CHE: FUGACITÀ DELLA
SUA MORTE
Jorge Enrique Adoum
già trenta
anni?
cioè abbiamo potuto continuare a restare per trent’anni in un mondo in cui lui
non c’era?
cioè c’è una generazione che ha potuto nascere crescere e procreare in un mondo
in cui da trent’anni lui manca?
come concepire il mondo per trent’anni senza lui?
l’america senza lui?
(se addirittura dicevamo agli europei che doveva essere triste
non essere latinoamericani
perché lui era il primo esemplare di quell’uomo futuro che l’america
avrebbe partorito un giorno
egli fu quell’essere di carne che era già nella leggenda o al contrario quell’eroe
da epopea con il quale fino a poco fa
prendevamo un caffè
egli fece sentire nobile la nostra america sentirsi degna quando a cuba
era più america
che mai
e andavamo lì orgogliosi di essere nati nel suo stesso continente nella
sua stessa epoca
e dell’ammirazione e dell’affetto dell’umanità quando si parlava di una qualsiasi
delle sue imprese o delle sue difficili virtù avevamo in un certo modo la pretesa
che ce ne spettasse una parte…)
cioè stiamo noi senza il che dopo aver lasciato il che senza
noi
(si stava pericolosamente convertendo in una scusa
egli faceva per noi quello che noi dovevamo fare
egli faceva quello che noi sapevamo di dover fare ma non facevamo
quello che avremmo voluto fare ma non facemmo
quello che inevitabilmente dobbiamo fare ma non facciamo
ed eravamo soddisfatti lui lo faceva bene tutto faceva bene
e lo lasciammo solo comandante senza esercito
noi l’esercito stavamo applaudendo da lontano il suo modo di essere uomo
ammirando la sua rettitudine commovendoci per la sua integrità di uomo…)
forse credendolo così grande credemmo che non fosse necessaria la nostra
piccolezza ai suoi ordini
e perché lo credevamo invulnerabile non facemmo nulla perché quegli indios
impenetrabili
trovassero una fessura nella pietra dell’anima attraverso la quale potesse
penetrare una volta per tutte il futuro a
rischiarare le cose delle loro tenebre
nulla facemmo mai affinché quella india con una figlia malata sapesse
chi la stava assassinando da tanto tempo e
chi ci stava salvando
lei prese i cinquanta pesos che le diede il che e qualcuno lo
denunciò
e noi lo tradimmo perché non eravamo con lui davanti a lui vicino a lui
dietro di lui
quando lo accerchiarono i militari e i lupi (lupi e lupi)
ora è difficile credere che lui sia potuto morire
un giorno
ma fu ancora più difficile trent’anni fa perché il mondo non poteva immaginare
che la misera morte degli uomini
potesse toccarlo
perché la morte è così poca cosa e un tenente prado è poca cosa e un generale
ovando è ben poca cosa
(e noi ci aggrappavamo alle menzogne della stupidità armata alle contraddizioni
dell’infamia cercando di trovare in
esse il segnale che era vivo
diventando d’un tratto esperti di logica come se i gorilla avessero la nostra
logica
esperti di trucchi fotografici analizzando la sua barba temendo che fosse lui
ma parlando del cristo del mantegna e
di sculture del barocco…)
quando fidel disse che era morto
abbassammo la testa e raccogliemmo il mucchietto di ricordi come facciamo ogni
volta che qualcuno muore come
per ricomporlo
perché ce lo restituissero completo
senza buchi i suoi polmoni e il suo ventre
integre le ossa che dissero di aver spezzato per metterlo in un barile
intatta la sua pelle che dissero di aver bruciato affinché la sua tomba non
diventasse luogo di pellegrinaggio
però cazzo dissi
se non c’è un solo cespuglio in america dove non lo abbiano ammazzato
non c’è un solo luogo che non sia la sua tomba di combattente e martire
e ci sentimmo miserabili un po’ in colpa per la sua solitudine
ma ancora inorgogliendoci per quello schiaffo finale che in nome di noi tutti
diede a tutti i colonnelli sulla faccia di
selniche
e riempendoci di odio più di quanto un essere umano possa sopportare
contro quel barrientos ibrido di gorilla e di G.I. che si fregava le mani e
contro la nostra stessa cosa? Codardia
dogma comodità mutilazione?
