IL
PREMIO
José Ovejero
"Lena
tace, sorride, sfinge."
Arturo rilesse la frase e la ripeté ad alta voce, come
se dovesse impararla a memoria. In realtà, con quelle
parole, stava evocando un ricordo, il momento in cui le aveva
udite per la prima volta dalla bocca di Angel Sanjuán
alcuni anni prima, quando quest'ultimo ancora partecipava agli
incontri letterari. Già allora Arturo aveva ammirato suo
malgrado quella breve descrizione di donna enigmatica gustandone,
sempre suo malgrado, la successione di azioni controllate che
diventano passività quasi assoluta nel sostantivo di chiusura,
'sfinge', che sostituisce un'intera frase e contemporaneamente,
da un punto di vista fonetico, insinua un sospetto di falsità.
Sfinge, finge, è una sfinge, e come tale tace e sorride,
pericoloso paradigma della finzione e del tradimento.
Già a quel tempo – doveva essere intorno al '78 – era
rimasto colpito dalla semplicità con cui, nelle mani di
Angel, la sintassi diventava uno strumento creativo e non lo
scomodo corsetto che opprime la prosa di tanti scrittori.
Ma più di tutto gli faceva rabbia che, mentre Angel leggeva,
lo sguardo di Rosa fosse rapito al punto da tradursi senza dubbio
in automatiche e inconfessabili secrezioni. O almeno così pensava
Arturo, che si divertiva a bagnarsi la lingua in un bicchiere
di gin – gli era venuta la passione per questa bevanda
che gli dava modo di fare sempre la battutina, Arturo, Ginevra,
ah, ah, ah – fingendo di non ascoltare Angel Sanjuán
che leggeva il suo romanzo inedito e controllando invece abbastanza
apertamente lo scambio di sguardi tra lui e Rosa. Negli occhi
di lei si leggevano approvazione, desiderio, resa incondizionata.
Se continua a guardarlo così, finirà per farglielo
drizzare, disse fra sé Arturo, e scrutò la patta
del lettore per vedere se il bozzo confermava i suoi sospetti.
In realtà, filosofeggiò, siamo un'orda di mandrilli,
nient'altro che questo. L'unica cosa che ci interessa è risalire
la piramide del clan per scopare il più possibile. Scrivere è una
maniera evoluta di esibire un sedere luccicante allo scopo di
far eccitare le femmine.
Si ripromise di esporre la sua teoria appena se ne fosse presentata
l'occasione. Teoria che però non gli impediva di provare
fastidio per il fatto che Rosa e Angel continuassero a guardarsi.
A copulare con lo sguardo, etichettò, e decise di interrompere
quel coito visivo.
Eccessivamente forzato. Brillante come una metafora di Góngora,
però banale, vuoto, flatus vocis sentenziò, riferendosi
alla frase che Angel aveva appena letto, prima di rimettersi
a slinguazzare nell'alcol.
Tutto il disprezzo di Angel si condensò in quel centimetro
di sopracciglio sinistro inarcato.
È
perfetto. – lo difese Rosa– Geniale.
Geniale fa rima con superficiale e artificiale.
Angel non intervenne. Proseguì la lettura e lo scambio
di sguardi con Rosa. Alla fine vi furono gli applausi. Quelli
di Rosa sembrarono ad Arturo degli schiaffi, ciaf, ciaf, questo
per la tua imbecillità, quest'altro per la tua invidia.
Da allora erano trascorsi più di dieci anni e almeno sei
dall'ultima volta che aveva parlato con Angel. Al Gaffe Gijón
o al Lyon, uno dei due, si erano scambiati qualche parola ma,
come sempre, in maniera poco amichevole. Si erano seduti a due
tavoli diversi, però questo non aveva impedito ad Arturo
di ascoltare gli interventi di Angel in una conversazione a sfondo
vagamente politico. Perciò, quando Angel si alzò per
andare in bagno, Arturo ne approfittò.
–
Quello che hai detto poco fa – lo redarguì mentre
gli pisciava accanto – è una stronzata. Non occorre
diventare un eremita per rimanere onesti. Uno può partecipare
in modo attivo alla vita culturale del suo paese e conservare
la propria dignità.
–
Come dice Monsignor Escrivá de Balaguer a proposito della
tentazione: sii coraggioso, fuggi. – rispose Angel. Era
evidente che lo stava prendendo per i fondelli.
–
No, senti, lascia stare le scuse e le pie citazioni. Sparire
adesso non significa avere coraggio, ma fifa bell'e buona. E
poi per rintanarsi in una casetta sulla Costa Brava, alla ricerca
del locus amoenus da cui scrivere in stato di grazia. Ma fammi
il piacere. Ti rifugi nella torre d'avorio proprio ora che serve
gente di sinistra per rimettere in moto la cultura del paese.
Cazzo, siamo rimasti nascosti pure troppo.
