Viola, e guardandolo
di nuovo non lo trovò più così divertente.
Osservò che aveva gli occhi troppo vicini, e anche troppo
piccoli. Orribile pensiero... e se fosse uno stupido!
«
Che cosa fa tutto il giorno?» gli chiese in fretta.
«
Niente.»
«
Niente del tutto?»
«
E perché dovrei fare qualcosa?»
«
Oh, non creda nemmeno per un momento che io condanni tanta
saggezza, soltanto, sembra troppo bello per essere vero!»
«
Che dice?» Egli allungò il collo. «Che cosa è troppo
bello per esser vero?»
Sì, era inutile negarlo, sembrava uno stupido. «Suppongo
che la ricerca della signorina Schãfer non occuperà tutte
le sue giornate.»
«
Oh, no!» esclamò lui con una grassa risata. «Questa è buona!
Per Giove, no! Esco coi cavalli... le piacciono i cavalli?»
Ella annuì. «Mi piacciono.»
«
Allora deve venire in carrozza con me; ho un paio di bellissimi
bigi. Vuole?»
"
Carina sarei, appollaiata dietro a un paio di bigi con l'unico
cappello che possiedo" pensò lei. E ad alta voce: «Sì».
Gli piacque che accettasse così facilmente. «Andrebbe
bene domani?» le propose. «Potrebbe far colazione
con me, domani, e poi andremo a spasso in carrozza.»
Dopo tutto, non era che un gioco. «Sì, sono libera,
domani» rispose.
Una breve pausa, poi lo sconosciuto si batté una mano
sulle gambe.
«
Perché non viene a sedersi qui?» disse.
Ella finse di non vedere il gesto, dondolandosi appoggiata
al tavolo. «Oh, sto benissimo qui.»
«
No, che non ci sta bene.» Di nuovo quel tono provocante. «Venga
a sedersi sulle mie ginocchia.»
«
Oh, no!» disse Viola con vivacità, occupatissima,
d'un tratto, a ravviarsi i capelli.
«
Perché no?»
«
Perché non voglio.»
«
Su, venga qui» con impazienza.
Ella scosse la testa di qua e di là. «Non mi sognerei
mai di fare una cosa simile.»
Allora egli si alzò e le venne vicino. «Piccola,
ridicola gattina!» Alzò una mano per toccarle
i capelli.
«
No» diss'ella, sgusciando via dal tavolo. «Mi...
mi pare che sia l'ora che se ne vada.» Era spaventata,
adesso, e non pensava che una cosa: "Devo liberarmi al
più presto di quest'uomo".
«
Oh, ma non vorrà che me ne vada per davvero?» «Sì, è quello
che voglio... sono molto occupata.» «Occupata!
Che cosa fa la gattina tutto il giorno?» «Una quantità di
cose!» Avrebbe voluto cacciarlo fuori dalla stanza e
sbattergli la porta sul naso... stupida, idiota, crudele delusione.
«
Perché quella faccia scura?» diss'egli. «C'è qualcosa
che la preoccupa?» Diventando serio a un tratto: «Dico...
ascolti, si trova in difficoltà finanziarie? Ha bisogno
di denaro? Posso dargliene, se lo vuole!».
«
Denaro! Frenati, non perder la testa!» così disse
a se stessa.
«Le do duecento marchi se mi bacia.»
«
Oh, che condizione! E io non ho voglia di baciarla, non mi piace baciare. La
prego, se ne vada!»
«
Sì, che le piace, sì, che le piace!» La prese per le braccia,
appena sopra il gomito. Ella si dibatté, meravigliata di sentirsi tanto
incollerita.
«
Mi lasci andare, e subito!» gridò, ma lui le passò un braccio
attorno al corpo, attirandola a sé; le sembrava una sbarra di ferro attraverso
la schiena, quel braccio.
«
Mi lasci, le dico! Non sia grossolano! Non desideravo che accadesse questo, quando è entrato
in camera. Come si permette?»
«
Be', mi dia un bacio e me ne vado!»
Era troppo idiota... doversi dibattere per scansare quella stupida faccia sorridente.