e allora solo allora desiderammo essere stati a valle grande
essere morti accanto a lui
meglio al posto di lui…
qualcuno disse quel giorno che il gran barbudo
dell’isola del
caribe era rimasto solo
no cazzo dissi
lui è lì con dieci milioni di compagni che lo amano e i rivoluzionari del mondo
che lo ammirano
quelli che sono rimasti soli e senza scuse siamo noi
quelli che sempre sono stati soli perché abbiamo voluto stare soli viziosamente
soli
occupati della nostra domesticità blablablaterando della rivoluzione prima
di andarcene a bere o a dormire
e quegli altri che ormai neppure parlano di rivoluzione
e non si trattò più di essere morti al suo posto ma di unire le nostre solitudini
e le nostre piccolezze per
rimpiazzarlo fra tutti
né di essere stati al suo posto ma di andare al suo posto
noi almeno quelli che non si erano imputriditi…
e molto tempo dopo persino nei villaggi più remoti di asia e di africa abbiamo
visto contadini discutere i loro problemi agrari intorno a un tavolo sulla
terra sotto la bandiera del loro paese e uno stendardo con l’immagine
dell’uomo dalla stella sulla fronte
e sui muri delle nostre città dipinta l’immagine ripetuta dell’uomo dalla
stella sulla fronte
e le adolescenti che non lo hanno conosciuto portare nel petto sui seni
l’immagine dell’uomo dalla stella sulla fronte…
repentina arrivò la carognata della storia
attoniti entrammo in una specie di vacanza ideologica quando all’improvviso
nessuno seppe nulla né credette più in
nulla
e invece di maledirci e di odiarci come se piangessimo per la nostra impotenza
ho cominciato a chiedere che era stato in che ansa delle viscere dell’america
avevamo perso l’uomo nuovo che aspettavamo e per il cui avvento alcuni avevano
dato la vita
che ne era stato da quando lo abbandonammo con la sua guerriglia fantasma nella
selva
che ne era stato quando il neoliberismo diventò “l’unica forma universale di
governo” con la discola eccezione di
cuba
quando perché lo avevano ucciso credettero che fosse morto e annunciarono “la
fine della storia”
come se ormai tutti pensassimo allo stesso modo con la indocile eccezione del
chiapas e di cuba
ma io so sappiamo che la storia non può finire prima che ritorni
l’uomo nuovo che lui annunciò portandolo con sé
come la più bella utopia dell’america
e per questo lo aspetto per poter continuare ad essere vivo
e poter continuare ad aspettare quello che verrà
e allora che? hasta la victoria siempre?
(Tratto
da L’amore disinterrato e altre poesie. Multimedia Edizioni,
2002 Salerno,traduzione e cura di Raffaella Marzano.)
Jorge
Enrique Adoum (Ambato, Ecuador,
1926), pubblica il suo primo libro di poesia (Ecuador amargo)
nel 1949, da allora la sua opera comprende più di trenta
libri di diverso genere, tra cui ventuno di poesia. Conosciuto
fino al 1976 fondamentalmente come poeta, sorprese il mondo
letterario con il romanzo Entre Marx y una mujer desnuda,
considerato uno dei più importanti romanzi sperimentali
dell'America Latina.
Si è dedicato altresì con successo al teatro,
e ha realizzato una notevole opera critica con saggi su Valéry,
Rilke, Eliot, Majakovski, García Lorca, Hughes, e Vallejo,
raccolti nel volume Poesía del siglo XX.
E' poi tornato recentemente alla poesia pubblicando lo straordinario “El
amor desenterrado” (il poemetto nasce da un fatto di
cronaca: il ritrovamento in Ecuador di un cimitero paleo indio
risalente all’8000 a.C. circa e, in questo contesto,
la scoperta dei cosiddetti «amanti di Sumpa»: due
scheletri avvinghiati in un abbraccio, coperti di pietre).
Vincitore dei più prestigiosi premi letterari dell'America
Latina, è stato considerato come il più degno
erede della poesia di Pablo Neruda di cui è stato segretario
personale per alcuni anni.
Le sue opere sono state tradotte e pubblicate in molti paesi
e inserite in innumerevoli antologie.
E' stato da poco pubblicato a Cuba De cerca y de memoria:
Lecturas, autores, lugares, un libro di ricordi su scrittori e artisti
dell'America Latina e dell'Europa.
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