Angel si scrollò le ultime gocce, spinse il sedere all'indietro
con un movimento tanto superfluo quanto universale e si riabbottonò la
patta dei pantaloni.
–
Quello che farete sarà sistemare le vostre chiappe sulle
poltrone del Ministero e cominciare a dettare leggi dall'alto.
Ora apri bene le orecchie: ho passato gli ultimi anni del franchismo
senza pubblicare nulla perché non mi sembrava dignitoso
permettere che qualcuno censurasse i miei libri. Ho trascorso
l'osannatissima epoca della transizione senza pubblicare nulla
perché non mi andava di buttarmi sul mercato come quella
massa di cantastorie che, per il solo fatto di essere democratici,
si sentivano in diritto di vedere inciso su pietra qualunque
verso gli uscisse di bocca – nient'altro che ragli. E adesso
che i socialisti sono al potere, credo sia il momento migliore
per ritirarmi dalla vita sociale e politica, mettermi a scrivere
e, se necessario – ma per questo ho bisogno di prendere
le distanze – criticare la sinistra. Oggi sì che è il
momento giusto per pubblicare.
–
D'accordo, sei assolutamente irreprensibile e questo lo sappiamo
tutti, – disse Arturo, notando con soddisfazione che sulla
patta di Angel si era formata una macchiolina umida, – ma
se vuoi sapere la mia opinione, penso che gli intellettuali debbano
contribuire a incentivare... – si pentì subito di
aver usato quel vocabolo così burocratico, ideale per
confermare i sospetti di Angel – a promuovere la cultura,
istituire premi, dare una mano agli editori...
–
Tenere conferenze – continuò Angel – organizzare
dibattiti con gli scrittori, a cui certamente non saranno invitati
marchesi o militari, il Re o i politici più in vista,
tutti tirati a lucido, bensì gli agricoltori e gli operai
metallurgici che, finalmente, avranno l'opportunità di
entrare in contatto diretto con i nostri grandi autori. Bene,
quando succederà, fammi un fischio.
I due si misero a lavarsi le mani. Arturo le sollevò verso
Angel.
Che c'è? Hai paura di sporcartele se le stringi a un duca
o a un banchiere? Be', sono loro che hanno il potere anche se
a vincere siamo stati noi. Non ci resta che patteggiare, negoziare,
discutere...
Con il sorriso stampato e una tartina di caviale in mano. No
grazie.
Un po' di realismo non ti farebbe male.
Realismo – spiegò Angel con tono pedagogico – fa
rima con arrivismo e con opportunismo. – E subito dopo,
uscì dal bagno asciugandosi le mani sui pantaloni.
Questo bastardo traditore non pubblicherà un libro per
i prossimi cent'anni, giurò Arturo. Poi si diede una rapida
occhiata allo specchio. Quando uscì, Angel Sanjuán
era già andato via.
Arturo
chiuse il libro. Aveva letto le ultime pagine un po' distrattamente,
rievocando la storia della sua rivalità con Angel. Indubbiamente
era il miglior romanzo tra quelli rimasti in gara dopo una
prima scrematura e che ora dovevano essere sottoposti al vaglio
della giuria. Eccezionalmente, poi, quest'anno i membri della
giuria non avevano ricevuto raccomandazioni da parte di editori
o agenti per nessuno degli autori concorrenti al premio.
Mentre raccoglieva le sue carte e un altro paio di libri che
gli restavano da leggere, Arturo cercò argomentazioni
valide per dissuadere i colleghi della giuria dall'assegnare
il premio ad Angel. La prospettiva che Angel si portasse a casa
gli otto milioni e il prestigio associato al concorso gli era
insopportabile. “Troppo elaborato, privo di freschezza.” provò,
ma non suonava convincente. Uscendo dall'ufficio diede istruzione
alla segretaria di passargli le telefonate a casa. Lei ruminò una
risposta di assenso che restò invischiata nel suo chewing-gum
alla fragola. Arturo aveva notato che la ragazza sapeva sempre
di aromi artificiali. Era sicuramente lei quella che appiccicava
i chewing-gum sotto le sedie. Tuttavia, nonostante l'odore di
gomma da masticare e gli spessi occhiali da miope, che si possono
sempre togliere, non era male per una scopata. Chissà se
avrebbe trovato un po' di tempo per tastare il terreno. Con quest'idea
in testa Arturo riaprì la porta, fece capolino e sfoderò un
sorriso da boss fascinoso.
–
Non lavorare troppo.
Non parcheggiò la macchina in garage perché all'improvviso
gli venne in mente che avevano un appuntamento per cena, anche
se aveva dimenticato con chi. Qualche contatto di lavoro della
moglie.
Quando entrò nel salone, la trovò che si laccava
le unghie. Negli ultimi tempi gli capitava spesso di vederla
laccarsi le unghie o togliersi lo smalto con l'acetone. Cominciava
ad associarla all'odore di un colorificio.
