CREATIVITÀ QUALE
ELEMENTO DELLA PAZZIA
Alan
Riding
Sempre
misterioso, il processo artistico diventa ancor più imperscrutabile
quando l'artista è affetto da squilibrio mentale. Eppure,
l'arte visiva è una forma d'espressione che attrae spesso
chi soffre di malattie mentali, van Gogh ne è forse
l'esempio più significativo. In effetti, per più di
un secolo gli ospedali psichiatrici hanno provato a capire
e trattare i pazienti usando l'arte come terapia.
In Francia, intorno agli anni Trenta, l'art des fous, o l'arte
dei pazzi, iniziò ad interessare tanto i critici quanto
i ricercatori medici. I Surrealisti in particolare arrivarono
alla conclusione secondo la quale, alla pari dei loro dipinti
e della loro poesia, l'art des fous sembrava toccare aree del
cervello di solito inesplorate. Jean Dubuffet sviluppò quest'idea
negli anni Quaranta incorporando l'art des fous nell'arte da
lui definita art brut, che includeva anche dipinti naïf
e primitivi.
In seguito, nel 1950, il Ste-Anne Hospital organizzò una
mostra sull'arte psicopatologica di diciassette nazioni. I dipinti,
gli acquerelli e i disegni, poi donati all'ospedale, contribuirono
a fondare una collezione che oggi conta settantamila oggetti.
Una selezione di 117 opere danno ora vita a La Clé des
Champs, un'affascinante mostra nel Jeu de Paume.
Parallela a La Clé des Champs, espressione francese per
libertà, troviamo un'eccezionale retrospettiva di settantanove
opere di Arthur Bispo de Rosário, un artista autodidatta
brasiliano scomparso nel 1989 dopo aver vissuto cinquant'anni
in una clinica psichiatrica a Rio de Janeiro. La sua opera rimase
praticamente sconosciuta fino all'esposizione nel padiglione
brasiliano della Biennale di Venezia del 1995.
La Clé des Champs, titolo preso da un libro di André Breton,
porta avanti la tesi di Dubuffet secondo la quale l'art des
fous non è una categoria a parte. "Il nostro punto di
vista è che il ruolo dell'arte è sempre lo stesso," scriveva
Dubuffet nel 1949, "e non vi è art des fous più di
quanto non vi sia un'arte dei dispeptici o di chi ha problemi
alle ginocchia".
Molti pazienti dello psichiatra presenti alla mostra erano
artisti e conoscevano le tendenze artistiche dominanti. Claude
Brun, per esempio, firmò un'opera "Brun-Picasso".
Varie opere di pazienti per la prima volta alle prese con l'arte
evocano Chagall, Kandinskij, Klee, Mirò e Ernst. La
Clé des
Champs è organizzata come una mostra collettiva e
non offre dettagli sulla vita degli artisti. Solo alcuni — Maurice
Blin, Auguste Millet, Marija Novakovic and Charles Schley — sono
conosciuti nei circoli artistici ma pure la loro opera è sconosciuta
a molti visitatori. Qui è l'arte in sé a parlare.
La sfida è decifrare la mente ed i significati che stanno
dietro l'arte.
Uno dei più eclettici tra gli artisti esposti è Blin,
morto nel 1980 dopo aver vissuto quarant'anni nel Ste.-Anne Hospital.
Riempiva bloc-notes di schizzi e calcoli e aggiungeva parole
alla sua arte. "Segui una donna e lei fuggirà" scrisse
su uno. "Fuggi da una donna e lei ti seguirà come
un'ombra". In alcune opere ci sono figure fluttuanti alla
Chagall; altre sono erotiche, una sorta di rappresentazione di
Saturno che fa l'amore con la Terra.
Vari artisti sembrano aver trovato conforto nel disegno botanico,
ma altri sembrano raccontare storie. Un dipinto giapponese anonimo
e senza titolo mostra una donna dai capelli lunghi che cerca
in tutti i modi di restare a galla su onde violente, mentre Coupole
Fédérale di Aloise Corbaz è un ritratto
naïf di una donna con un cuore rosso nel petto. Solange
Germain spiega a parole la sua guache alla Matisse: "Un
fiore sanguinante".