«
Non voglio baciarla! Bruto! Non voglio!» Riuscì a strapparsi dalle
sue braccia e corse verso il muro, vi si appoggiò con la schiena, tutta
ansante.
«
Esca!» balbettò. «Esca subito, se ne vada!»
In quel momento, ora che si era sottratta a quel contatto odioso, era quasi divertita.
Provò un acuto piacere al suono irato della propria voce. "Pensare
ch'io debba parlare così a un uomo!" Una vampata di collera accese
il viso di lui, le labbra gli si contrassero, scoprendo i denti, proprio come
un cane, pensò Viola. Con un balzo l'uomo le fu sopra, la tenne ferma
contro la parete, premendole addosso con tutto il peso del corpo. Questa volta
ella non riuscì a liberarsi.
«
Non voglio baciarla. Non voglio! Ahi, si comporta come un cane! Se la cerchi
tra quelle che stanno sotto i lampioni, l'amante! Bestia, bruto!»
Egli non rispose. Con un'espressione assurdamente risoluta, le premeva addosso
sempre di più. Non la guardava nemmeno, ma le ingiunse con voce aspra
e violenta: «Zitta! Stia zitta!».
"
Garr! Perché gli uomini sono così forti?" Ella cominciò a
piangere. «Se ne vada, io non la voglio! Sudicio essere! Vorrei ucciderla!
Oh, mio Dio! Se avessi un coltello!»
«
Non sia tanto sciocca, venga, e faccia la buona!» E la trascinava verso
il letto.
«
Crede ch'io sia una donnetta allegra?» ringhiò lei e, rivoltandosi,
gli conficcò i denti nel guanto.
«
Ach! No... mi fa male!»
Ella non lasciò la presa, e in cuor suo diceva: "Grazie a Dio che
ci ho pensato".
«
Basta! La smetta... strega, sgualdrina.» La gettò lontana da sé.
Ella vide con gioia che aveva gli occhi pieni di lacrime. «Mi ha fatto
male davvero» disse l'uomo con voce malferma.
“
Certo che le ho fatto male. Era quello che volevo. E non è niente in confronto
a ciò che farò se mi tocca ancora.”
Lo sconosciuto raccolse il cappello. «No, grazie» disse, torvo. «Ma
non me lo dimentico... andrò dalla sua padrona di casa.»
«
Puah!» Scrollò le spalle e rise. «E io le dirò che
lei è entrato qui a forza e ha cercato di aggredirmi. A chi dei due crederà?
Con quel morso che ha nella mano... Se ne vada a cercare la sua Schafer.»
Una luminosa, inebriante sensazione di felicità invase Viola. Roteò gli
occhi sullo sconosciuto: «Se non esce di qui immediatamente, la morsico
di nuovo» disse, e quelle assurde parole la fecero scoppiare in una risata.
Anche quando la porta si chiuse dietro di lui, e lo sentì scendere le
scale, ella continuò a ridere, ballando per la stanza.
"
Che mattina! Oh, non pensiamoci più". Era la sua prima battaglia,
e aveva vinto, aveva sottomesso quella bestia con le sue sole forze. Le mani
tremavano ancora. Si tirò su le maniche del vestito: le erano rimasti
grossi segni rossi sulle braccia. "E avrò le costole livide. Sarò tutta
livida" rifletté. "Se soltanto quel caro Casimiro avesse potuto
vederci." La sua collera e il suo disgusto contro Casimiro erano del tutto
scomparsi. Come poteva venirle in aiuto, povero caro, se non aveva denaro? La
colpa era anche sua, non soltanto di lui; anche Casimiro, proprio come lei, viveva
lontano da tutto, in lotta contro il mondo intero, proprio come aveva fatto lei.
Venissero le tre, almeno. Le parve di vedersi corrergli incontro e gettargli
le braccia attorno al collo.
"
Tesoro mio! Certo che vinceremo. Mi ami sempre? Oh, sono stata odiosa, in questi
ultimi tempi."
(Tratta
dalla racconta Racconti, Rizzoli, Milano, 2001)
Katherine
Mansfield
Precedente Successivo
Copertina
|