La baby-sitter ci ha piantato in asso, quella figlia di puttana.
Dice che sta male. Una bella faccia tosta. – Era sempre
così. La prima cosa che riceveva, di ritorno a casa, era
il bollettino di guerra. – Ma Ana dice che può restare
da sola, che non ha più paura. Non è un vero tesoro?
–
È abbastanza grandicella. Era pure ora.
Bello mio, non sei mai contento. Se piange, perché piange,
se non piange, perché...
Ma sì che mi fa piacere. – Arturo osservò come
Rosa richiudeva la boccetta dello smalto con le dieci dita tese
e come, subito dopo, si accendeva una sigaretta con la stessa
rigidità. Sembrava la caricatura di un subnormale. Sicuramente
ora avrebbe soffiato sulle unghie il fumo inspirato. Arturo attese
fino a che non verificò la sua predizione. Poi andò a
farsi la doccia, soddisfatto. Mentre si stava lavando la testa,
sentì Rosa entrare in bagno.
Questo shampoo alle erbe sarà pure naturale, però fa
cagare. Non fa schiuma per niente.
Nessuna risposta. Solo un tintinnio di boccette e nebulizzatori.
E il ronzio del Ladyshave. Gli venne in mente di aprire la tenda,
prendere Rosa per un braccio, attirarla sotto la doccia – nella
sua fantasia, lei fingeva resistenza ma era eccitata – farla
inzuppare finché la vestaglia di seta non si fosse modellata
sulle sue forme e spogliarla di quella pelle per scoprire l'altra,
che poi avrebbe baciato appassionatamente, ecc... Bah. Sapeva
che a metà preparativi Rosa era una fortezza inespugnabile,
in grado di resistere a qualunque attacco, protetta da rimmel,
lacca e rossetto... L'altra cosa che gli venne in mente fu di
masturbarsi, magari insaponandosi il pene. Quello che fece alla
fine, senza deciderlo, fu di mettersi a parlare.
–
Indovina chi ha spedito un romanzo al concorso?
–
Non lo so. Qualcuno di quei giornalisti che ormai stanno dappertutto.
–
Angel.
Arturo assaporò l'effetto di quelle due sillabe. Due frustate
che imposero il silenzio al mondo esterno, bloccando tutti i
movimenti che prima svolazzavano nel bagno.
–
Sanjuán?
Utilizzare il cognome era un modo per esprimere la distanza,
come se l'interruzione delle attività cosmetiche non avesse
rivelato l'effetto che quel nome aveva suscitato in lei. Forse,
pensò Arturo, il suo cuoricino ha avuto un sobbalzo.
–
Si, il tuo ex amante – disse.
L'esplosione non si fece attendere.
–
Sei proprio un bastardo, Arturo. Non avrei mai dovuto raccontartelo.
Ma andavi in giro a sbandierare continuamente la tua mancanza
di pregiudizi, a dire che il matrimonio non deve essere una prigione
e altre minchiate simili.
–
Era una battuta, Rosa. – Si era arrabbiata sul serio.
–
Te l'ho raccontato quando ho deciso di darci definitivamente
un taglio e di dedicarmi a te e alla bambina. A volte si è troppo
sinceri. – Ho detto che era una battuta, scusa.
Uscì dalla doccia e cominciò ad asciugarsi con
premeditata lentezza, sperando che il suo corpo nudo attirasse
l'attenzione, e magari il desiderio, di Rosa. In effetti, grazie
alla frequentazione della palestra, era piuttosto in forma.
Dopo un breve silenzio, Rosa si era quasi riconciliata con lui.
Era un suo pregio: la rabbia svaniva in un attimo. Forse per
questo Arturo aveva preso l'abitudine di dire la prima cosa che
gli passava per la mente, le conseguenze non erano mai troppo
gravi.
Come sai che ha spedito un libro? Non arrivano in buste sigillate?
–
L'ho riconosciuto dallo stile. E da qualche frase che avevo letto
anni fa. Dato che non pubblica, si concede pure il lusso di ripetere
le sue frasi migliori.
Ma sì che ha pubblicato.
Bah, qualche racconto con una di quelle case editrici per ex
anarchici disoccupati, che stampa libri che nemmeno Dio legge,
nonostante la sua infinita pazienza.
Rosa continuò a prepararsi con aria indifferente. La domanda
ci mise un po' ad arrivare. Ma arrivò.
–
E... è buono?
–
Non è male. C'è qualche frase proprio azzeccata,
come al solito. Però manca di solidità. Non è migliorato
granché.
Arturo percepì l'occhiata di diffidenza percorrere il
suo profilo. Avrebbe voluto trattenere il sorriso che gli si
stava schiudendo sulle labbra e fece di tutto per ridurlo a una
smorfia qualunque, ma niente da fare, era un sorriso chiaro e
soddisfatto. Perché veniva troppo dal profondo.
–
In altre parole, non vincerà.