La varietà ne La Clé des Champs esime dall'idea
che l'art des fous abbia un'unica fonte di ispirazione.
Nella retrospettiva di Bispo do Rosário è tuttavia
quasi impossibile non venire immessi nel mondo di un uomo che
in apparenza considerava la propria vita come una missione per
la salvezza del mondo. I suoi oggetti a volte possono richiamare
Duchamp o altri, ma non vi sono segni tangibili che considerasse
il proprio lavoro arte. Come paziente si rifiutò di partecipare
alle classi di terapia artistica.
Nato nel Brasile nordorientale nel 1909 o nel 1911, da giovane
trascorse otto anni nella marina brasiliana, con base a Rio de
Janeiro. Il 22 dicembre 1938 ebbe una visione di Cristo e di
sette angeli. Due giorni dopo si presentò in un monastero.
Da lì fu mandato in un ospedale dove la diagnosi fu di
schizofrenia paranoica. Alla fine fu internato in un ospedale
psichiatrico
fuori Rio.
La sua opera, essendo stata riconosciuta come arte solo dopo
la sua morte, non è datata ed è impossibile catalogarla
cronologicamente. L'unico aggancio si può trovare nel
nome "Rosangela Maria" che appare in alcuni dei suoi
arazzi: si tratta di una giovane studentessa di psichiatria che
lavorava nell'ospedale e che divenne sua amica nel 1981. Oggi,
però, non sa offrirci alcuna comprensione delle motivazioni
profonde dell'arte di Bispo de Rosário.
"
Si rifiutava di affrontare i dottori e un po' alla volta divenne
sempre più isolato; lavorava come un forzato", disse
Agustìn Artega, un curatore artistico messicano che ha
collaborato all'esposizione. "Era motivato misticamente,
preoccupato del giudizio finale, e lo faceva prendendo nota di
tutto e di tutti per poterli salvare."
Bispo de Rosário creava oggetti e installazioni con qualsiasi
cosa trovasse nell'ospedale. I suoi complessi arazzi, erano ricamati
con i fili blu delle casacche dei pazienti; combinava nomi o
descrizioni delle attività ospedaliere con disegni di
navi, figure geometriche, mappe, bandiere, strade ed edifici.
La sua magnifica Tonaca cerimoniale, con la descrizione del mondo,
doveva essere la veste che avrebbe indossato entrando nel regno
dei cieli.
Uno dei suoi lavori comprende rudimentali scettri e fasce per
cinque concorsi di bellezza: miss Amazzonia, miss Messico, miss
Francia, miss Giappone e miss Perù; ogni fascia porta
la bandiera e i nomi delle città. Un'opera ancora più grande,
Il letto di Romeo e Giulietta, mostra un letto coperto da una
zanzariera e drappeggiato da pezzi di lana colorata.
La sua opera evoca maggiormente Duchamp laddove escogita modi
di presentazione e organizzazione di oggetti e materiali di scarto:
da cartone, legno, stagno e metallo, a giocattoli di plastica,
posateria, abiti e scarpe. Prediligeva la costruzione di piccoli
carri su ruote: costruiti in varie forme, a volte su tre livelli,
portano pietre squadrate, auto in plastica e piccole navi.
Le sue installazioni mettono in mostra in vario modo scarponi,
cappelli di paglia, posate, bottiglie di plastica riempite di
confetti, pantofole, pettini e spazzole. Troviamo anche oggetti
specifici che ha ri-rappresentato, come Toilet, con un vaso da
notte in una scatola di legno e Macumba, con oggetti usati nei
rituali spiritisti afro-brasiliani.
Può essere che Bispo de Rosário abbia semplicemente
registrato il mondo così come l'ha visto; egli ha bensì portato
ordine al disordine, bellezza ai detriti. In un mondo pre-Duchampiano,
la sua opera avrebbe potuto non essere considerata arte. Oggi,
sarebbe chiamata arte concettuale. E mentre i concetti di Bispo
de Rosário rimangono un mistero, la sua opera è arte
in quanto trasforma l'ordinario nello straordinario.
(Articolo tratto dal giornale The New York Times, Agosto 2003,
traduzione di Giampaolo Mattiello)
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