–
Penso proprio di no.
–
Già. Sarebbe l'ultima persona a cui daresti il premio.
Anche se il libro fosse geniale.
La passione di Rosa per quell'aggettivo lo infastidiva davvero. – Non è geniale.
–
E se lo fosse, glielo daresti?
Non lo è. Ce ne sono cento migliori del suo – mentì. – Ma
in una cosa hai ragione: sono contento che sia così. Che
Angel, con la sua ineccepibile dignità, non sia mai uscito
dalla schiera degli scrittori mediocri.
A me piaceva – rispose Rosa un po' assente, come se non
prestasse attenzione alle spiegazioni del marito. A quanto pareva,
un ciglio non voleva saperne di curvarsi.
Lo so che ti piaceva. – Ma il nuovo colpo non toccò nemmeno
il suo corpo, che aveva assunto un apparente distacco.
Arturo si asciugò il membro in maniera ostentata, chiedendosi
ancora se sarebbe riuscito ad attirare l'attenzione di Rosa sulla
sua nudità. Stavolta rimediò almeno uno sguardo
filtrato dallo specchio.
–
Ti è venuta un po' di pancia, vero?
–
E a te le emorroidi.
Lo sbattere della porta sottolineò l'ira della donna. "Bam!" ripetè Arturo,
come fosse un personaggio dei fumetti. E fece una bolla di saliva.
Il
mattino dopo, Arturo si alzò tardi. La sveglia aveva
suonato alle otto, ma una decisa manata aveva posto fine a
quel frastuono inopportuno. Verso mezzogiorno si mise in piedi;
Rosa dormiva ancora o, più precisamente, si era riaddormentata,
visto che aveva dovuto preparare la colazione alla bambina.
Arturo si era svegliato con dei postumi pesanti: la sera prima
avevano bevuto parecchio e poi, in vino veritas, avevano sperimentato
alcune posizioni tratte da un libro pseudoscientifico sui rapporti
di coppia. Non male.
Si rinchiuse nello studio con i due libri che gli restavano da
leggere e un caffè molto ristretto. Le sigarette le lasciò di
proposito in camera da letto. Il pomeriggio si sarebbe riunita
la giuria per emettere il verdetto finale, perciò doveva
sbrigarsi. C'erano due cose che lo rendevano ansioso, e aveva
addirittura la sensazione di averle rimuginate nel dormiveglia,
al punto che si erano identificate con il sapore amaro che aveva
in bocca e con la lieve emicrania che iniziava a farlo uscire
di senno. Su un immaginario foglio bianco scrisse l'enunciato
dei due problemi:
1) Perché Angel Sanjuán ha deciso di presentarsi
a un concorso letterario promosso, seppur indirettamente, dal
Ministero della Cultura, dopo aver accettato per anni l'emarginazione
editoriale e pubblicato solo su riviste affini alla sua ideologia?
2) Come far sì che non venga concesso ad Angel il premio
di finalista, ossia, come convincere i colleghi giurati che non
merita neppure il secondo posto, dal momento che è molto
probabile che vogliano concedergli il primo?
Per risolvere il primo problema chiamò un dipendente del
Ministero.
–
Ciao, sono Arturo, sì, io. Devi farmi un piccolo favore,
ma con discrezione. Trova cos'ha pubblicato Angel Sanjuán
negli ultimi tempi e, se puoi, cerca di sapere qualcosa della
sua vita, non so, faccende private, tutto quello che riesci.
Cazzo, se avessi saputo come fare, non ti avrei chiamato; ho
bisogno di te per questo. Sì, resto a casa a lavorare.
A dopo.
Quindi passò al secondo problema. La soluzione che gli
venne in mente gli sembrò particolarmente brillante. Bastava
lasciar cadere un'allusione a un possibile plagio, affermare
che la trama gli suonava molto familiare, come se l'avesse già letta
da qualche parte ma, sfortunatamente, non ricordava dove; a ogni
modo, la faccenda puzzava... Sicuramente nessuno avrebbe accettato
di correre il rischio.
E
così si era sposato. La notizia lo raggiunse finalmente
sul telefono della macchina mentre era già per strada,
diretto alla riunione con gli altri giurati. Sposato, moglie
incinta e il lavoro che va male. "Che si fotta." pensò Arturo. "Se
avesse accettato la mia offerta, ora le cose gli andrebbero
bene come a me." Fece una smorfia nello specchietto retrovisore. "Chi
troppo vuole, nulla stringe." Smorfia, altra smorfia e
saluto al poliziotto che alza la sbarra.
E così si era sposato. Perfino per il purissimo Angel
passavano gli anni. In fondo non faceva una grinza. Quando si è giovani,
per quanto poco intelligenti si possa essere, si lotta per la
libertà sessuale e per una vita senza doveri. Dopotutto, è molto
più avanti che si comincia a sentire il proprio disagio,
il bisogno di non stare soli...
Arturo abbandonò le sue riflessioni. Il fatto di sapere
Angel in difficoltà e appeso al verdetto della giuria
gli provocava una rilassante sensazione di benessere; e lui,
Arturo Pérez, era uno dei giurati. Gli sarebbe piaciuto
da morire telefonare a Angel, salutarlo, eh, come vanno le cose,
e fargli capire la situazione, che l'aveva in pugno, ma senza
dirlo apertamente, ovvio. Nell'ascensore si aggiustò il
nodo della cravatta, ripassò rapidamente le sue persuasive
argomentazioni e mimò l'espressione più adatta
alla circostanza.
Giunto a destinazione, s'imbatté in un sorriso che era
lì già prima che lui apparisse. Sul sorriso poggiavano
un paio di baffetti sottili, un naso diritto e patrizio, un paio
di occhiali grillati, due occhi ebbri di felicità e capelli
neri domati a furia di lacca e ritocchi: Borja Salazar, anch'egli
membro della giuria.
–
Indovina chi viene ad assistere alla cerimonia di consegna. – La
Principessa Cristina – rispose Arturo per fargli dispetto.
–
Di più – rispose l'impomatato, senza nemmeno cogliere
l'ironia – Il ministro in persona.
Il brutto di avere origini umili è che non si è mai
del tutto sicuri di come vanno usate le pinze per i crostacei
o quale sia l'abbigliamento più adatto per ogni occasione.
Per questo gli dava fastidio che la consegna del premio si trasformasse
in un grande evento mondano in cui veniva messo alla prova lo
stile di ciascun partecipante. Borja, certamente, sapeva sempre
cosa indossare e chi salutare per primo. Per lui invece era come
giocare continuamente in campo avversario. Arturo lasciò Borja
appostato a diffondere la buona novella, e si avviò verso
la sala in cui si sarebbe svolta la riunione. Scambiò saluti,
sorrisi, le solite battute. Poi si sedette, lasciando uno spazio
vuoto tra sé e un altro membro della giuria.
Era di umore instabile. Il mal di testa non voleva saperne di
passare – nonostante le due aspirine – e l'unica
cosa che voleva davvero era infilarsi sotto le coperte. Solo
quando pensava ad Angel, a come lo teneva in pugno, recuperava
un po' di allegria. Ma l'idea della consegna dei premi il giorno
dopo lo ripiombava puntualmente nella depressione. Doveva ammettere
che, quella volta, quando si erano trovati a pisciare insieme
nel gabinetto del Gijón, quell'imbecille di Angel aveva
avuto ragione. Per sconfiggere la destra, non solo alle elezioni
ma, cosa più importante, dopo, nella gestione quotidiana
del paese, non erano riusciti a evitare di assimilarsi a loro.
Se vuoi l'appoggio delle banche, devi parlare con i banchieri,
quindi cravatta, cena al club marittimo, una battuta di caccia
nella tenuta di... Se pretendi di trattare con la Chiesa, non
puoi fare a meno di avvicinarti ai preti. E non è che
puoi mettere e togliere la maschera come un abito, non ci sono
grucce a cui appendere il modo di fare il saluto a un generale,
né cassetti in cui riporre il sorriso alla banda d'onore
della confraternita x. Ti tocca invece accogliere la banda e
stringere la mano di quel coglione – sai perfettamente
che i suoi carri armati stavano già scaldando i motori
il 23 Febbraio – per una questione di pubbliche relazioni.
E il figlio di puttana, sì, quel gran figlio di puttana
che rispondeva al nome di Angel Sanjuán, si permetteva
il lusso di insultarli, di prendersi gioco di loro, di criticare
le loro cravatte e auto sportive. Ma che pretende? che andiamo
all'appuntamento con l'ambasciatore cileno a bordo di una due
cavalli? Il furbone se ne stava lì, su un'erta costiera,
a colazione sul balconcino che si affaccia sulla baia, a guardare
col binocolo il sedere delle bagnanti e a scrivere un paio di
paginette al giorno – trasudanti veleno, of course – per
giustificare la sua fantastica vita. Questo vermiciattolo che
non fa niente, AS SO LU TA MEN TE niente, adesso che le cose
si sono messe male e che ha sbagliato i calcoli – Ogino,
i tuoi figli ti salutano – crede sia sufficiente mandare
un libretto a un concorso perché il tanto disprezzato
establishment venga a cavargli le castagne dal fuoco. Si ricorda
adesso del nostro impegno a promuovere la cultura nel paese.
Be’, non ci sto. Ogni medaglia ha il suo rovescio. Non è che
adori la favola della cicala e della formica, mi sa un po' di
morale da prete di campagna, ma accidenti, un minimo di giustizia!
Il presidente cominciò il suo solenne discorso davanti
ai membri della giuria. Iniziò a sgranare, con l'automatismo
di una bigotta che recita il rosario, le frasi di circostanza
riguardanti l'importanza del premio, la promozione della cultura,
il sostegno che il Re in persona intendeva dare al suo consolidamento... "Questi
babbioni dell'Accademia credono ancora che sia di buon gusto
parlare come Castelar. Come se non bastasse la tortura di leggerli
su ‘ABC’” disse tra sé Arturo. In ogni
modo, non lo ascoltava neppure. All'improvviso, si era messo
a rimuginare sulla relazione tra Rosa e Angel. Esisteva già da
prima che si sposassero ed era proseguita a tutta birra nei primi
due anni di matrimonio. Poi, era arrivata la sera della rivelazione.
Rosa, con l'aria di chi sta facendo uno dei passi più importanti
della propria vita, fiera di se stessa e del suo comportamento
da donna aperta, sincera e rispettabile, si aspettava che Arturo
le desse un bacio sulla guancia e buonanotte. A partire da quel
giorno, sarebbero stati una coppia modello, devi vedere quanto
si amano i Pérez. Ma lui, Arturo, aveva trascorso ore
e ore nel suo studio, ripetendosi di continuo "Angel si
sta facendo Rosa" e s'immaginava il procedimento, come chi
vede un documentario su un intervento chirurgico, con un primo
piano su ogni palpito della carne e zumate sulle varie metamorfosi
degli organi, delle cavità o delle ghiandole coinvolte
nello scambio di secrezioni. Ore ad ascoltare i gemiti di Rosa,
le sue frasi oscene – che conosceva di prima mano – quel
suono simile a un muggito con cui il maschio veniva premiato
nel momento clou della monta. Arturo, che non si sentiva fiero
di quello che stava per fare, pensava di avere sufficienti motivi
per farlo. Angel, mio caro, chi la fa l'aspetti.
Borja,
che aveva preso posto in una delle sedie libere accanto ad
Arturo, lo stava tirando per la manica.
–
Che c'è, ti ci vuole tanto a decidere?
Arturo reagì con la rapidità dell'alunno redarguito
dal maestro. – Stavo riflettendo. Non dobbiamo votare alla
leggera.
Con la coda dell'occhio captò il movimento compiaciuto
(o stava dormendo?) della testa del presidente della giuria.
–
Per quanto mi riguarda – intervenne uno, facendo una pausa
a mo' di prologo per sottolineare l'importanza di ciò che
stava per dichiarare, durante la quale si tolse gli occhiali
e strinse con due dita la parte superiore del ponticello, come
chi si sente sfinito dopo un'intensa fatica intellettuale. – Per
quanto mi riguarda – ripeté – non ho il minimo
dubbio su chi, o meglio, su quale libro meriti il premio: La
sorpresa di Vulcano; titolo poco felice, ma che suggella una
narrazione la cui qualità è di gran lunga superiore
al resto. Sebbene non sia incline all'esagerazione, ritengo che
quest'opera sia un gioiello della letteratura spagnola contemporanea. – E
si guardò attorno con aria di sfida.
Proprio quello che Arturo temeva. Non era stato l'unico ad aver
apprezzato la qualità del romanzo di Angel. Per avvantaggiarsi
sul giudizio degli altri – dal momento che, una volta esaltate
le lodi del libro, sarebbe stato più difficile per tutti
ripensarci – decise di scagliare la prima pietra.
–
Non so, non è che voglia negarne gli indubbi meriti – buona
idea quella di iniziare con un tono che contenesse già il
seme della diffidenza, senza però screditare del tutto
i difensori del libro – contiene intere frasi e passaggi
molto azzeccati ma, secondo me, rimane un po' in superficie,
non sempre riesce a penetrare la realtà...
Qualcuno lo interruppe per esprimere le proprie riserve sul testo
e Arturo lo lasciò fare, preferendo risparmiare le batterie
per la battaglia finale, in cui avrebbe sgominato i suoi avversari.
Sprofondò nella poltrona, si accese una sigaretta e ascoltò con
condiscendenza le varie argomentazioni. Un collega gli espresse
con veemenza la sua stizza, poiché si limitava a dire
che il libro non gli sembrava granché, ma non ne suggeriva
un altro: troppo comodo. Ma che voleva? Che il premio restasse
senza vincitore – già serpeggiava lo scandalo – con
il ministro presente per giunta? Cosa avrebbero detto, ci dispiace,
ministro, questo è un paese di imbecilli, nessuno degli
scrittori merita il premio?
Arturo si sorbì l'intervento con una smorfia di disgusto.
In fondo, il conferimento del premio non era un atto culturale
bensì mondano, come un debutto in società o il
matrimonio di un ozioso rampollo della nobiltà. Lì,
tutti i suoi colleghi – lui compreso – si sarebbero
ritrovati a portare a spasso la propria vanità per la
sala congressi. E che espressione soddisfatta avrebbero sfoderato
durante la consegna dell'illustre premio, loro che contribuivano
in maniera tanto semplice – cioè, ubriacandosi di
whisky e champagne pagati dai contribuenti – allo sviluppo
della letteratura in Spagna! Si sarebbero sentiti importanti,
i loro commenti avrebbero dimostrato la solida formazione acquisita,
e le loro labbra sciorinato citazioni – sempre le stesse,
per potersi capire – e sbavato ricordi di momenti altrettanto
insigni. E gli scrittori premiati avrebbero strisciato in mezzo
a loro, corteggiati dagli uni e dagli altri, costretti a sopportare
la conversazione, naturalmente brillante, dei loro mecenati.
Sebbene Arturo fosse deciso a fare in modo che ciò non
si verificasse, si concesse di immaginare Angel mentre riceveva
il premio dalle mani del ministro, oggetto dell'invidia di tanti
e tanti autori che avrebbero trascorso notti insonni, traducendo
la propria avidità in metafore e perifrasi virtuose. No,
non era giusto che Angel Sanjuán, paria per scelta, arrivasse
a ricevere l'ammirazione e il beneplacito dei protagonisti e
delle mezzecalzette del mondo culturale e politico. Nella sua
fantasia, vedeva Angel impegnato in un'amichevole conversazione
con il ministro, magari occupando il posto che invece desiderava
per sé. Se lo raffigurava lì a raccontare il romanzo
nei dettagli, scambiando battute con politici e giornalisti influenti,
o spiegando loro quali autori avevano ispirato il suo percorso
letterario. Il giorno dopo, i giornali avrebbero mostrato le
foto di Angel Sanjuán, la grande rivelazione della letteratura
spagnola, in mezzo alle principali figure di spicco del paese.
Arturo,
che dopo la decisione della giuria era andato a festeggiare
il verdetto con un paio di colleghi, rientrò a casa
all'alba. Rosa, anche se già a letto, era ancora sveglia.
Quando entrò in camera da letto, lei spense il televisore
e si voltò verso di lui con malcelata curiosità.
–
Avete già deciso?
Sì. - rispose allegro Arturo prima di sparire nel bagno,
assaporando la curiosità della moglie. – Senti, – disse
quando riapparve con il pigiama già indosso – mi
verso un whisky. Mi fai compagnia?
Ti vedo tutto pimpante. L’hai spuntata tu?
Arturo ignorò la domanda, uscì dalla stanza e tornò con
due bicchieri di whisky belli colmi.
Tieni, festeggia con me. Cin cin.
Rosa si bagnò appena le labbra, mentre Arturo mandò giù un
bel sorso, alla John Wayne, aaahhh. Poi si divertì a far tintinnare
i cubetti di ghiaccio.
In realtà era tutta una commedia, la prosecuzione di quanto
aveva recitato durante tutto il pomeriggio. Perché, a
dire il vero, gli faceva male lo stomaco: un principio di ulcera,
la vita sedentaria, lo stress dovuto alle responsabilità,
ecc... Ma il fatto di conoscere le cause non lo faceva affatto
sentire meglio.
E, fra l'altro, il whisky gli stava dando la nausea.
Per non parlare delle lacrime, che stavano lì lì per
spuntargli. "Che spreco, Dio che spreco" diceva una
voce dentro di sé, commentando, senza che nessuno glielo
avesse chiesto, la vita sciupata di Arturo Pérez. "Abbiamo
perso la dignità" gli diceva un'altra vocina saccente,
ma lui si rifiutava di ascoltare, perché la gente non
ha la minima idea di cosa sia la vita. Nessuno. E meno che meno
Angel Sanjuán. Malelingue, ecco cos'erano, se n'andavano
in giro dandosi arie da gente rispettabile, perché non
si erano mai trovati a fare i conti con la tentazione. Che merito
c'è nel non peccare quando non si ha l'opportunità di
farlo? Lo volevano forse criticare perché a quarant'anni
non la pensava più come a venti? Cazzo, quando si è giovani
si è più radicali, anche perché non si ha
la possibilità di agire e si sa che con le parole si va
sempre più lontano che con i fatti. La prima volta che
si sbatte il muso contro la realtà è quando ci
si sveglia dal sonno. Però naturalmente, questa gentaglia
che rifiuta le responsabilità non se n'è ancora
resa conto.
L'ira, tuttavia, non riusciva a seppellire la tristezza. Così buttò giù un
altro sorso, magari avrebbe affogato quelle voci pettegole.
Forza, piantala con tutti questi misteri — lo riprese la
donna che giaceva al suo fianco e che somigliava tanto a Rosa.
Anzi, forse era Rosa.
Arturo scoppiò a ridere. Dapprima sforzandosi, per cercare
di scrollarsi dal viso quella crosta molle che gli procurava
tanta infelicità. Ma ci riuscì piuttosto bene visto
che, qualche secondo dopo, rideva tanto da dover poggiare il
bicchiere sul tavolino per tenersi la pancia ballonzolante con
entrambe le mani. Rosa lo guardava come se avesse trovato un
millepiedi morto sul cuscino. Ma neppure questo sguardo riusciva
a farlo smettere di ridere.
Ha vinto – sembrò capire Rosa, anche se con un simile
rigurgito di ilarità non avrebbe potuto metterci la mano
sul fuoco.
Chi ha vinto? Chi ha vinto?
Arturo le mise una mano sulla spalla, con l'altra ancora si teneva
il ventre dolorante.
Lui, – disse con le lacrime agli occhi per il troppo sbellicarsi
Angel Sanjuán. – E di nuovo il riso travolse la
povera Rosa che ormai ci capiva sempre meno.
–
Per questo ti sei preso la sbronza, perché Angel ha vinto
contro la tua volontà. Dài, non è mica una
tragedia.
Arturo per poco non cadde giù dal letto, colto da un attacco
di riso ancora più forte. Quando, alla fine, riuscì a
trattenersi, lanciò a Rosa uno sguardo esultante:
–
Non capisci? Ho votato in suo favore. Invece di oppormi come
mi ero ripromesso, ho chiesto che gli venisse dato il premio.
Nel corso delle votazioni, all'improvviso mi si è accesa
una lampadina. Un vero lampo di genio, no?
Seguì un silenzio che non bastò a Rosa per capire
di che cavolo stesse parlando quel cretino di suo marito. La
sua ilarità da ubriaco le provocava disgusto, come pure
gli occhi vitrei che la fissavano e che suppuravano uno sguardo
a lei sconosciuto. Senza sapere perché, ebbe voglia di
piangere.
–
Immagina. – disse Arturo dopo essersi scolato l'ultima
goccia di whisky che aveva fatto un po' di resistenza prima di
scivolargli
in bocca. – Immagina Angel Sanjuán che riceve il
premio dalle mani del ministro, costretto a sfoderare quel sorriso
un po' servile come fanno tutti in queste occasioni, immaginalo
mentre stringe le mani e riceve i complimenti da quelli che ha
disprezzato per anni, immaginalo immortalato in foto che d'ora
in poi lo uniranno per sempre a quei volti.
Rosa si voltò dall'altra parte. Ricordò che un
tempo aveva ammirato Angel con un entusiasmo da quindicenne.
Le piaceva ancora pensare al periodo in cui erano stati amanti.
Quel ricordo le consentiva di sentirsi, in alcuni momenti, giovane
e persino bella, come se quegli anni la riscattassero da tutti
gli errori passati e futuri. Ma l'immagine di Angel cominciava
ormai a offuscarsi, e sui suoi tratti, chiari e fermi sino ad
allora, iniziava a scendere quel velo di volgarità e di
rassegnazione che si forma con il passare degli anni e con i
compromessi. Chiuse gli occhi.
–
Vedrai come si ammansisce. Appena gli faranno un paio di carezzine
sul dorso e gli daranno la carotina – insistette Arturo,
che cercava di cogliere in lei qualche reazione, ma l'unica cosa
che scoprì fu che le era venuta la pelle d'oca.
Arturo le si avvicinò, le poggiò una mano sulla
spalla e la attrasse verso di sé con l'idea di baciarla.
Potevano sperimentare qualche altra posizione. Quella della foto
in cui lei si inginocchia davanti a lui e...
Rosa lo schivò e scese dal letto per andare in bagno.
—
Scommetto che si comprerà un vestito nuovo e una cravatta
per l'occasione — aggiunse Arturo dal letto. Ma dato che
sua moglie non tornava, fece uno sforzo per alzarsi e andò da
lei. La trovò seduta sul bordo della vasca, con le maniche
della camicia da notte rimboccate, come se avesse dimenticato
perché era lì. Non stava piangendo. No, Arturo
la osservò bene e non stava piangendo. Non sembrava neppure
arrabbiata. Arturo attese qualche istante. Poi gli tornò in
mente la bottiglia di whisky. Prima di andare a prenderla, dalla
porta fece una smorfia alla moglie.
–
È da pisciarsi sotto dal ridere, non è vero?
Rosa si spostò dalla vasca alla tazza, liberandosi delle
mutandine lungo il tragitto. Mentre si serviva da bere, Arturo
ascoltò il getto di urina che cadeva direttamente nell'acqua
del water. Aveva l'abitudine di prenderla in giro dicendole che
pisciava con la grazia di una cavalla, ma stavolta si astenne
dal fare commenti. Poi sentì i passi della moglie che
si trascinava da una parte all'altra del bagno. Stufo di aspettarla,
spense la luce. Che vada a fare in culo, mormorò prima
di addormentarsi, senza aver deciso se si riferiva a Rosa o a
Angel Sanjuán. Per quanto gliene fregava...
(Tratto
dalla raccolta Come sono strani gli uomini, Voland editrice, Roma,
2003, traduzione di Federica Frasca)
José Ovejero
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